UNIVERSITÀ E SCUOLA

Buongiorno professor AI

Non passa quasi giorno senza che si parli di intelligenza artificiale e delle sue applicazioni, che ormai sembrano coinvolgere anche il nostro stesso modo di trasmettere la conoscenza. Non si tratta solo di sfruttare ChatGPT per fare i compiti o preparare le lezioni: ha ancora senso continuare a insegnare le stesse cose con gli stessi metodi, in un mondo in cui i computer sembrano sempre più in grado di svolgere attività ‘umanissime’?

Lo chiediamo a Chris Dede, che proprio delle compenetrazioni tra didattica e AI è considerato uno dei pionieri e massimi esperti al mondo. Titolare per 22 anni della cattedra ‘Timothy E. Wirth’ in tecnologie dell'apprendimento presso la Harvard Graduate School of Education, Dede è oggi Co-Principal Investigator del National Artificial Intelligence Institute in Adult Learning and Online Education, e non si può dire che il dibattito in corso lo colga di sorpresa. “Ricordo quando da studente, nel 1970, lessi il primo articolo su intelligenza artificiale e istruzione – racconta a Il Bo Live –: l'autore prediceva con sicurezza che entro la fine del decennio non avremmo più avuto bisogno di insegnanti, perché l'intelligenza artificiale avrebbe fatto tutto”. Con lo studioso abbiamo fatto una densa chiacchierata on line, che proviamo a riassumere in alcuni concetti chiave.

Hype cycle. Letteralmente ‘ciclo dell’esagerazione’: si tratta di uno schema normalmente applicato al mondo dell'Information Technology, secondo il quale l’adozione di una nuova tecnologia passa attraverso una fase di entusiasmo alla quale segue generalmente un periodo di disillusione. “Finora ho vissuto nove cicli di hype applicati all'AI: all’incirca ogni cinque anni gli ottimisti prevedono che questa prenderà il posto degli esseri umani, i pessimisti che li massacrerà. Anche l'intelligenza artificiale generativa sta provocando punti di vista estremi, ma la verità come sempre è da qualche parte nel mezzo”.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Barbara Paknazar

Occhio all’effetto ELIZA. Fin dagli albori dell’informatica scienziati e ricercatori hanno sognato che i computer potessero comunicare usando con il linguaggio umano. Da questo punto di vista le applicazioni odierne rappresentano sicuramente una svolta, che però comporta anche una sfida: il cosiddetto effetto ELIZA, dal nome del chatbot sviluppato nel 1966 al MIT da Joseph Weizenbaum. “Fondamentalmente significa che, se qualcosa utilizza il nostro linguaggio, siamo automaticamente portati a presumere che sia anche intelligente. In realtà il modo migliore di immaginare l'intelligenza artificiale generativa è quello di pensare a un cervello senza mente, che risponde come se fosse una persona senza però capire cosa ascolta e cosa dice”.

AI? meglio l’IA. Piuttosto che di Artificial Intelligence Dede preferisce parlare di Intelligence Augmentation, che si ha quando la tecnologia assiste le persone invece di sostituirle: “L’intelligenza artificiale può ad esempio scansionare 1.500 riviste mediche online ogni mattina alla ricerca di informazioni o dati che potrebbero riguardare quel particolare paziente, oppure esaminare le cartelle cliniche di altri pazienti in tutto il mondo in cura per malattie simili, elaborando enormi quantità di dati e fornendo molto rapidamente diversi tipi di modelli e stime. Nessuno però vorrebbe essere curato dall'intelligenza artificiale: solo l'essere umano può comprendere aspetti fondamentali come il dolore e i sentimenti delle persone riguardo alla vita e alla morte”.

Calcolo e giudizio. Per tutte queste ragioni è fondamentale secondo Dede distinguere tra le attività da affidare alle macchine e quelle da lasciare alle persone: tra le prime vanno comprese la raccolta e l’elaborazione di dati (reckoning), mentre gli esseri umani sono insostituibili in tutto quello che riguarda i giudizi di valore (judgement). “L'intelligenza artificiale fa i conti e gli esseri umani giudicano: quando entrambe le attività sono fatte bene e si completano a vicenda allora abbiamo l’Intelligence Augmentation. Le stime attuali dicono che entro i prossimi 10 anni la maggior parte dei lavori avrà dei partner AI: dobbiamo preparare gli esseri umani più al judgement e meno al reckoning. In altre parole è necessario cambiare non solo i processi, ma anche gli obiettivi formativi”.

Insegnare con l’AI. “Ci sono diversi modi in cui l'intelligenza artificiale influenzerà l'insegnamento e l'apprendimento. Istituti come quello di cui faccio parte stanno ad esempio sviluppando assistenti per i docenti universitari che siano in grado di rispondere alle domande degli studenti, offrire un tutorato di base, dare aiuto in biblioteca o in laboratorio… in futuro immagino i professori aiutati da questi agenti provvisti di intelligenza artificiale che svolgono parte del lavoro”. Un secondo punto importante riguarda il cosiddetto learning by doing, magari attraverso piattaforme simili a quelle dei videogiochi.

L'intelligenza artificiale generativa è come un cervello senza mente, che risponde senza capire

Ripensare la valutazione. “Le università, inclusa Harvard, basano ancora la valutazione sui test. Spesso però questi implicano attività di memorizzazione e di calcolo piuttosto che l’elaborazione di giudizi: stiamo quindi preparando gli studenti a essere perdenti nei confronti dell'intelligenza artificiale, quando dovremmo invece enfatizzare il giudizio e prepararli a fare quello di cui la tecnologia non è ancora capace”.

Lo studio individuale è comunque insostituibile. “Per costruire il loro futuro gli studenti devono capire punti di forza e limiti dell’AI, ma non necessariamente come funziona tecnicamente, così come per guidare l’automobile non bisogna essere per forza meccanici o ingegneri. Devono però soprattutto imparare che l’obiettivo di un viaggio non è la meta ma il viaggio stesso. Compiti e consegne assegnati dai docenti non sono importanti per i risultati prodotti, ma perché abituano gli studenti ad apprendere e ad esprimere le competenze che acquisiscono. Se fai fare tutto il tuo lavoro all'intelligenza artificiale generativa non stai intraprendendo alcun viaggio: non stai quindi imparando come arrivare a destinazione. Stai solo imbrogliando te stesso, e un giorno potresti essere sostituito da una macchina”.

Siate scettici, siate lenti. “Vengono fatte molte affermazioni sull'AI generativa che semplicemente non sono vere. Essa può risponderci utilizzando il nostro linguaggio, ma non è detto che da essa otterremo una risposta migliore rispetto a quella di un essere umano. È dunque molto importante essere scettici e prendersi il tempo giusto per comprenderne i limiti. Al contempo dobbiamo dare agli studenti obiettivi che l’AI non possa raggiungere: solo così saranno preparati per un mondo dove la loro intelligenza sarà sempre più aumentata dalla tecnologia”.

Speciale Intelligenza Artificiale

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012