CULTURA

Raymond Aron, il Tucidide del XX secolo

Alessandro Campi, docente di storia delle dottrine politiche, scienza politica e relazioni internazionali all’università di Perugia, nel suo ultimo volume “La politica come passione e come scienza. Saggi su Raymond Aron” (Rubettino, p. 200) vuole presentare al grande pubblico, con occhio critico, il pensiero di Raymond Aron, il “il Tucidide del XX secolo”.

Chi è Aron? Nato nel 1905 a Parigi e morto sempre nella Ville Lumière nel 1983, è un importante storico del pensiero politico, filosofo della storia e studioso delle società industriali, teorico delle relazioni internazionali. A partire dall'osservazione della realtà della sua epoca, analizza la fascinazione esercitata dal marxismo sull’intellighenzia francese ed europea, considerandola superata dalla reale evoluzione economica e sociale della Francia e del mondo. Aron ha anche svolto un’intensa attività come giornalista, influenzando la cultura francese ed europea del Novecento. Dal 1940 al 1944, infatti, è redattore capo del giornale La France libre, a Londra. Dopo la guerra, è editorialista del Combat (1946), quindi de Le Figaro, dal 1947 a 1976. Nel 1977, lascia il quotidiano per il settimanale L’Express, a cui collaborerà fino alla morte.

Nel suo volume, Alessandro Campi riunisce sei saggi, da lui redatti tra il 1995 ed il 2013. Dopo il primo “Trittico sulla guerra. Schmitt, Aron, Freund”, il docente pubblica la relazione presentata durante un convegno internazionale svoltosi a Budapest nel 2000, intitolata “Raymond Aron e la tradizione del realismo politico”. Il terzo ed il quarto analizzano, rispettivamente, il concetto di realismo nell’ambito della politica internazionale con riguardo al dialogo mancato tra Aron e Morghentau ed il “Il conservatorismo liberale di Raymond Aron e i limiti ideologici della destra”. Il quinto ed il sesto saggio, invece, trattano de “Il Sessantotto nell’interpretazione di Aron: lo psicodramma della «rivoluzione» studentesca” e de “La questione nazionale ed il problema politico dell’Europa”.

Dai saggi su Aron scelti da Campi emergono temi ancora cruciali della politica del nostro tempo: la guerra, la moralità del realismo politico, il conservatorismo e la destra, il problema politico dell'Europa. Si vedono, chiare, due facce del pensiero di Aron: quella dominata dalla passione politica e quella improntata al rigore dell’analisi scientifica, che Campi sintetizza nell’espressione “machiavellismo moderato”.

Secondo Campi, Aron è di certo un liberale, ma in una prospettiva concreta, tutt’altro che vicina agli astrattismi dottrinali dell’antistatalismo a lui contemporanei: “Nel pensiero di Aron non si troveranno mai le invettive contro lo Stato e il potere tipiche di un certo liberalismo di matrice anarchica; mentre sarà facile rinvenire una grande attenzione ai complessi rapporti tra forze - sociali, politiche ed economiche - sui quali si regge qualunque collettività e che è appunto compito della politica cercare di governare, per evitare che tali rapporto divengano conflittuali e dunque potenzialmente distruttivi”.

Tale presa di posizione emerge in particolare dai saggi aroniani sul machiavellismo e costituisce un punto di contatto con il pensiero di Machiavelli: sia Aron, sia l’autore del Principe ammettono, infatti, il primato della politica e la separazione della sfera politica dalla morale. Il pensiero di Aron si può quindi ricondurre al “realismo politico” ma sempre considerando che il realismo aroniano, “partendo dall'evidenza dei fatti, non si arrende ad essi e non trascura i fini (anche morali) che ogni azione o attività politica tende a perseguire”.

I punti salienti di tale machiavellismo moderato, come spiega Campi, sono la “connessione politica-antropologia”, “l'idea che lo studio e la comprensione della politica non possano fare a meno di una determinata visione dell'uomo e dell'esistenza umana”, “l'autonomia (e il relativo primato) della politica rispetto alle altre sfere di attività umana”, “la critica all'ideologia e la polemica nei confronti dell'utopismo politico”, “la natura intrinsecamente polemica e conflittuale della politica” e “il rigetto del formalismo” tipici del pensiero di Aron. Non è un caso che lo stesso Raymond Aron si definisca un “discepolo liberale di Machiavelli”. 

Nel suo volume, Campi mette a confronto Aron con i grandi realisti del suo tempo, da Carl Schmitt a Julien Freund, da Gianfranco Miglio, passando per Hans Morgenthau, ma scrive che, se si vuole correttamente intendere il realismo aroniano, bisogna tenere in considerazione che esso “non ha nulla a che vedere con il cinismo, con il relativismo dei valori e con il compiacimento nichilistico di chi vede il mondo sempre eguale a se stesso”. 

Sempre improntato all’esercizio critico del dubbio ed al rigore nell’analisi, quella di Aron, dalla raccolta di Campi, sembra una lezione tanto più lucida e valida ai giorni nostri, epoca dominata dalla facilità dell’appiattimento intellettuale.

Gabriele Nicoli

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