SOCIETÀ

Vita da Millennials, secondo il Censis

Svolgono lavori spesso non in linea con la loro qualifica e accettano di fare straordinari sottopagati. I più audaci si lanciano in attività imprenditoriali. Sono sempre connessi con il resto del mondo, ma amano profondamente il loro paese natio. Appaiono individualisti, in realtà sono molto solidali. E soprattutto pensano che il meglio debba ancora venire.

Sembra fare a pugni con i dati su disoccupazione giovanile e fuga dei cervelli, che la stampa ci sottopone pressoché quotidianamente, il ritratto delle generazioni nate tra il 1980 e i primi anni Duemila che il Censis disegna nel rapporto “Vita da Millennials: web, new media, start up e molto altro”, realizzato per il Padiglione Italia a Expo 2015. Che si tratti davvero dell'altra faccia della stessa medaglia, quella che, nonostante le spinte positive, fa meno notizia? Quella dei giovani che non ti aspetti, più aperti al nuovo e all'altro rispetto ai baby boomers, pronti a giocare il loro ruolo per la ripresa economica e sociale dell'Italia.

Il 42,1% degli under 35, contro il 18,3% degli adulti, ritiene infatti che non tutto sia stato già detto e fatto, e che “le cose possono migliorare con l'impegno e la voglia di fare”. Segnali incoraggianti arrivano dal numero di nuove imprese giovanili nate nel solo secondo trimestre di quest'anno: più di 300 al giorno, da Nord a Sud. Complessivamente un terzo del totale. I settori in cui si è maggiormente dispiegata questa vitalità sono il commercio, l'alberghiero e la ristorazione, le costruzioni. Ma il vero exploit lo hanno raggiunto le start up, in particolare in ambito tecnologico: la loro quota è quasi quattro volte superiore a quella delle società di capitali giovanili (23,7% delle prime contro il 6,7% delle seconde).

Al dinamismo imprenditoriale di tanti Millennials, si contrappone la rassegnata adattabilità al lavoro di 2,3 milioni di loro coetanei, ragazzi che pur di entrare e rimanere nel mercato abbracciano impieghi di livello e/o contenuto inferiore alla propria qualifica (46,7%), saltuari (36,4%) o addirittura non in regola (23,3%). Un “lavoro purchessia” ma al contempo tale da assorbire il quotidiano. La disponibilità sempre, ovunque e comunque, anche a distanza e oltre gli orari previsti tramite pc e smarthphone, finisce col sovrapporsi al tempo di vita.

Che i giovani siano sempre connessi non stupisce (94% rispetto al 70,9% del dato medio complessivo). Interessanti, invece, sono i comportamenti di sharing economy che raccontano di stili di vita fortemente orientati a nuove tendenze. Tra queste: l'acquisto sul web di servizi e prodotti alimentari e usati; il finanziamento di idee altrui tramite le piattaforme di crowdfunding; il ricorso al couchsurfing per offrire e ricevere ospitalità in occasione di viaggi. Non sfugge l'attenzione all'ambiente: il 21,9% si sposta regolarmente in bicicletta, mentre l’8,4% dichiara di utilizzare il car sharing e il bike sharing.

Spicca, poi, l'apertura verso i temi etici e sociali del momento. Il 73,4% dei giovani fra i 18 e i 34 anni è favorevole al matrimonio tra omosessuali e il 59,6% all’adozione di bambini da parte di coppie dello stesso sesso. L’81,8% dice sì al divorzio breve e il 77,5% al testamento biologico. Il 66%, infine, concorda con l’accoglienza di rifugiati provenienti da zone colpite da guerre o calamità naturali.

Tale richiamo alla solidarietà globale contrasta all'apparenza con il forte individualismo delle nuove generazioni. In realtà, la propensione alla relazione, l'andare per il mondo, il policentrismo culturale e degli stili di vita le porta ad aprirsi all'altro e a comprenderne dolori e rischi. Un'inclinazione, questa, che si ravvisa anche nei confronti dei familiari. Dall'analisi del Censis, infatti, emerge che non sono solo i parenti a dare un aiuto economico ai giovani a corto di denaro per mancanza di lavoro (58,9%). Oltre 920mila under 35 hanno affermato di aver contribuito a sostenere le finanze della famiglia.

La precarietà, l'alto tasso di disoccupazione (24,2%, il triplo di quello della popolazione adulta) e il fenomeno dei Neet, di coloro cioè che non studiano e non lavorano,  si confermano anche nel ritratto “think positive” del Censis dal quale però emerge anche la triste realtà di chi acconsente a lavorare oltre l'orario formale senza essere adeguatamente remunerato (+17,1% rispetto ai baby boomers).  A far davvero da contraltare le esperienze di Millennials che, dopo aver vissuto periodi più o meno lunghi all'estero, ritornano nella terra d'origine per avviare una propria attività o giocare le competenze acquisite nelle realtà produttive locali. Un timido segnale di un ritorno dei nostri cosiddetti cervelli in fuga?

Elena Trentin

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