UNIVERSITÀ E SCUOLA

Un’Italia “senza radici”, ma viva e plurale

Un’operazione culturale di divulgazione alta e al tempo stesso inconsueta: per struttura, prospettiva adottata e anche per i tempi rapidissimi di realizzazione, “quasi per rispondere ad una urgenza dell'attualità”. Si presenta così la Storia mondiale dell'Italia edita da Laterza e da poco presentata anche a Padova in Aula magna.

Il libro è organizzato in 180 brevi saggi scritti da altrettanti storici, con un andamento cronologico in un racconto per date ed eventi (alcuni noti, altri molto meno). Il volume si ispira alla Histoire mondiale de la France diretta dal medievista del Collège de France Patrick Boucheron: un’opera che, oltre a riscuotere un successo inusitato presso il grande pubblico, ha destato anche non poche polemiche nel mondo intellettuale e scientifico transalpino; si è arrivati ad accusarla di dissolvere la storia nazionale e le sue radici in una sorta di calderone "globale" che poco avrebbe a che vedere con la reale storia della Francia.

Andrea Giardina, curatore del volume con la collaborazione di Emmanuel Betta, Maria Pia Donato e Amedeo Feniello, spiega così questa iniziativa: “Quello che presentiamo è un racconto proiettato verso l’esterno, sul modo in cui l’Italia viene percepita fuori dai suoi confini ma anche sulle presenze straniere presenti al suo interno – dice Giardina, che insegna storia romana alla Scuola Normale Superiore –. Una prospettiva duplice, ben diversa dal racconto nazionale tradizionale, che ha comunque una sua legittimità ma che non è l’unico modo di raccontare la storia di un Paese”.

In Francia il volume è uscito poco prima delle ultime elezioni presidenziali francesi, con una ambizione politica esplicita: presentare a un ampio pubblico una concezione plurale e ben connessa con il mondo della storia francese, contro le letture fortemente identitarie del cosiddetto “roman nationale” che emergevano da posizioni politiche xenofobe o anche semplicemente nazionaliste (come l'idea di imporre a scuola il racconto nazionale come antidoto alla globalizzazione e all’“invasione”).

Del resto anche nell’introduzione al volume italiano vengono sottoposti a critica i concetti di radici di eredità storica: “Questo è un punto delicato – dice Giardina –: in realtà rifiutando determinate metafore non si vuole per questo negare il passato e la sua importanza. La figura delle radici richiama a un argomento di carattere biologico, a una ‘linfa vitale’ che dal passato arriverebbe fino ai nostri giorni e nella quale dovremmo riconoscerci. Già il grande storico tedesco naturalizzato statunitense George Mosse diceva che si tratta di una metafora razzista; io aggiungo solamente che è una prospettiva pericolosa per gli storici, perché così si applica ai fatti storici un criterio valoriale, una sorta di gerarchia eugenetica”.

Questo non significa che non abbia ancora senso parlare di storia e soprattutto di carattere nazionale, anche se in prospettiva mondiale: “Si tratta anzi di un tema sempre importante per gli storici, anche se naturalmente non si tratta di un fatto biologico determinato a priori. È fondamentale capire come un soggetto viene percepito dall’esterno e ciò che pensa di se stesso, e a questo riguardo è interessante notare come nessun altro popolo al mondo abbia ricevuto tanti aggettivi sia stato vittima di tanti pregiudizi come quello italiano”.

E quale sarebbe questo famoso ‘carattere degli italiani’? “Quello di un popolo con una storia importante, che nella sua essenza e nel modo di rapportarsi con gli altri appare sempre uno e molteplice. L’unità d’Italia è plurale; ciò che unisce il Paese è proprio la sua molteplicità, che però al tempo stesso si fonda su una base culturale e linguistica comune molto forte”.

Un punto su cui è d’accordo anche Carlotta Sorba, docente dell’università di Padova specializzata in storia culturale e di genere: “Valorizzare un’Italia plurale in un mondo plurale è un obiettivo civile è forte; si deve anzi sottolineare che la storia è innanzitutto un sapere critico che non va piegato a intenti celebrativi o identitari, come invece è stato nelle origini ottocentesche della disciplina”.

Una storia che insomma passi da fulcro ad antidoto rispetto alle derive odierne: “In un momento in cui sembra prevalere nel dibattito pubblico l'istinto della tana, quello cioè di chiudersi al mondo e di confinarsi  in spazi sempre più stretti, si vuole proporre un racconto in cui il tema delle radici della nostra civiltà è del tutto assente, anzi viene esplicitamente accantonato, per sottolineare invece i contatti, le proiezioni esterne, le connessioni come elementi fondanti di una storia nazionale che risulterebbe incomprensibile senza di essi”.

La storica padovana ha contribuito al libro con un articolo sulla recezione del Nabucco a New York nel 1848, in cui ad esempio mostra come l’arrivo di Verdi nei teatri di Broadway influisca in maniera determinante sul sistema operistico nazionale e sul suo forte rilancio nei decenni centrali dell'800. Tra gli altri storici padovani che hanno collaborato al progetto Luca Fezzi si è occupato di storia romana con il massacro di Pergamo dell’88 a.C., sorta di pogrom ante litteram ordinato dal re del Ponto Mitridate contro i cittadini italici, mentre Valter Panciera ha dedicato il suo saggio al blocco continentale imposto da Napoleone per analizzarne le ricadute sull'economia italiana (1806). Elena Bacchin si è soffermata sui patrioti italiani esuli per il mondo; Giulia Albanese ha affrontato un evento fondante come la Marcia su Roma, analizzandone la risonanza, i riflessi e le proiezioni all'estero; infine Filippo Focardi ha trattato la questione dei criminali di guerra italiani dopo la seconda guerra mondiale, mentre Leila El Houssi ha tratteggiato le ragioni storiche della costruzione (nel 1980 a Catania) della prima moschea in Italia dopo 800 anni.

Daniele Mont D’Arpizio

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