SCIENZA E RICERCA

Stiamo perdendo la corsa con i batteri

Facciamo presto. Investiamo in ricerca o i batteri resistenti agli antibiotici vinceranno la loro battaglia e la medicina tornerà indietro di decenni. L’appello, rivolto sia al G20 che si terrà ad Amburgo i prossimi 7 e 8 luglio sia all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà a New York il prossimo mese di settembre, è stato lanciato nei giorni scorsi dalle colonne del quotidiano inglese The Guardian da Ed Whiting, già segretario personale dell’ex primo ministro del Regno Unito, David Cameron, e ora direttore della politica e capo dello staff della Wellcome, la fondazione filantropica indipendente che finanzia soprattutto la ricerca scientifica volta a risolvere i problemi globali.

L’uso e l’abuso di antibiotici è uno dei più grandi problemi sanitari che il mondo deve affrontare. Perché i batteri capaci di resistere a questi farmaci stanno aumentando e, nel giro di una sola generazione, potremmo passare dalle attuali 700.000 morti per anno da infezioni causati dai superbug (appunto i batteri capaci di resistere agli antibiotici attuali) a 10 milioni. Una quantità di decessi superiore a quelli attuali per cancro. Già oggi muoiono 200.000 neonati l’anno per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici. Un’autentica strage di innocenti.

Quella tra antibiotici e batteri è una sorta di “corsa della Regina Rossa”, come quella raccontata in Attraverso lo specchio da Lewis Carroll, dove tutti devono correre di gran carriera per riuscire a restare nello stesso posto. La “corsa della Regina Rossa” tra antibiotici e batteri patogeni è iniziata molto presto. Già nel 1947, infatti, fu trovato il primo batterio capace di resistere alla penicillina, il pioniere degli antibiotici che i medici avevano iniziato a utilizzare solo quattro anni prima.

I batteri stanno velocemente imparando a correre per restare al loro posto e, quindi, per continuare a contaminare e, talvolta a uccidere, gli esseri umani. L’Mrsa (lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina) nel 1991 risultò responsabile del 4% delle morti da infezione del sangue in Gran Bretagna. Solo otto anni dopo, nel 1999, la percentuale era salita al 37%. Mettendo in allarme la comunità scientifica, che constatò in pratica ciò che già si sapeva: la resistenza agli antibiotici evolve in maniera darwiniana, per selezione naturale attraverso mutazioni casuali del Dna dei batteri. Questi minuscoli organismi unicellulari trasferiscono per via orizzontale l’informazione genetica (da un batterio all’altro), cosicché di fronte all’attacco degli antibiotici sopravvivono quelli che hanno la mutazione genetica adatta.

Gli antibiotici non sono usati solo in medicina, ma anche in veterinaria. Secondo un articolo pubblicato due anni fa su Pnas, i Proceedings of the National Academy of Science degli Stati Uniti, nel 2010 sono stati utilizzati negli allevamenti di tutto il mondo oltre 60mila tonnellate di antibiotici. Più della metà dell’intera produzione planetaria di questi farmaci. Gli antibiotici sono somministrati a bovini, maiali e polli sia a scopi terapeutici sia, in larga parte, a scopi preventivi. Per larga parte, sono gli stessi utilizzati in medicina. E, dunque, il loro abuso aiuta lo sviluppo di ceppi batterici resistenti che aggrediscono anche l’uomo. Dal 2006 l’uso preventivo di antibiotici è proibito in Europa, ma l’impiego degli antibiotici negli allevamenti resta alto. Dall’inizio di quest’anno gli antibiotici per uso preventivo sono stati messi al bando anche negli Stati Uniti. Poche limitazioni ci sono, tuttavia, in Brasile, in Cina e in India, che da sola utilizza oltre un terzo degli antibiotici, per così  dire, da allevamento di tutto il mondo.

Nella “corsa della Regina Rossa”, noi umani abbiamo messo in campo diversi tipi di antibiotici. Ma i batteri hanno corso per restare al loro posto: si sono selezionati ceppi che hanno subito diverse mutazione del Dna che li hanno resi capaci di resistere  a ogni tipo di antibiotico o quasi. Si sono così evoluti i batteri multiresistenti, detti anche superbug.  

Il loro successo è tale, sostiene Ed Whiting, da minacciare la struttura stessa della medicina moderna. Senza antibiotici ritornano molte malattie infettive, diventa impossibile (perché troppo rischioso) fare operazioni o chemioterapia. Insomma, crolla buona parte del sistema su cui si fonda la scienza medica attuale.

Ecco perché noi umani, sostiene Whiting, dobbiamo riprendere la “corsa della Regina Rosa”: dobbiamo correre per restare al nostro posto. Anzi, dobbiamo riprendere a correre: perché è da molto tempo che ci siamo seduti. È, infatti, dagli anni ’80 del secolo scorso che non viene approvata e messa in campo una nuova classe di antibiotici. Da almeno trent’anni usiamo sempre le stesse armi: così abbiamo dato modo ai batteri di adattarsi. Basti pensare che tra il 1940 e il 1962 sono state create 20 classi di antibiotici. Poi la curva della creatività antibatterica ha iniziato a scendere per fermarsi del tutto, appunti, ben tre decenni fa. Il motivo, secondo Ed Whiting, è che le industrie private hanno poco interesse a sviluppare nuovi antibiotici, perché gli investimenti sono molto onerosi e gli introiti non soddisfacenti.

L’allarme superbugs non è di questi giorni. Se ne parla da anni. E il fenomeno è noto anche al grande pubblico: nel 2013, per esempio, il grido preoccupato di Dame Sally Davies, capo dell’Ufficio Medico d’Inghilterra, lanciato con il libro The Drugs Don’t Work (i farmaci non funzionano), ha avuto grande eco anche presso il grande pubblico  in tutto il mondo. Esistono anche iniziative per riprenderla, la “corsa della Regina Rossa”. La stessa Wellcome, la fondazione per cui lavora Whiting, è impegnata in un progetto quinquennale, CARB-X, da 450 milioni di dollari con il governo degli Stati Uniti.

Ma tutto questo non basta. Di qui l’appello di Ed Whiting affinché la comunità internazionale – i governi del G20, le Nazioni Unite – si faccia carico con urgenza del problema e avvii un programma su larga scala per riprendere a contrastare con forza i batteri patogeni multiresistenti.

Deve essere, certo, un programma di ricerca di nuove classi di antibiotici. Ma deve essere, anche, un programma che non punta solo a nuovi farmaci. Whiting ne indica, giustamente, alcune forme che puntano sulla prevenzione: noi tutti dobbiamo migliorare l’igiene personale e dell’ambiente in cui viviamo per evitare le infezioni; negli ospedali, soprattutto, bisogna mettere in atto tutte le migliori strategie per evitarla, la diffusione delle infezioni; i governi devono varare piani nazionali per affrontare il problema; dobbiamo migliorare, attraverso la ricerca scientifica, la conoscenza dell’impatto ambientale dei batteri resistenti agli antibiotici. Ma, soprattutto, dobbiamo imparare a usare e a non abusare degli antibiotici, sia in campo medico, nel contrasto alle infezioni, sia in agricoltura, settore dove questi farmaci sono ampiamente utilizzati.

Insomma, per usare uno slogan tipico dell’economia ecologica: dobbiamo imparare a fare di più con meno.

Pietro Greco

 

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