SCIENZA E RICERCA

I nostri vasi sanguigni “sentono” il ritmo circadiano

L’orologio circadiano è un timer biologico interno che coordina il funzionamento dei nostri organi e l’espressione genica con il giorno solare di 24 ore e l’alternanza luce/buio: alterazioni di questo orologio sono state associate a disfunzioni vascolari suggerendo una sua possibile funzione diretta nelle cellule endoteliali, che formano i vasi sanguigni.

Lo studio The circadian protein BMAL1 supports endothelial cell cycle during angiogenesis, pubblicato sulla rivista Cardiovascular Research, dimostra per la prima volta, infatti, che le cellule endoteliali possiedono un orologio biologico interno. L’alterazione di questo orologio tramite il blocco della proteina BMAL1 è in grado di rallentare il processo di formazione dei vasi sanguigni sia in un contesto di normale sviluppo, sia in un contesto patologico quale, ad esempio, quello della crescita di un tumore.

Abbiamo approfondito la ricerca con Massimo Santoro, docente del dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e corresponding author dello studio.

Professore, quali sono i suoi ambiti di ricerca?

Il mio laboratorio si focalizza sullo studio del funzionamento del sistema cardiovascolare e di alcuni meccanismi alla base dell’insorgenza e della propagazione dei tumori: in particolare, ci occupiamo di cancro della mammella e di melanoma.

Il laboratorio è diviso in due branche: una si occupa più di vasi sanguigni e l’altra di tumori. Nella prima parte, che riguarda l’angiogenesi – la formazione di nuovi vasi sanguigni in contesti sia normali che patologici –, abbiamo diverse linee di ricerca e in particolar modo studiamo come il metabolismo influenza la fisiologia delle cellule endoteliali e tumorali.

Com’è composto il suo team di lavoro?

Sono orgoglioso di avere un team internazionale, con metà ricercatori italiani e metà provenienti un po’ da tutto il mondo: Spagna, Argentina, Cina… Io stesso sono stato molto all’estero, quindi mi piace mantenere questa internazionalità: in laboratorio parliamo sempre in inglese perché è importante anche per far crescere i ragazzi che dovranno poi confrontarsi un giorno in un ambiente che potrebbe – molto probabilmente – non essere italiano. È giusto che imparino a parlare in un’altra lingua e a conoscere anche usi e costumi diversi. Personalmente, cerco sempre di stimolarli ad andare all’estero per fare un’esperienza di vita “fuori di casa”: io l’ho fatta e mi è piaciuta molto perché mi ha formato professionalmente e umanamente.

Dalla vostra ultima ricerca emerge che le alterazioni dell’orologio circadiano sono state associate alle disfunzioni vascolari. Cosa significa?

Come ho detto prima, noi ci occupiamo di capire quali sono i meccanismi sia cellulari che molecolari alla base del funzionamento delle cellule endoteliali – quelle che formano il nostro sistema circolatorio –; in uno dei nostri studi abbiamo ipotizzato che il ciclo circadiano, cioè il timer biologico che abbiamo nel nostro organismo e che regola il giorno delle 24 ore, fosse presente anche all’interno delle cellule endoteliali.

Nessuno aveva mai considerato questo aspetto in passato, o almeno non nel sistema cardiovascolare. Io e il mio team abbiamo affrontato concretamente questo problema, analizzando i modelli animali (nel nostro caso i topi) e isolando le cellule endoteliali ogni tre ore durante il ciclo delle 24 ore: devo dire che i miei giovani collaboratori hanno fatto un ottimo lavoro perché hanno passato giornate e nottate intere a monitorare costantemente i modelli per osservare che si verificasse la nostra ipotesi. Effettivamente, abbiamo visto che le cellule endoteliali “sentono” in qualche modo a che ora del giorno siamo e quindi possiedono un loro “orologio” interno.

Il secondo passaggio è stato quello di capire cosa succede se blocchiamo questa capacità di sentire il ciclo circadiano; per farlo abbiamo eliminato la molecola BMAL1 – che funge da regolatore del ciclo – all’interno delle cellule, che così facendo sono state indotte a non “sentire” più in che ora del giorno ci troviamo e quindi anche l’alternanza luce/buio.

La molecola BMAL1 è presente in tutte le cellule del nostro organismo, anche in quelle endoteliali. Per capire quanto fosse importante nell’endotelio l’abbiamo tolta solo da lì, quindi il resto dell’organismo non è stato coinvolto nel test. Questo approccio ci ha permesso di vedere che, in assenza di questo gene, le cellule endoteliali non erano più in grado di proliferare e quindi abbiamo potuto studiare l’effetto della mancanza di questo regolatore sia in un contesto di sviluppo normale sia in un contesto patologico di crescita dei tumori.

Mi spiego meglio: per crescere, il tumore ha bisogno di nuovi vasi sanguigni che provvedano a dare ossigeno e nutrimenti. Se manca questo apporto di nutrimento, il tumore regredisce. Abbiamo osservato che se nei modelli animali in cui simulavamo la formazione di questi tumori mancava la molecola BMAL1 nelle cellule endoteliali, il tumore non cresceva. È stata una scoperta importante perché abbiamo identificato un possibile nuovo meccanismo per bloccare la crescita dei tumori facendoli “morire di fame”; questo, potenzialmente, può aprire la strada a nuove terapie.

Pensa che in futuro si potrà bloccare la proteina BMAL1 – e quindi la crescita del tumore – tramite un farmaco?

Ipoteticamente sì: il farmaco potrebbe bloccare questa molecola chiave, la BMAL1, cioè il sensore del ciclo circadiano. Ma paradossalmente, in maniera più naturale, una persona potrebbe essere esposta a periodi di “jet leg continui”, in modo che l’organismo perda il sentore di cosa succede e non dia modo al tumore di proliferare.

L’idea alla base è capire se alcune malattie riescono a essere curate oppure no, valutando se c’è poi una compensazione tra rimanere costantemente “stressati dal jet leg” e avere un tumore che non cresce più. Ovviamente una persona non può vivere sempre al buio o sempre alla luce: in caso di una patologia in un determinato distretto, si potrebbe pensare di agire in maniera localizzata con esposizione continua alla luce nella parte del corpo interessata al tumore, per vedere se questa alterazione ha degli effetti benefici.

Oltre al tumore, poi, esistono altre malattie che potrebbero essere interessate dall’alterazione del ciclo circadiano: infarto e arteriosclerosi, ad esempio, perché sono anch’essi legati alla fisiologia delle cellule endoteliali e quindi dei vasi sanguigni.

Per quanto tempo avete lavorato a questa ricerca? Quali sono gli approcci innovativi che avete usato nel laboratorio per la vostra ricerca?

Lo studio è durato in tutto 3-4 anni. Fortunatamente abbiamo continuato a lavorare anche durante il covid, pur con tempi più dilatati.

Dopo attente osservazioni sui modelli animali, abbiamo eseguito degli studi più dettagliati a livello molecolare utilizzando dei metodi di sequenziamento di ultima generazione, per andare a capire meglio come agisse il gene BMAL1. Questa proteina era già stata studiata in altri contesti, ma nel caso dell’angiogenesi e delle cellule endoteliali mai. Siamo inoltre riusciti a generare una serie di dati, chiamati omici, che potranno essere utilizzati anche da altri laboratori in futuro perché li abbiamo depositati in un database pubblico a cui i ricercatori possono attingere.

Per ottenere questi sequenziamenti di ultima generazione abbiamo utilizzato tecniche di chromatin immunoprecipitation, cioè immunoprecipitazione della cromatina, seguita a sequenziamenti dell’RNA legato; questo ci ha permesso di identificare nel dettaglio il meccanismo della molecola BMAL1 all’interno del ciclo circadiano.

E nel prossimo futuro? A quali ricerche state lavorando?

Il nuovo progetto di cui ci stiamo occupando prevede lo studio di come i tumori colonizzano l’organismo, cioè formano le metastasi. Questo processo prevede che ci siano delle cellule dentro il tumore che si staccano dal sito principale ed entrano nel circolo sanguigno, quindi attraverso i vasi sanguigni vanno a colonizzare tessuti secondari per formare, purtroppo, le metastasi.

Noi stiamo cercando di identificare se i meccanismi circadiani ma anche quelli metabolici, cioè legati alla nutrizione, sono coinvolti in questo processo con l'idea di bloccarli per impedire alle cellule di evadere e di colonizzare altri siti con le metastasi. In particolare stiamo studiando il contesto del cancro della mammella e del melanoma, anche in collaborazione con altri gruppi di ricerca.

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