Formaggi in fase di stagionatura. Foto: Sofia Belardinelli
Che il nostro pianeta sia il regno dei microbi è un fatto noto, ma del significato di questo dato di fatto non abbiamo forse piena contezza. I microbi sono letteralmente ovunque, dentro e fuori dai nostri corpi. E gli alimenti che mangiamo non fanno certo eccezione: in molti casi, anzi, i microbi giocano un ruolo primario nella creazione di particolari cibi, come ad esempio gli alimenti lievitati o quelli fermentati (dal pane alle bevande alcoliche, dai crauti allo yogurt).
Un nutrito gruppo di ricercatori coordinato dall’università di Trento ha studiato in modo approfondito le colonie microbiche che popolano una varietà di cibi di diverso tipo e provenienza geografica, assemblando un vasto dataset costituito dall’analisi metagenomica (il sequenziamento di tutti i genomi presenti in un campione, in questo caso un alimento) di circa 2.500 campioni alimentari. La maggior parte di questi (circa 1.600) ricade nella categoria dei latticini, ma sono stati inclusi nell’analisi anche campioni di bevande, verdure e carne fermentate (come la birra, la kombucha, la salsiccia, il kimchi), così come di carne e pesce non fermentati.
A partire dai metagenomi ottenuti, i ricercatori hanno lavorato per isolare singoli genomi e individuare le specie presenti. Il risultato è imponente: sono stati individuati 10.899 genomi di organismi microbici associati al cibo, che sono stati classificati in 1.036 specie procariote (batteri) e 108 specie eucariote (funghi e lieviti). Uno dei dati più interessanti è che circa la metà di questi genomi è risultata appartenente a specie ancora sconosciute, il che dimostra – sottolineano gli autori nell’articolo scientifico, pubblicato sulla rivista Cell – quanto la composizione microscopica della nostra alimentazione sia ancora oggi largamente ignota e poco indagata.
In linea con il tipo di campioni, circa due terzi dei genomi microbici sono risultati appartenenti a batteri tipici dei latticini (come Lactococcus lactis, Streptococcus thermophilus, Lacticaseibacillus paracasei e Lactococcus cremoris), ma i ricercatori hanno notato la loro presenza anche in altri alimenti, come dimostra il caso di L. paracasei, ritrovato nel 27% dei campioni non appartenenti alla categoria dei latticini.
La materia oscura nei nostri cibi
È di particolare interesse la parte della ricerca che ha indagato l’identità di quel 50% di genomi a cui non si è riusciti ad assegnare una classificazione, e che sono dunque sconosciuti alla scienza. «Queste specie non caratterizzate sono diffuse, in quanto sono state individuate in tutti i campioni alimentari e in ben 59 tipi di cibo». Anche nella categoria dei latticini, che è senz’altro quella più studiata dal punto di vista microscopico, la quantità di genomi sconosciuti è risultata molto alta (49%), e comparabile con altre categorie come le bevande fermentate (42% di genomi ignoti) e i semi fermentati (42%). «Questi risultati – proseguono i biologi molecolari – evidenziano che pressoché tutti i tipi di alimenti analizzati in questo studio sembrano presentare un punto cieco nella loro caratterizzazione microbica, punto che meriterebbe di essere investigato più a fondo a beneficio dello sviluppo e della produzione di alimenti».
Andando ancora più nello specifico, i genomi non caratterizzati sono stati ulteriormente divisi in due categorie: quelli individuati anche in altri ambienti (ad esempio nel microbioma umano, come vedremo) e quelli apparentemente presenti solo all’interno dei cibi (food-specific). Più della metà dei genomi sconosciuti (58%) appartiene a questa seconda categoria, diffusa in ognuno dei tipi di alimenti considerati e particolarmente presenti nel pesce fermentato, in frutta e verdura e nei semi fermentati. Uno studio approfondito su questi microbi sconosciuti potrebbe contribuire a spiegare alcune proprietà degli alimenti in cui sono individuati.
Cibi diversi, diversi microbi
Questo studio ha anche esplorato con un approccio quantitativo la distribuzione di diversi tipi di microrganismi nelle varie categorie alimentari. Questo ha permesso di constatare, ad esempio, che la diversità tassonomica (diversità alfa) è più alta nei cibi non fermentati rispetto a quelli fermentati: il particolare ambiente che questi ultimi rappresentano impone ai microrganismi una forte pressione selettiva, che consiste proprio nella capacità di adattarsi al processo di fermentazione.
Inoltre, non sorprendentemente, la distribuzione della diversità beta (il grado di somiglianza tra diverse comunità di specie) è risultata legata alle diverse categorie alimentari, e la composizione delle comunità microbiche dipende dalle materie prime (e dal microbiota di queste ultime) di cui ogni cibo è composto.
Somiglianze e differenze tra il microbioma del cibo e quello umano
Uno degli ultimi passaggi di questa ricerca è consistito nella comparazione dei genomi microbici contenuti nei circa 2500 campioni alimentari analizzati e una database genetico di circa 20.000 campioni di microbioma intestinale e orale umano provenienti da 39 Paesi. Le analisi hanno confermato che diversi batteri tipici del cibo (food-specific) sono presenti anche nel microbiota umano, con una prevalenza molto più alta nei neonati (56%) e nei bambini (8%) che negli adulti (3%) e negli anziani (5%).
È interessante notare che alcuni batteri presenti sia in alcuni cibi che nel latte materno, la cui presenza nel microbioma dei neonati è nota, persistano anche in età adulta: gli autori spiegano che «i cibi potrebbero comunque dei “seminatori” del microbiota in età adulta, i cui ceppi vengono ulteriormente trasmessi da persona a persona e potenzialmente mantenuti fino all’età adulta».
Seppure il percorso della trasmissione non sia del tutto chiaro, questo dato potrebbe suggerire che storicamente alcune popolazioni abbiano acquisito dal cibo alcuni batteri che poi si sarebbero adattati colonizzando in modo permanente il microbiota umano. Nicola Segata, autore senior dello studio, commenta: «Potrebbe sembrare una piccola percentuale, ma quel 3% può essere estremamente rilevante per funzione e ruolo all’interno del nostro organismo. Con questo database possiamo iniziare a studiare su larga scala il modo in cui le proprietà microbiche degli alimenti influiscono sulla nostra salute».