SCIENZA E RICERCA
Il riscaldamento globale modifica anche i confini territoriali
Foto: Michele Borzoni/TerraProject/con
L’annuncio dato di recente da Marcel Nicolaus, durante l’assemblea dell’European Geosciences Union a Vienna, non è stato dei più incoraggianti anche se probabilmente non del tutto inatteso. Secondo i dati raccolti dal satellite CryoSat-2 la copertura di ghiaccio marino dell’oceano Artico nell’estate del 2016 potrebbe ridursi ai livelli minimi raggiunti nel 2012.
Già nell’estate del 2015, spiegano gli scienziati dell’Alfred Wegener Institut, lo spessore dei ghiacci era straordinariamente sottile. A causa poi di un inverno particolarmente caldo, che ha registrato lo scorso febbraio nelle zone centrali dell’Artico circa otto gradi centigradi sopra la media, la formazione di nuovo ghiaccio è stata lenta e inferiore alle attese. A ciò si aggiunga, sottolineano i ricercatori, che la corrente transpolare spingerà il ghiaccio perenne attualmente al largo delle coste settentrionali della Groenlandia e del Canada verso l’Atlantico del nord. Questi spessi banchi di ghiaccio saranno seguiti da strati più sottili che in estate si sciolgono più velocemente. La perdita di ghiaccio sarà tale da annullare l’accumulo avvenuto durante gli inverni freddi del 2013 e 2014. “Tutto fa pensare – sottolinea Stefan Hendricks – che il volume complessivo del ghiaccio marino diminuirà considerevolmente nel corso della prossima estate. E se le condizioni climatiche risulteranno sfavorevoli, potremmo registrare un nuovo minimo storico”.
Inutile dire che i cambiamenti climatici in atto hanno un ruolo di primo piano nel ridefinire il profilo ambientale terrestre. Secondo gli studi dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) le emissioni globali di gas serra sono in aumento a un ritmo doppio rispetto a dieci anni fa e la temperatura media è in salita. Le conseguenze, come da tempo ormai si ripete, sono evidenti sotto molti punti di vista. La graduale riduzione di ghiaccio marino al Polo Nord ne è un esempio e l’espressione su vasta scala di una tendenza generalizzata a livello terrestre.
Si prendano, per parlare di una situazione che ci riguarda più da vicino, i ghiacciai alpini. “Il 2015 – spiega Aldino Bondesan, docente del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova e coordinatore per il Triveneto del Comitato glaciologico italiano – è stato un anno particolarmente critico: sulle Dolomiti nel mese di luglio si è registrato un grado in più rispetto alla media stagionale, che è un valore elevato”. Negli ultimi tempi si sta assistendo a un rapidissimo e importante cambiamento della morfologia dei ghiacciai, in particolare al ritiro delle fronti (la parte più basse della lingua glaciale) e a un abbassamento generale. Cambiano dunque sia lo spessore che la forma. Non si tratta dello spostamento di un metro, ma a volte anche di centinaia di metri lungo i tratti che interessano la superficie glaciale. “Se avessimo studiato il fenomeno all’inizio del Novecento – argomenta Bondesan – probabilmente ci avrebbe detto poco. Oggi invece le trasformazioni sono molto accelerate rispetto a 20, 30 anni fa. Basti pensare che la velocità di fusione è forse dieci volte maggiore rispetto a quella degli ultimi 100 anni. Siamo in un momento di drammatico ritiro dei ghiacciai con particolare fusione del nevato, cioè della neve vecchia e del ghiaccio”.
Da decenni l’università di Padova coordina le campagne glaciologiche annuali del settore alpino orientale, nel corso delle quali vengono monitorate le variazioni glaciali. Solitamente a ottobre di ogni anno si effettuano misure relative alla morfologia delle fronti glaciali e alla copertura nevosa, integrate da documentazione fotografica. Questo fino ad oggi. Gli studiosi padovani infatti nell’ambito del progetto Italian Limes, in collaborazione con l’università di Milano-Bicocca, di Parma e con l’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale di Trieste, hanno recentemente introdotto un nuovo sistema di monitoraggio che fornirà una quantità di dati molto maggiore, grazie a misurazioni distribuite nell’arco di tutto l’anno. Si tratta di una rete di nuovi sensori installati al momento sul ghiacciaio della Grava a 3.400 metri di altitudine, nelle Alpi Venoste, lungo un tratto dello spartiacque sul confine tra Italia e Austria. “Grazie al nuovo sistema – spiega Bondesan – lo scioglimento, l’abbassamento e la modifica della superficie del ghiacciaio vengono monitorati in tempo reale con un segnale ogni due ore. Ogni sensore comunica via Gsm con un server che raccoglie i dati e può quindi essere collegato a singoli eventi di insolazione, pioggia in alta quota, cambiamenti di temperatura, fronti nuvolosi, periodi particolarmente caldi. Sarà possibile così controllare molto dettagliatamente il modo in cui il ghiaccio fonde”.
Avere queste informazioni, nel caso specifico, assume un rilievo particolare dato che il ritiro dei ghiacciai determina lo spostamento del confine nazionale lungo l’arco alpino. Un esempio che mostra come i cambiamenti climatici possano intrecciarsi talvolta anche con ragioni di ordine geo-politico oltre che ambientale.
Monica Panetto