UNIVERSITÀ E SCUOLA
Se studiare la storia può (ancora) essere un lavoro
Militari italiani al fronte di battaglia in una trincea nei pressi di Gorizia nel 1917. Foto: Archivio Gbg / Contrasto
“Da anni sento ripetere il solito ritornello: la ricerca nelle discipline umanistiche non interessa più, non ci sono fondi. Io dico che basta darsi da fare, e le opportunità si trovano”. Matteo Millan è un giovane storico padovano. A 32 anni è già un professionista nello sport più impegnativo per ogni neolaureato che aspiri alla carriera accademica: la caccia alle borse. Dopo il titolo magistrale in storia contemporanea, il dottorato e un assegno di ricerca, tutti conseguiti a Padova (la sua città) ha deciso di guardare all’estero, ottenendo prima un finanziamento dalla Gerda Henkel Foundation che lo ha portato per due anni all’università di Oxford, poi una borsa del governo irlandese presso lo University College di Dublino, per poi centrare il bersaglio maggiore: è uno dei dieci più giovani vincitori degli Starting Grants 2015, i fondi del Consiglio europeo della ricerca (Erc) destinati agli scienziati ad inizio carriera. Fino a un milione e mezzo di euro da investire in cinque anni, assegnati al suo progetto di cui è istituzione referente l’università di Padova. Millan coordinerà un gruppo di cinque ricercatori, che analizzeranno il ruolo dei gruppi paramilitari e delle associazioni armate in alcuni Paesi europei nel periodo che precede la prima guerra mondiale.
La storia di Matteo, lui stesso tiene a sottolinearlo, non è quella di un alieno. Primo laureato della sua famiglia, all’inizio ha lavorato come archivista, e per costruirsi un futuro da accademico si è sempre dato da fare in solitudine (“ma devo ringraziare gli uffici dell’ateneo: mi hanno dato un grande supporto”). Eppure, dal 2007, è solo la terza volta che uno storico si aggiudica uno Starting Grant per un progetto con sede in Italia. Cosa c’è che non funziona? Millan conferma la tendenza che Il Bo aveva già sottolineato proprio analizzando un indicatore significativo come le borse Erc: “Gli italiani competono ai massimi livelli, conseguono un buon numero di borse, ma spesso ne fruiscono presso università straniere”. I fondi Erc, infatti, sono attribuiti al ricercatore, e non all’istituzione: lo studioso è libero, se crede, di cambiare la sede delle proprie indagini. Anche in questo, Matteo è in controtendenza: “Ho scelto Padova perché è la città cui sono legato. Non nego, però, che le opportunità offerte a un giovane storico all’estero siano stimolanti, soprattutto nel Regno Unito”. Ma la motivazione essenziale per restare in Italia è un’altra: “Mi piace l’idea di poter testimoniare che la ricerca umanistica è possibile anche da noi. Vorrei essere tra quanti promuovono una concezione diversa al riguardo, e suggerire ai miei coetanei di non scoraggiarsi mai. C’è una diffusa sfiducia per le prospettive offerte dalle discipline non scientifiche, soprattutto In Italia. Un’istituzione seria come Erc attribuisce molte più borse a fisici o biologi non perché li favorisca, ma perché riceve molte meno domande da storici o letterati”. Una situazione che si spiega, secondo Millan, con la minor attitudine dei settori accademici umanistici a incentivare la partecipazione a bandi internazionali: “Si tende a trattenere un numero limitato di laureati, giovandosi dei soli finanziamenti interni degli atenei. Così moltissimi giovani perdono occasioni d’oro. Quindi la ricetta è una sola: muoversi da soli, cercare le occasioni, provare e riprovare”.
Altri consigli di base per un giovane studioso in discipline umanistiche? “Sicuramente far molta esperienza all’estero” spiega Millan. “Le lingue straniere sono fondamentali, e l’inglese, in particolare, è essenziale per partecipare ai bandi europei. I miei due articoli in inglese hanno avuto più peso dei due libri italiani che ho pubblicato. E poi è importante scegliere linee di ricerca che suscitino curiosità, rompano gli schemi: Erc, ad esempio, premia non tanto l’apporto di nuove conoscenze, quanto la capacità del ricercatore di aprire nuove prospettive, cambiare mentalità acquisite. Credo che questo abbia contato, nella valutazione del mio progetto, ben più del mio curriculum, ancora necessariamente scarno”. Hanno un peso anche gli abstract, i riassunti del tema delle ricerche: “Saperli scrivere in modo chiaro e brillante”, sottolinea Matteo, “è una carta in più. È un’abilità che si acquisisce con l’allenamento, bando dopo bando”.
Cosa fa uno storico con un milione e mezzo a disposizione? “Nel mio caso, darò lavoro a cinque ricercatori che lavoreranno in altrettante nazioni. Nel mio settore gli investimenti non si fanno sulle attrezzature, ma sulle persone”.
Martino Periti