SOCIETÀ

Togliamo i bambini dai rifiuti

“Per quanto io mi rechi ormai da tempo in quei Paesi, l’immagine che non mi lascia mai è quella dei bambini sui cumuli di rifiuti. Sono un tecnico, quando svolgo le mie indagini sul posto sono molto distaccata, ma quando torno in Italia l’ambiente che mi circonda stride in maniera fortissima con ciò che mi sono appena lasciata alle spalle. Che poi quella del Camerun, della Guinea Bissau, del Bangladesh è la realtà di gran parte del mondo”. Maria Cristina Lavagnolo, ingegnere dell’università di Padova specializzata in tecniche di gestione dei rifiuti nei Paesi in via di sviluppo, ha trascorso le ultime settimane tra Yaoundé e Bissau.  

“Quella dei rifiuti è un’emergenza sanitaria prima ancora che ambientale. In queste aree c’è una forte commistione tra rifiuti solidi e acque reflue e ciò può provocare malattie come colera, tifo, epatiti o problemi di dissenteria”. Al punto che l’Organizzazione delle Nazioni Unite pone tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030 (Sustainable Development Goals che seguono i Millennium Development Goals) la necessità di risolvere i problemi legati a una cattiva gestione delle acque e dei rifiuti, garantendo acqua pulita e servizi igienici, dimezzando la percentuale di acque reflue non trattate e aumentando il riciclaggio.

A Yaoundé ad esempio, città di circa cinque milioni di abitanti (meno di due formalmente registrati all’anagrafe), con una produzione di rifiuti pari a 2.000 tonnellate al giorno, la raccolta viene condotta solo nelle strade centrali dove sono collocati grandi containers, svuotati tuttavia poco frequentemente. Nelle discariche è diffusa la combustione periodica. Molta parte della città è composta da bidonville in cui i rifiuti sono abbandonati ai lati delle strade. Le vie sono talmente strette e sporche che è impossibile passare e la raccolta può avvenire solo manualmente. “La popolazione è stretta in quartieri dove vive in maniera indecorosa e senza alcuna dignità”. Lavagnolo si trova spesso a camminare per queste strade, vista la collaborazione didattica tra l’università di Padova e l’Ecole Nationale Supérieure des Travaux Publics, nella quale rientra anche il master in Gestione integrata delle risorse idriche e bonifica ambientale con sede proprio a Yaoundé.

Una delle bidonville di Yaoundé. Foto: Maria Cristina Lavagnolo

“Durante la mia esperienza mi sono resa conto che, nonostante io istruissi le persone colte, mancava da parte della popolazione la consapevolezza sulle tematiche ambientali. È come parlare agli studenti di raccolta differenziata, ma chi poi nelle case deve farla non sa nemmeno che cosa sia”. Da qui l’idea di istituire un centro, sul modello dei moderni caffè letterari, per sensibilizzare la popolazione alle tematiche ambientali e in particolare alla gestione del ciclo dei rifiuti. Uno spazio, che ora non esiste in città, che possa essere un polo di attrazione per la cittadinanza e un luogo di ritrovo e confronto. “È necessario rivolgersi da un lato alle persone colte per formare i tecnici, ma dall’altro bisogna lavorare anche sul substrato meno colto e fare campagne di informazione”, spiega Lavagnolo raccontando un percorso iniziato nel 2011 e che ha visto il contributo del programma ImaginAfrica. La struttura sarà in grado di autosostenersi attraverso un servizio di ristorazione e catering previsto al suo interno. Saranno disponibili libri, opuscoli e riviste oltre a computer dotati di connessione internet, di cui ora gli studenti sono scarsamente dotati. E verranno organizzati incontri pubblici di carattere informativo, seminari e gruppi di discussione, attività laboratoriali di sensibilizzazione. Nei mesi scorsi è stato individuato lo stabile e restaurato con i fondi messi a disposizione dalla Regione Veneto e il Rotary Club di Padova. Ora si sta conducendo una campagna di crowdfunding per raccogliere la somma necessaria a portare avanti i lavori. L’International Waste Working Group fornirà i libri e si occuperà della formazione insieme ai ricercatori padovani. L’associazione Faber Libertatis si occuperà invece dell’informatizzazione del centro e di istruire il personale. A gestire la struttura sarà Tam Tam Mobile, un’associazione locale che già svolge un servizio informale di raccolta dei rifiuti nei quartieri più disagiati. “Gli abitanti – osserva Lavagnolo – hanno capito che lì sta sorgendo qualcosa di importante per loro e già cominciano le prime attività lungo la strada che porta all’edificio”.

La situazione di Bissau è lievemente differente. La città è più povera, ma più dignitosa. Ha meno abitanti e mancano gli slums tipici di Yaoundé dovuti alla forte urbanizzazione dell’ultimo decennio. Le strade sono più larghe e le case più decorose. Ciò non toglie che il problema dei rifiuti rimane, dato che anche qui la raccolta avviene solo nelle zone centrali e i rifiuti abbandonati per strada non mancano. C’è però una maggiore sensibilità nei confronti del problema. La città guineana infatti insieme all’organizzazione Lvia, grazie a un finanziamento europeo (Europe Aid), sta dando corso a un programma di raccolta e smaltimento dei rifiuti che ha coinvolto tra gli altri l’università di Padova.

Il compito del gruppo padovano, che avrà la supervisione scientifica, sarà in particolare quello di costruire un modello di discarica sostenibile, che tenga conto della realtà locale. “Si dovrà considerare ad esempio – spiega la docente – che esistono  i cosiddetti catadores, cioè persone che riciclano i rifiuti, dando vita in questo modo a un’economia di sussistenza, e che all’interno della città è presente un immondezzaio a cielo aperto a cui si dà fuoco in continuazione e dove scorrazzano i bambini”. In questo momento dunque la priorità è quella di risolvere il contingente, tra l’altro con la scarsità di risorse disponibili, prima di pianificare una nuova discarica che richiederebbe plausibilmente altri cinque anni per essere realizzata.

Anche in Costa d’Avorio e nella Repubblica Democratica del Congo sono in corso azioni simili. Nel primo caso come nel precedente grazie a un finanziamento della chiesa valdese sta prendendo avvio lo studio di un progetto per la gestione dei rifiuti. In Congo invece con fondi privati è stato costruito un piccolo impianto di compostaggio. Grazie a questi due progetti e a quello di Yaoundé, tre immigrati africani residenti a Padova coinvolti nei progetti e le loro famiglie hanno potuto far ritorno nel proprio Paese trovando in questo settore un impiego che dà una speranza di sopravvivenza economica.

Insieme alle considerazioni di ordine sanitario e ambientale, un valore aggiunto di cui tener conto.

Monica Panetto

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