CULTURA

I prodigi dello sport spiegati dalla scienza

Partiamo dalla cosa apparentemente più semplice: camminare. “Proviamo a immaginarci cosa succede quando decidiamo di muovere il primo passo. Tutto quello che dobbiamo fare è sollevare un piede e spostarlo di fronte a noi, giusto? Non proprio”. Ciò che facciamo è, inconsapevolmente, più complesso. È una questione di scienza. Se ci limitassimo a sollevare il piede destro, la pressione del sinistro, ovvero il piede d’appoggio, ci spingerebbe a destra facendoci cadere. Il processo è rapidissimo, ma articolato: “Come prima cosa, riduciamo la pressione sul piede d’appoggio, spostando il centro di pressione all’indietro, verso l’interno del tallone del piede che si muove. Questo fa sì che il baricentro del nostro corpo vada in avanti, e verso il piede d’appoggio: solo a questo punto possiamo permetterci di cambiare la posizione del nostro centro di pressione, portandolo sul piede d’appoggio e riducendo quindi la pressione sul piede che si deve muovere, lasciandolo libero di sollevarsi”. E stiamo (solo) camminando, anzi stiamo facendo un passettino, ma la verità è che “la procedura è talmente complicata che, se uno pensa a questa successione di equilibri per muovere il primo passo, rimane lì inchiodato”. Immaginate, dunque, quali misteri possono nascondersi dietro una prodezza atletica, un salto, un tiro, un lancio provato più e più volte, risultato di allenamenti, sacrifici e limature tecniche. A svelarci qualche segreto sportivo, utilizzando la scienza appunto, è Marco Malvaldi, autore de Le regole del gioco. Storie di sport e altre scienze inesatte (Rizzoli), che nel prologo scrive: “Nelle pagine che seguono tenterò di spiegare, a me stesso prima che a voi, alcuni princìpi scientifici dello sport. Per esempio, vedremo insieme le ragioni fisiche che rendono possibili le punizioni a effetto, e grazie a queste capiremo come mai, nonostante i calciatori le tirino da cinquant’anni, i portieri continuino a non essere in grado di prenderle; e capiremo per quale motivo matematici, economisti e psicologi siano così interessati alla cosiddetta lotteria dei rigori. In breve, diventeremo spettatori più consapevoli e meglio attrezzati a capire cosa cavolo succede sotto i nostri occhi”. 

Dalla rivoluzione di Dick Fosbury nel salto in alto – il quale, alla fine degli anni Sessanta, capisce “qualcosa che fino a quel momento era sfuggito a tutti, ovvero che saltando di schiena è possibile arcuare il corpo in modo tale che, quando passa sopra l’asticella, la testa e le gambe restino al di sotto della stessa. In questo modo, il baricentro del saltatore passa sotto l’asta, e non sopra. Visto che l’altezza da raggiungere è minore, il salto richiede meno forza”- al tilt di Matthew Syed, campione del Commonwealth nel tennistavolo, tra i più spettacolari al mondo, che, alle Olimpiadi di Sydney del 2000, resta concentratissimo prima dell’incontro più importante della sua intera carriera, ripassa la tecnica dei colpi, pensa al movimento delle gambe, al dettaglio dei gesti per recuperare la posizione d’equilibrio dopo il servizio, e poi viene sconfitto, anzi umiliato con un 21-4 21-8 21-4, da Peter Franz, avversario ritenuto nettamente inferiore. Cos’è successo? La risposta arriva dall’allenatore di Syed che, allargando le braccia, dice: “Matthew, è semplice. Ti sei ingolfato”. Ingolfamento, choking in inglese, ovvero il “verificarsi di una prestazione subottimale in condizioni di pressione nonostante siano presenti le capacità, le motivazioni e gli incentivi per il successo”. Sì, sempre di scienza si tratta. “La scelta di Syed di focalizzarsi razionalmente sul gesto tecnico ha avuto questa conseguenza: a ogni colpo il giocatore perdeva qualche centesimo di secondo proprio a causa del fatto che si focalizzava sulla tecnica anziché lasciare che il colpo partisse da solo. Questa è l’ipotesi avanzata dalla cosiddetta Emt (Explicit monitoring theory), la teoria psicologica che attualmente sembra la più conforme agli esperimenti condotti sulle performance”. 

Salto in alto, tennistavolo, ma anche judo, hockey, tuffi perfetti (perché il tuffatore si muove impettito prima di lanciarsi in acqua? Non certo per darsi un tono, ma per far in modo che “il proprio passo abbia la stessa frequenza di risonanza del trampolino sul quale si sta muovendo”). E, ovviamente, calcio. Molto calcio. Con le sue strategie (che a volte non bastano) e le sue magie, se vogliamo usare un linguaggio da spettatore medio. Passando per la lotteria dei rigori, che porta con sé “la fallacia dello scommettitore” e quell’illusione del portiere che, “scontrandosi con una successione di eventi con direzione che ci si aspetta essere casuale, è convinto che la probabilità che i rigoristi tirino tutti dalla stessa parte sia di fatto inesistente”. La scienza può spiegare tutto, o quasi, spingendosi persino a svelare quei prodigi che tanto fanno esaltare i tifosi facendoli gridare al miracolo: gli effetti dati al pallone da campioni come Pirlo e, ancor di più, Maradona non sono certamente il risultato di una personale conoscenza scientifica, ma di un talento pratico, un po’ più inconsapevole. Una cosa è certa, dietro a quei palloni in grado di cambiare direzione non ci sono incantesimi ma pura scienza. Quella che parte dalla dinamica dei fluidi. Un esempio? La maledetta di Andrea Pirlo, calciatore capace di stupire ma a cui, scrive Malvaldi, sarebbe inutile chiedere una spiegazione perché, come si diceva sopra, “talento pratico e cultura scientifica non vanno esattamente di pari passo e il buon Pirlo (che di talento ne ha abbastanza da dare in mutuo) non fa eccezione”. 

Francesca Boccaletto 

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