CULTURA

Rigoni Stern e Seron: le fotografie dei lunghi silenzi

“Non c’è niente di meglio, per me, che sedere nel bosco con la schiena appoggiata a un grosso tronco e fumare guardando il cielo tra i rami degli abeti” - Mario Rigoni Stern, Il bosco degli urogalli, 1962.

Prati ispidi su declivi morbidi, larici ossuti aggrappati al soffice sottobosco, speroni di roccia nuda all’incontro di boschi folti. E poi i sentieri che tagliano i prati, i segni delle falci che spettinano il pascolo, le strade che ricamano il fianco del monte disegnando onde di mare, piedi di uomini che segnano la terra e tatuano la presenza umana su di una natura immobile, mossa solo dal vento, dalle corse degli animali, dal cadere della neve e della pioggia.

È il paesaggio dell’Altipiano di Asiago, così come lo racconta Rigoni Stern, “così ampio con questi boschi e queste colline sopra la pianura veneta, così a picco e così isolato, eppure così aperto e così largo, questo paesaggio ce lo portiamo dentro: non aspro come una montagna incombente, ma dolce e malinconico, denso”; è l’immagine che si moltiplica nel lavoro di Loïc Seron, fotografo francese che attraverso l’obiettivo rilegge l’opera dello scrittore asiaghese, presentandola in una mostra itinerante in questi giorni allestita all’Orto botanico di Padova.

Parte dell'allestimento della mostra all'Orto botanico di Padova. Foto: Massimo Pistore

Il progetto di Seron iniziò nel 2014, ma le ragioni si radicano più lontano nel tempo, nelle prime letture, in traduzione francese, delle opere di Rigoni Stern. Letture cui ne seguirono altre, avide, di luoghi e storie di pugno dell’asiaghese, fino all’incontro con l’autore nel 2007. Con una semplicità disarmante Seron organizzò un incontro, ad Asiago, con Rigoni Stern, per scattargli delle foto, fare un ritratto di Mario nei suoi luoghi: “Sono venuto dalla Normandia ad Asiago ed è stato un incontro emozionante e fatto di lunghi silenzi. Io non parlavo per nulla italiano e lui poco francese. Mi ha regalato due ore del suo tempo. È stato un bel dono, importante”. Mario Rigoni Stern morì l’anno successivo.

Sull’Altipiano Seron non tornò più per sette anni. E poi ci tornò ancora e ancora, in ogni stagione. Per ritrarre quei luoghi, conoscerne la gente e la storia, rievocare le cime e i boschi e le pietre di Rigoni Stern, fermarli nel tempo e raccontarne l’eternità, ma anche la mutevolezza nello scorrere dei mesi, in un ciclo perpetuo che disegna contorni nuovi. Nuove gemme sugli alberi, nuovi segni sui prati, nuovi passi sui sentieri. “Venivo in treno e poi camminavo. Camminavo sempre, camminavo tantissimo. Ritrovavo i nomi dei posti che avevo letto nei libri. Ci voleva tempo, calma e un buon paio di scarpe”.

Foto: Loïc Seron

S’incontrano Canove, Roana, il Barental, il Katz, il Kaberlaba, Treschè, la Frenzela, Marcesine, Prunde, Rotzo, un brulichio di nomi, nomi propri, che punteggiano l’Altipiano, le sue foto, le pagine di Rigoni Stern. “La sua narrazione è una mappa” dice sorridendo Sara Lucchetta, che nell’opera dello scrittore ha districato l’intreccio di centinaia di toponimi, ricavandone una carta geografica fisica ed emozionale, densa e comunicativa. “La scrittura di Rigoni Stern è mappante. Vi si ritrova un addensamento di toponimi allineati su di un asse nord-sud, quasi un sentiero fatto di molti luoghi, anzi, delle parole che li esprimono. Con un attenzione puntuale al microtoponimo: i nomi più ricorrenti esprimono infatti luoghi minuscoli o poco comunemente significanti, tanto che quello che si ripete con più insistenza è Moor, una cima dell’Altipiano”.

Un luogo, l’Altipiano, fatto di microluoghi, dunque, ma insieme pieno e coerente: “Un’isola a 1.000 metri” la definisce lo storico Mario Isnenghi. Uno spazio distinto e superiore rispetto alla pianura che sta sotto, riconoscibilmente diverso. Oppure, aggiunge Isnenghi, “un’invaso, fatto per trattenere storie e storia, oltre che boschi e prati e malghe e borghi”. L’Altipiano come luogo dell’atemporalità, ma anche scena di una storia dirompente di guerra, è solcato da percorsi che lo attraversano, lo congiungono all’esterno, vi disegnano movimenti di andata e ritorno. E così fu per Rigoni Stern, che lasciò Asiago, per poi ritornare al suo ciliegio dopo la guerra. “Non dobbiamo fermarci a immaginare il Mario rinchiuso nel suo Altipiano, nel suo invaso. Lui non era solo il suo ritorno, era anche un andare. La sua complessa personalità spesso lo portò altrove. Lui era andare e stare, natura e storia”. Era seguire tempi e ideali durante la campagna di Russia, era nel suo Altipiano “un sasso, un albero antico, la linea di un monte, una radura, il frullo di un volo, un sentiero, uno stabbio, un cespuglio: ogni cosa, aveva per lui una storia e una vita”. (Mario Rigoni Stern, Nel frattempo ascoltava il bosco, 1980).

I percorsi, i sentieri, attraversano e solcano tutto l'Altipiano di Asiago. Foto: Loïc Seron

Nel 1998 l’università di Padova conferì a Mario Rigoni Stern la laurea honoris causa in scienze forestali e ambientali.

Chiara Mezzalira

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