CULTURA

Gli scienziati al tempo della guerra

“Questa è una guerra di chimici e ingegneri, oltre che di soldati e marinai”: lo scriveva su Nature nel 1915 Jonh Ambrose Fleming, professore di ingegneria elettrica allo University College di Londra e inventore del diodo. Sempre su Nature qualche anno dopo (siamo nel 1919, quindi a guerra appena finita) si legge come la nazione britannica sia consapevole di avere un enorme debito nei confronti della scienza: "La guerra ha richiesto ogni oncia di sforzo e sapere scientifico”. 

Che la prima guerra mondiale sia stata una guerra "tecnologica" e non più di fanti, cavalli e grandi battaglie campali era dunque chiaro già a chi quella guerra la stava vivendo. A un secolo di distanza, Angelo Guerraggio ripercorre quegli anni con una prospettiva particolare nel suo La scienza in trincea. Gli scienziati italiani nella prima guerra mondiale (Raffaello Cortina, 2015). "A dispetto di miti e icone, gli scienziati non sono né santi né missionari né infallibili. Li abbiamo raccontati per quello che sono e per come si sono comportati", scrive Guerraggio. Il volume si basa dunque sui fatti a noi noti, su quanto i personaggi della scienza italiana hanno detto, fatto o non fatto durante e dopo quel travagliato periodo, senza mai permettersi un giudizio sulle scelte dei personaggi di cui si narrano la vita e le decisioni. Una raccolta delle storie di alcuni dei più noti scienziati italiani dell'epoca che come molti altri cittadini si sono trovati davanti alla scelta tra interventismo e neutralismo. Come hanno scelto di comportarsi? Sono stati influenzati dal loro ruolo di scienziati?

La scienza aveva vissuto – tra Sette o Ottocento – un periodo d’oro, considerata come la portatrice del progresso dell'uomo verso un mondo migliore. Ora i fatti di cronaca stavano obbligando il mondo scientifico a cambiare rapidamente. Il fronte della scienza italiana si pose nei confronti della guerra come si poneva anche il nostro Stato: diviso e profondamente indeciso. All'intervento dell'Italia nel conflitto non si rispose, nell’ambiente scientifico nazionale, né con un monolitico sì né con un categorico no.   

Alcuni si arruolarono immediatamente, come il matematico Vito Volterra, che all'età di 55 anni entrò nel Corpo Militare degli Ingegneri del Regio Esercito Italiano dell'esercito e diede un contributo essenziale allo sviluppo dei dirigibili dell'esercito italiano; a lui ad esempio si deve la scelta di utilizzare l'elio e non l'idrogeno per farli volare. Fu sempre Volterra, forse uno dei matematici più convinti nel suo interventismo, a promuovere la fondazione nel 1917 dell'Ufficio Invenzioni e Ricerche per coordinare lo sforzo scientifico e tecnologico nel conflitto: il primo passo verso la fondazione nel 1923 del Consiglio Nazionale della Ricerca (Cnr),a oggi il più grande ente statale con compiti di ricerca scientifica. Come Volterra anche Guglielmo Marconi, personaggio di spessore mondiale dopo il Nobel nel 1909, partecipò alla guerra attivamente sia per l'esercito italiano che per quelli francese e inglese.

Al contrario di Volterra e Marconi, ci fu naturalmente anche chi del neutralismo fece una scelta forte, che mantenne per tutto il corso della guerra. È il caso del matematico Tullio Levi-Civita, la cui convinta fedeltà all'internazionalità e fraternità del mondo accademico scientifico come di quello civile lo portarono a perdere il rapporto di stretta amicizia con il collega Volterra e a mantenere invece quelli con i colleghi "nemici" tedeschi. 

Ci fu poi chi si ritrovò in guerra perché chiamato di leva e fece di quell'esperienza l’occasione per studi e applicazioni che non si aspettava. È il caso di Mauro Picone, matematico da poco laureato alla Normale di Pisa con Ulisse Dini, arruolato presso il 6° Reggimento di Artiglieria da Fortezza e mandato sul fronte nelle montagne del Trentino. Giovane studente e inesperto soldato, gli venne chiesto dal Comandante di valutare la posizione dell'artiglieria italiana disposta in quel versante e fornire i calcoli necessari per le nuove tavole di tiro dei cannoni italiani, adattandole alle montagne del Pasubio. 

Ecco come lo stesso Picone racconta l'esperienza nella sua autobiografia: "Pensavo: ma come, i nostri artiglieri che fanno la guerra da quasi un biennio, che dovrebbero possedere le più aggiornate nozioni teoriche e pratiche di tattica, apprese alla Scuola di Guerra, hanno bisogno, nell'adempimento dei loro attuali compiti di guerra del parere di un sottotenente della territoriale, che non ha mai visto un cannone, uscito fresco fresco dalle aule universitarie?" Ai dubbi di Picone sulle sue capacità di portare a termine il compito, la risposta del Comandante fu lapidaria: “Qui c'è il trattato di Balistica di Francesco Siacci, le dò l'ordine di studiarlo e di ricavarne, entro un mese da oggi, il calcolo dei dati di tiro per le nostre artiglierie d'assedio, contro i capisaldi dello schieramento nemico”. 

E lo congedò così. "Mi misi febbrilmente all'opera – scrive il giovane matematico – dedicandovi anche la notte, all'incerto lume di una candela e presto riconobbi la giustezza delle opinioni del Colonnello Baistrocchi, pervenendo anche a spiegarmi le difficoltà, nel calcolo dei dati di tiro, incontrate dai nostri artiglieri, che non potevano essere da essi superate. Si può immaginare, dopo questo successo della Matematica, sotto quale diversa luce questa mi apparisse. Pensavo: ma, dunque, la Matematica non è soltanto bella, può essere anche utile".

Chiara Forin

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012