SCIENZA E RICERCA

Un'atmosfera in provetta per studiare gli esopianeti

“Trappist 1, il sistema planetario che tanto ha fatto parlare di sé negli ultimi giorni, si trova a circa 40 anni luce dalla Terra: mandare una sonda spaziale come una delle Voyager, che viaggia a 40 chilometri al secondo, significa impiegare 300.000 anni per arrivarci. La speranza di trovare vita su questi pianeti, dunque, non potrà essere soddisfatta mandando una sonda fino a quel sistema, viste le distanze che ci separano". Per questo, spiega Giuseppe Galletta astrobiologo dell’università di Padova, si sta puntando sui telescopi di nuova generazione – come l’Atmospheric Remote-Sensing Infrared Exoplanet Large-survey dell’Esa o il James Webb Space Telescope della Nasa, senza contare missioni come Cheops e Plato – in grado di rilevare nell’atmosfera le tracce di elementi chimici prodotti da eventuali esseri viventi. Proprio per riuscire a riconoscere queste impronte, quando i telescopi saranno attivi, un gruppo di scienziati italiani, coordinato da Riccardo Claudi dell’Inaf – Osservatorio astronomico di Padova e di cui fanno parte anche molti docenti dell’università di Padova, sta lavorando al progetto Atmosphere in a test tube, “atmosfere in provetta” (nel senso stretto del termine).

I ricercatori in pratica simulano in laboratorio le atmosfere di pianeti che ruotano intorno a una stella nana rossa come Trappist 1 (riproducono cioè temperatura e gas del pianeta all’interno di un illuminatore che irradia luce simile a quella di stelle nane rosse) e introducono nell’ambiente così riprodotto un campione biologico per capire come questo alteri l’atmosfera (dunque nel nostro sistema i gas). Nel caso specifico si tratta di batteri fotosintetici, i cianobatteri, organismi che producono ossigeno e ossidi di azoto e che, qualora presenti su pianeti extrasolari, possono essere rilevati da remoto sulla Terra. Il lavoro viene condotto esaminando le variazioni che avvengono nello spettro della luce irradiata.

“L’obiettivo – spiega Galletta che fa parte del gruppo di ricerca con Nicoletta La Rocca del dipartimento di Biologia, tra gli altri, che studia i batteri fotosintetici – è di anticipare quali sono le caratteristiche spettrali dell’atmosfera di un pianeta che abbia vita fotosintetica intorno a una stella rossa. In questo modo renderemo disponibile una sorta di ‘atlante’, utile come guida per le osservazioni future”. Un database, dunque, che aiuterà a interpretare i risultati che si otterranno con i futuri telescopi spaziali.  

Padova non è nuova a questo tipo di studi. Già nel 2004 aveva realizzato un simulatore di ambiente marziano, il primo strumento in Italia che permetteva di svolgere esperimenti biologici in condizioni estreme come quelle di Marte. Ora la direzione è cambiata e alcuni degli apparati del simulatore sono utilizzati per studiare le stelle nane rosse come Trappist 1. La ragione di questa scelta è presto detta. Le nane rosse sono stelle che possiedono una temperatura contenuta e un’elevata pressione e ciò consente all’atmosfera di conservare integri atomi e molecole. Proprio grazie alle basse temperature i pianeti collocati nella zona abitabile, cioè a una distanza tale dalla stella madre da consentire la presenza di acqua allo stato liquido in superficie, si trovano in prossimità della stella e ciò aumenta la probabilità di un transito planetario. Questi elementi, associati alla ridotta dimensione delle nane rosse che le rende più facilmente perturbabili, rendono più facile individuare pianeti che vi orbitano intorno. “Rivelare pianeti che orbitano intorno a stelle massicce come il Sole attraverso la perturbazione che creano sulla stella o attraverso l’eclisse – argomenta Galletta –  è più difficile quando si tratta di pianeti piccoli e lontani dalla stella. Per rivelare ad esempio un pianeta come la Terra sono necessari almeno due o tre anni, dato che impiega un anno per completare la sua orbita intorno al Sole”.

Ora, secondo Galletta, Trappist 1 potrebbe costituire un buon banco di prova per questo filone di ricerca. Si tratta di un sistema planetario molto simile al nostro sistema solare in cui potrebbe esserci traccia di acqua allo stato liquido. Per questa ragione i tre pianeti collocati nella zona di abitabilità potrebbero costituire i primi candidati a essere studiati, alla ricerca di possibili forme di vita. In merito però Galletta avanza qualche precisazione. Osserva innanzitutto che l’intensità di marea di una stella nana rossa è tale da indurre il pianeta a mostrare spesso lo stesso emisfero alla stella (un fenomeno detto “risonanza”) con conseguenze sulla temperatura. Altri pianeti invece potrebbero avere un giorno e una notte molto più lunghi rispetto a quanto siamo abituati. “Su questi pianeti, dunque, non esiste – se esiste – una vita con un’alba e un tramonto come noi la intendiamo”. A ciò si aggiungano le intense radiazioni X provenienti dalla stella, pericolose per la vita, a cui sono sottoposti questi pianeti. “Se la vita esiste, dunque, potrebbe esistere all’interno di cavità o nel sottosuolo, o ancora all’interno di laghi o bacini d’acqua e potrebbe non essere del tutto rivelabile in superficie”. E infine i raggi cosmici, particelle energetiche come protoni, elettroni e nuclei di elio, che possono provenire dalla stella o dalla Galassia, possono interagire con l’atmosfera e distruggere eventuali segnali di attività biologica in essa presenti. Entusiasmo sì dunque, ma non senza cautela.

Monica Panetto

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