SCIENZA E RICERCA

Imprigionati nel proprio corpo: alla ricerca di una via per comunicare

Un modo per analizzare lo stato di coscienza in pazienti imprigionati nel proprio corpo, e riuscire così a comunicare con loro. È quanto propone un gruppo di ricerca internazionale in un articolo pubblicato recentemente su Communications biology.

Ne abbiamo parlato con Federico Zilio, primo autore dello studio, ricercatore in filosofia morale e neuroetica all’università di Padova e autore del libro Consciousness and World. A Neurophilosophical and Neuroethical Account (ETS 2020).

Ci sono pazienti con malattie come la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), con sindrome locked-in completa, che non riescono a comunicare con l’esterno in alcun modo e questo rende difficile sondare il loro stato di coscienza. Il vostro studio parte da questi presupposti…

Il nostro studio prende avvio da un’esigenza pratica. La Sla è nota per danneggiare i motoneuroni tanto da condurre il paziente in una condizione di progressiva paralisi a causa dell’atrofia muscolare. Questa situazione, in cui il paziente è cosciente ma impossibilitato a muoversi, è chiamata sindrome locked-in (ci possono essere altre cause che portano a tale sindrome, come lesioni al ponte del tronco encefalico). Fintanto che qualche movimento è risparmiato dalla malattia, di solito quello oculare, si può parlare di locked-in classica. Quando invece non vi è più nessun movimento volontario si parla di locked-in completa, situazione in cui una comunicazione affidabile non è più possibile, anche con l’utilizzo di neurotecnologie avanzate come le brain-computer interface. L’esigenza di riuscire a comunicare con questi pazienti ha condotto diversi studiosi a chiedersi se effettivamente il loro stato di coscienza sia preservato o subisca delle alterazioni.

Noi ci siamo interrogati proprio su questo: la coscienza in tali pazienti rimane la stessa? Si altera? Si riduce o si estende? Se qualcuno ha mai provato una delle cosiddette sensory deprivation tank (vasche oscurate e insonorizzate, riempite di acqua alla temperatura della pelle e molto salata per facilitare il galleggiamento) potrà ricordare come dopo pochi minuti di isolamento e deprivazione sensoriale la mente e la coscienza vaghino nello spazio e nel tempo. La questione puramente teoretica diviene pragmatica ed eticamente urgente nel momento in cui si parla di pazienti rinchiusi nel loro corpo e incapacitati a comunicare con il mondo esterno, come i pazienti con Sla e locked-in completa.

Per poter “misurare” la coscienza, serve innanzitutto definirla….

Questa è una necessità non solo pratica, ma anche filosofica. La coscienza “si dice in molti modi”, nel senso che il suo significato può cambiare a seconda dell’ambito di studio o dell’approccio utilizzato. Può voler dire la capacità di essere svegli e vigili (wakefulness, arousal), di essere consapevoli di sé e dell’ambiente circostante (awareness), di riflettere sul proprio stato di coscienza (self-consciousness); oppure può essere intesa come ciò che si prova soggettivamente ad avere un’esperienza cosciente (phenomenal consciosness); in altre parole, una qualsiasi esperienza, per esempio un mal di denti, sembra possedere un carattere soggettivo specifico, accessibile solo da chi sta vivendo tale esperienza in quel momento (in questo caso, il tipico fastidioso dolore).

Questi significati non sono necessariamente opposti uno all’altro, ma sono varie sfaccettature o dimensioni di un fenomeno molto complesso (per questo sono un po’ scettico rispetto all’idea di sviluppare un “coscienziometro” che misuri la coscienza in modo unidimensionale).

Per l’intento pragmatico di questo studio, attraverso comparazioni con altri stati di coscienza, per esempio il sonno e l’anestesia, abbiamo individuato la dimensione di veglia e vigilanza come oggetto della nostra ricerca.

Quali strumenti avete utilizzato per analizzare la coscienza nei pazienti con sindrome da locked-in completo?

Abbiamo analizzato una serie di dati ricavati da elettroencefalogramma di pazienti affetti da Sla e con sindrome locked-in completa. In particolare, abbiamo utilizzato due parametri che si sono dimostrati essere correlati agli stati di coscienza.

Il primo è il cosiddetto “esponente della legge di potenza” (power-law exponent), che permette di calcolare il rapporto di potenza tra le onde lente, ma potenti, e onde veloci, ma deboli, dell’attività elettrica del cervello. Quando questo rapporto si allontana da certi standard di equilibrio, possiamo notare delle alterazioni di coscienza (dal sonno profondo agli stati allucinatori). Per usare un’analogia, pensiamo al mare che può essere descritto come un insieme di onde, alcune lente ma estremamente potenti (per esempio le maree) e altre veloci ma tutto sommato deboli (come le onde sulla spiaggia), con un mix di diverse onde nel mezzo. Se il nostro cervello fosse il mare e fosse composto solo di maree, oppure solo di piccole onde, ci sarebbe un rapporto disequilibrato tra onde lente e veloci e questo è collegato a diversi stati di coscienza.

Il secondo parametro è la “complessità di Lempel-Ziv” (Lempel-Ziv complexity), che misura la regolarità o diversità di un segnale nel tempo. Parlando ancora per analogia, pensiamo ai programmi che si usano nel pc per comprimere i file. Più il file è ripetitivo (immaginiamo una serie di 010101…) più è semplice comprimerlo senza perdere contenuto (possiamo riassumere i dati del file in “01”); se invece il file è poco regolare (001011101…), sarà più difficile comprimerlo. Funziona similmente con l’elettroencefalogramma: più il segnale è semplice e ripetitivo, più è comprimibile, quindi meno complesso (e viceversa). Diversi studi hanno dimostrato che un alto livello di complessità del segnale elettrico cerebrale è correlato a un alto livello di coscienza (in questo caso di veglia).

A quali risultati siete giunti?

Le nostre analisi hanno indicato l’esponente della legge di potenza e la complessità di Lempel-Ziv alterati nei pazienti con Sla e sindrome locked-in completa, soprattutto se il soggetto è in paralisi completa da molti anni. Abbiamo quindi confrontato i risultati di questi pazienti non solo con soggetti sani, ma anche con soggetti in diversi stati di coscienza: soggetti sottoposti a elettroencefalogramma durante tutte le fasi del sonno e altri durante la somministrazione di anestesia (un gruppo con ketamina e uno con sevoflurano). In questo modo, oltre a identificare una modificazione rispetto ai soggetti sani di controllo, abbiamo potuto comparare tali modifiche con diverse alterazioni di coscienza.

Pur non potendo sovrapporre completamente i risultati tra i vari gruppi, è stato possibile rilevare che i parametri dei pazienti con Sla e sindrome locked-in completa fluttuano molto sia a livello intersoggettivo che intra-soggettivo, suggerendo un’alterazione dinamica dello stato di veglia e vigilanza durante il giorno.

Quali potrebbero essere le ricadute pratiche sul piano clinico in futuro?

Il nostro studio prova a dare una spiegazione alle difficoltà che emergono nella comunicazione con questi pazienti. Già nel 2008 esperti come Andrea Kübler e Niels Birbaumer ipotizzavano l’estinzione del pensiero orientato all’obiettivo (goal-directed thinking) in tali pazienti e, più recentemente nel 2020, Kübler ha suggerito l’importanza di individuare “finestre di coscienza” per aumentare la probabilità di stabilire una comunicazione basata su brain-computer interface.

L’utilizzo di parametri come l’esponente della legge di potenza e la complessità di Lempel-Ziv potrebbe aiutare a diagnosticare le dinamiche della coscienza di pazienti con Sla e sindrome locked-in completa e a individuare il momento ottimale per instaurare una comunicazione tramite brain-computer interface oppure per tentare di “stabilizzare” lo stato di veglia dei pazienti, per esempio tramite neuroriabilitazione o stimolazione elettrica o magnetica.

Come si colloca il vostro studio rispetto a quelli di Giulio Tononi e Marcello Massimini, che (lo ricordiamo) hanno utilizzato il cosiddetto “indice di complessità perturbativo” per misurare la coscienza? Cosa aggiungono le vostre ricerche alle attuali teorie sulla coscienza?

Per quanto riguarda gli studi di Tononi e Massimini, l’utilizzo del parametro della complessità di Lempel-Ziv si pone in linea con i loro studi sulla co-registrazione del segnale elettroencefalografico simultaneamente alla stimolazione magnetica transcranica. L’indice di complessità perturbativo (perturbational complexity index) da loro utilizzato è una forma normalizzata della complessità di Lempel-Ziv. In generale, sia il nostro studio che il loro partono dal presupposto che i livelli di complessità spazio-temporale dell'attività cerebrale possono essere associati a diversi stati di coscienza.

Il nostro gruppo in aggiunta ha utilizzato un secondo parametro: l’esponente della legge di potenza si basa sulla teoria temporo-spaziale della coscienza (Temporo-spatial Theory of Consciousness) di Northoff (supervisore dello studio), la quale sostiene che una struttura equilibrata tra le frequenze lente e veloci delle dinamiche neurali sia una predisposizione necessaria allo stato di veglia. In questo senso, la coscienza sembra derivare dal giusto equilibrio tra integrazione e segregazione degli stimoli nel tempo: le informazioni che provengono dall’esterno cioè vengono collegate tra loro, ma al contempo differenziate, separate. Se ciò non accadesse, tutti i contenuti dell’esperienza sarebbero mescolati insieme, come in una “notte in cui tutte le vacche sono nere”.

Più in generale, questo studio cerca di estendere il campo di analisi della coscienza dal punto di vista sia dell’oggetto di ricerca (non ci sono molti studi sulla coscienza in pazienti con Sla e locked-in completa) sia del metodo. Infatti, l’analisi delle fluttuazioni dell’esponente della legge di potenza e della complessità di Lempel-Ziv nel tempo ci permette di guardare alle dinamiche intra-soggettive della coscienza e non solo al valore medio del parametro in un punto nel tempo (d’altronde, l’esperienza cosciente non è statica, ma intrinsecamente temporale).

Allo studio pubblicato su Communications Biology hanno contribuito psichiatri, ingegneri, neurologi, filosofi. Qual è il vantaggio della multidisciplinarità, nello specifico della collaborazione tra studiosi di ambito umanistico e Stem?

Gli studi neuroscientifici sulla coscienza necessitano sempre più di diverse figure scientifiche, ma anche di studiosi aperti all’interdisciplinarità. Il prof. Georg Northoff, che ha supervisionato l’intero studio, ne è un esempio, avendo specializzazioni e dottorati sia in psichiatria che in filosofia. Io stesso provengo da studi filosofici e neuroetici ma non avrei potuto fare molto senza il supporto di bioingegneri e neuroscienziati.

Un approccio unidirezionale (concettuale o empirico) rischia di ridurre la complessità della coscienza e quindi di perdere fattori fondamentali per tentare di trovare una spiegazione scientifica e razionale. L’interdisciplinarità permette invece di osservare un fenomeno da diverse prospettive senza pretendere di ridurle a una sola. In tal senso, il nostro studio si è sviluppato a partire da un’ipotesi che potremmo definire neurofilosofica (e neuroetica). Se riteniamo che la coscienza sia caratterizzata da una relazione tra ambiente, corpo e cervello invece che dalla sola attività neurale, come sostengono diverse teorie filosofiche della cognizione incorporata e teorie neurofilosofiche (per esempio, la teoria temporo-spaziale della coscienza di Northoff), allora dobbiamo davvero chiederci cosa avviene quando il mondo circostante si allontana e il corpo diventa in un certo senso passivo o addirittura una vera e propria prigione.

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