SCIENZA E RICERCA

Sperimentazione animale e progresso scientifico, quale futuro?

Il più importante centro di studio di genomica, il Wellcome Sanger Institute, ha annunciato che presto chiuderà una delle sue strutture: quella dedicata agli studi condotti sui topi da laboratorio.

Stando alle parole del comunicato stampa ufficiale, la decisione sarebbe stata presa in seguito a un'accurata valutazione della strategia e degli obiettivi scientifici da perseguire. Il futuro dell'attività di ricerca dell'istituto, infatti, avrà lo scopo di basarsi sempre di più su metodologie che non necessitano dell'utilizzo di animali, preferendo invece procedere tramite l’uso di colture in vitro.

Come riportato da Nature, però, sembra che tale decisione abbia suscitato una certa perplessità da parte di alcuni scienziati, i quali ritengono che la ricerca che si può fare senza l'uso degli animali sia, al momento, limitata. Per questo motivo, la scelta del Sanger rischierebbe di rallentare, se non addirittura far regredire, l'attività di ricerca dell'istituto, trattandosi di sperimentazioni complesse e delicate, non adatte a procedere con il solo impiego di tecnologie alternative.

Ma andiamo per ordine. Di cos'è che si occupa il Wellcome Sanger, esattamente? L'istituto conduce delle ricerche mirate a una maggiore comprensione della biologia umana tramite lo studio del genoma, analizzando in termini molecolari la struttura e funzione dei geni, i meccanismi cellulari sottostanti il loro funzionamento, e la conseguenza di mutazioni nel DNA nel corretto funzionamento di organi e tessuti, allo scopo di analizzare le cause di molte patologie e cercare i metodi più adeguati per trattarle.

Ebbene, a questo punto la questione è se la decisione di rinunciare alla ricerca improntata sulla sperimentazione animale sia funzionale o meno allo scopo prefisso. C'è tuttavia da sottolineare che il Sanger institute non ha deciso di eliminare del tutto i test sugli animali. “La ricerca basata sull'utilizzo dei topi rimarrà una parte importante dell'attività scientifica del Sanger Institute”, scrive il direttore Mike Stratton. L'intenzione, infatti, è sì quella di chiudere il reparto apposito e di ridurre drasticamente il numero dei topi impiegati per gli studi, ma non certo quella di rinunciarvi del tutto. Gli animali ancora impiegati nelle attività di ricerca verranno sistemati in altre strutture, verosimilmente in quelle di alcuni istituti che collaborano con il Sanger.

In ogni caso, che si parli di ridurre o eliminare del tutto gli animali dai laboratori, permane l'interrogativo principale: un investimento maggiore sulla ricerca in vitro rappresenta o meno un passo avanti per la ricerca? Si tratta di una mossa a favore del progresso scientifico, o rischia di rivelarsi un ostacolo allo sviluppo della biomedicina?

Abbiamo chiesto aiuto al professor Paolo Bonaldo, docente di biologia applicata all'università di Padova e direttore del Polo Vallisneri, e alla professoressa Paola Braghetta, docente di biologia generale, per fare chiarezza sulla questione e capire come e in quali ambiti vengono oggi utilizzati gli animali nella ricerca biomedica.

I docenti ci tengono prima di tutto a sottolineare che l'ambito in cui si muove la sperimentazione animale, sempre come punto finale della ricerca, è in termini di studio e aumento di conoscenze sui processi biologici di base in condizioni normali, per poi passare alla comprensione di diverse malattie, come le cardiopatie, i tumori, le patologie cardiovascolari, e poi di un'eventuale sperimentazione per la validazione di nuovi farmaci.

“La ricerca parte sempre da studi di base, più che da studi direttamente legati a qualcosa di tipo farmacologico”, chiarisce il professor Bonaldo. “Nel momento in cui si studiano le malattie umane, bisogna prima giungere a una comprensione dei processi di base. La conoscenza di tutti questi aspetti permette di comprendere perché si scatena una patologia e poi cercare una cura, una diagnosi. L’utilizzo di animali è solo uno dei passaggi, ed essendo dispendioso sia in termini economici che temporali, esso è basato su ampie evidenze sperimentali e risultati ottenuti con varie tipologie di studi in laboratorio, come le colture cellulari. Il topo è il principale animale con cui si lavora in tale ambito, essendo un mammifero e quindi evolutivamente vicino all'uomo, ma ci sono anche diversi altri modelli animali utili per studi biologici di base, come ad esempio i pesci, che sono comunque vertebrati e quindi non lontani dall’uomo dal punto di vista degli organi e dei tessuti. Per esempio, lo zebrafish è un pesce d'acquario trasparente e facilmente allevabile, che permette di fare studi economici e poco invasivi”.

Esistono poi altre tecnologie che possono essere impiegate. Si tratta per esempio dell'uso di organoidi in 3D, che rappresentano mezzi più economici, seppure ancora in fase di sviluppo. La ricerca sugli animali infatti costa moltissimo, visto che deve obbligatoriamente seguire tutta una serie di direttive europee, ma anche soddisfare i requisiti di condizioni ottimali per produrre risultati affidabili e scientificamente validi. Essa quindi richiede uno staff composto da varie figure, tra cui veterinari e personale esperto, interno ed esterno alla struttura.

“I costi sono dovuti alla necessità di sovraintendere la sperimentazione, ma anche ad un'attenzione molto forte a garantire il benessere degli animali”, commenta la professoressa Braghetta. “L'animale deve stare bene, l'ambiente in cui si trova dev'essere sia il più salutare possibile, in cui c'è assenza di patogeni, sia nelle condizioni di fargli mantenere uno stato di benessere, privo di stress, in modo tale da alterare il meno possibile il suo comportamento. Va ancora sottolineato che la sperimentazione animale è solo uno degli ambiti in cui si muove la ricerca biomedica. Ad esempio, lavorando con colture in vitro o su organoidi 3D ci sono tempi molto più veloci, costi inferiori, possibilità di tante repliche, e questo è il grande vantaggio del loro ampio utilizzo”.

“Si sta cercando di spingere sempre di più verso queste colture in vitro che riproducono condizioni simili all’in vivo, ma al momento attuale esse non possono sostituire completamente la sperimentazione animale, perché comunque c'è bisogno di tali studi in diversi ambiti, ad esempio prima di avviare trial clinici e per verificare se ci siano effetti collaterali”, precisa il professor Bonaldo.

“L'animale è il punto d'arrivo di una ricerca”, sottolinea la professoressa Braghetta. “Molti dati vengono raccolti prima, in vitro e con tutti quei metodi e strumenti che non prevedono gli animali. Ma il punto d'arrivo dev'essere poi l'organismo stesso. Anche nel caso in cui ci siano farmaci testati in vitro, ad un certo punto questi devono arrivare a studi nell'animale, per vedere come essi vengono modificati dal microbiota e dalle condizioni fisiologiche del sistema gastrointenstinale, come vengano poi assorbiti o trasferiti nel sistema circolatorio, e tutto questo è impossibile da riprodurre. Esistono gli organ-on-a-chip, che sono sistemi per cui si riproducono degli organi su una struttura ingegneristica, e si possono mettere in relazione tra di loro. Si punta ad avere uno human-on-a-chip, cioè un modello di studio dell'intero organismo umano costruito in questo modo. In un futuro ci si potrebbe anche arrivare, ma pensiamo a quanti organi diversi ci sono all'interno del nostro corpo, al fatto che al momento si possono mettere in relazione al massimo quattro o cinque organi, e che poi comunque resterebbe comunque da analizzare tutto il processo di assorbimento del farmaco”.

Qual è quindi il futuro della sperimentazione sugli animali? In quale direzione si sta muovendo il progresso scientifico, dato che l'animale sembra essere, almeno per il momento, insostituibile?

“Si sta investendo in parallelo”, spiega la professoressa Braghetta. “Si è consci del fatto che più informazioni si ottengono dalle modalità alternative, meno animali si ha la necessità di usare. Questo fa sì che la sperimentazione su modelli non basati sull'utilizzo di animali abbia avuto un incremento notevole, come è giusto che sia”.

Il riferimento, in particolare, è allo sviluppo di alcuni modelli ingegneristici che riproducono sempre più fedelmente il funzionamento dei meccanismi biologici.  

“Ma è altrettanto necessario essere consapevoli che non ci si può fermare lì. Tutte queste tecnologie sono certo importanti per raccogliere informazioni e permettono di arrivare a utilizzare l'animale sulla base di un crescente bagaglio di informazioni e conoscenze. Quando sono state raccolte sufficienti informazioni per prevedere cosa succede, tramite sistemi in vitro, approcci bioinformatici, uso di banche dati, e sviluppo di modelli, allora non resta niente da fare se non verificarlo su un organismo completo”, chiarisce la professoressa.

“Nel mondo della scienza, non si può pensare che l’introduzione di nuovi strumenti e nuovi approcci sia immediatamente in grado di sostituire tutto il resto”, aggiunge il professor Bonaldo. “Certo, la ricerca si evolve continuamente e con tempi sempre più rapidi, e gli strumenti e metodiche che si utilizzavano anche solamente una decina anni fa non sono rimasti gli stessi che invece si utilizzano oggi. Anche nello studio delle malattie umane e nel mondo della medicina i progressi sono sempre maggiori, ed oggi si tende sempre di più verso una cosiddetta medicina personalizzata; ad esempio, ognuno di noi ha un patrimonio genetico diverso, il quale influenza l’insorgenza e entità di una certa malattia, ed essa è influenzata anche da varie condizioni fisiologiche e ambientali. È importante tenere presente che non si può pensare di sostituire tutto questo con dei modelli. Con una serie di sequenze e di algoritmi si possono costruire modelli in silico o in vitro, ma il modello in vivo rimane ancora spesso insostituibile, ed è qui che risulta ancora utile e spesso indispensabile la sperimentazione animale, fino a quando il progresso nelle conoscenze o negli strumenti a disposizione della ricerca biomedica permetterà di poterla sostituire completamente. Un traguardo che ogni ricercatore spera di vedere realizzato, ma al momento attuale non ancora a portata di mano”.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012