SCIENZA E RICERCA

Il “coscienziometro”

Il parametro ha un nome, perturbational complexity index, e un valore matematico preciso: 0,31 in una scala da 0 a 1. Se lo superi, qualsiasi cosa tu sia – uomo, animale o macchina –, sei cosciente. Se non lo superi non lo sei affatto. Il consciousness meter o “coscienziometro” è stato messo a punto da Marcello Massimini presso l’università Statale di Milano sulla base di una teoria, la Integrated Information Theory (IIT) che un altro italiano, Giulio Tononi della University of Wisconsin, va sviluppando da un paio di decenni.

Per molti secoli, dopo la nascita della scienza moderna, quello della coscienza è stato considerato un “problema intrattabile”. L’idea di Giulio Tononi, che è stato collaboratore del premio Nobel Gerald Edelman, è che invece sia giunto il tempo non solo di considerarla un “problema trattabile”, ma anche di misurarla in termini quantitativi.

La IIT, divulgata anche in un libro firmato da Tononi, Phi. Un viaggio dal cervello all’anima e pubblicato in italiano da Codice, identifica cinque proprietà presenti in ogni esperienza cosciente: 1) ogni esperienza esiste intrinsecamente (per il soggetto che la prova, non per un osservatore esterno); 2) ogni esperienza è strutturata (è composta di parti e di relazioni tra le diverse parti); 3) è integrata (non può essere divisa in componenti indipendenti); 4) è definita (ha dei confini, che includono certi contenuti e ne escludono altri); 5) è altamente specifica (ogni esperienza è unica e differente da miliardi di miliardi di altre esperienze possibili).

Non diciamo come – è argomento molto tecnico – ma è possibile formalizzare, nel senso proprio di ridurle a una precisa rappresentazione matematica – queste cinque proprietà. Essendo stata formalizzata, la teoria ITT può essere applicata a ogni sistema fisico: sia esso un oggetto, come il cervello di un uomo o di un altro animale, frutto dell’evoluzione per selezione naturale, sia a un computer o a qualsivoglia circuito elettronico progettato da un ingegnere.

Bene, negli ultimi mesi e persino nelle ultime settimane, i risultati ottenuti con il “coscienziometro” hanno riempito le pagine di diverse riviste scientifiche o di alta divulgazione in tutto il mondo.

In un articolo, Can We Quantify Machine Consciousness?, pubblicato lo scorso 25 maggio sulla rivista specializzata IEEE Spectrum, lo stesso Tononi e Christof Koch, direttore dell’ufficio scientifico dell’Allen Institute for Brain Science, sostengono che gli attuali computer non superano la soglia minima del perturbational complexity index, per un motivo strutturale: le componenti dei computer attuali non sono integrate. E, dunque, non rispondono ai criteri formali della teoria ITT. I due uomini di scienza lasciano intendere che difficilmente i computer del futuro, peraltro già in costruzione, riusciranno a superare la fatidica soglia. Ma non lo escludono.

Quando lo faranno, dicono, occorrerà trarne le conseguenze: “Avranno dei diritti intrinseci, in particolare alla vita e al benessere. Di conseguenza, la società umana dovrà imparare a condividere il mondo con le sue stesse creature”.

Il 7 agosto scorso, Kaydee sul suo Engeneering Ethics Blog, ha postato un commento dal titolo Giulio Tononi and His Consciousness Meter in cui sostiene che se i computer del futuro saranno progettati sulla base della teoria ITT e raggiungeranno il loro obiettivo, allora ci sarà da essere preoccupati. Perché non è detto che la relazione con gli umani sarà di reciproco rispetto.

A inizio novembre la più autorevole rivista di divulgazione al mondo, lo Scientific American ha pubblicato un lungo articolo del già citato Christof Koch dal titolo: How to make e consciousness meter. Come costruire un coscienziometro. Lo scienziato dell’Allen Institute for Brain Science questa volta si occupa dell’applicazione del sistema formale al cervello umano. E, in particolare, al cervello umano che perde o sembra perdere la coscienza durante il sonno, in caso di anestesia o in seguito a un trauma o a un incidente. Molti si sono chiesti più volte se Terri Schiavo o Eluana Englaro, nel loro stato di unresponsive wakefulness syndrome, di paziente che non comunicano in alcun modo, abbiano o meno perso definitivamente ogni e qualsiasi stato di coscienza.

Il gruppo di Silvia Casarotto e di Marcello Massimini ha utilizzato una tecnologia nuova, la transcranial magnetic stimulation, per misurare il perturbational complexity index di 102 persone sane e di 48 pazienti capaci ancora di comunicare in maniera più o meno debole dopo un trauma o un incidente. I risultati del test sono stati pubblicati lo scorso anno su una rivista scientifica. Il più importante è che è stata trovata la soglia dei parametri ITT oltre la quale c’è coscienza ed è pari, appunto, a 0,31.

Koch saluta questo successo del coscienziometro come una pietra miliare nella storia della ricerca sull’antico problema mente-corpo. Resta, certo da verificare, la sua accuratezza. Ma il tema già spalanca a una serie di domande: alcune scientifiche, altre cliniche.

Le prime riguardano la trattabilità, appunto, dell’antico “problema intrattabile”: ne sapremo di più (ne sappiamo già di più) sul problema della coscienza? Ci sono altri esseri viventi che hanno, in una qualche misura, esperienze coscienti?

La seconda riguarda la diagnosi dei pazienti che non comunicano. Finora non avevamo alcuno strumento per decidere con sicurezza se hanno o no una qualche forma di coscienza. Questa certezza ci può venire dall’uso clinico del “coscienziometro”? E lo potremo applicare, questo metodo, ad altri pazienti, come si chiede Koch: come neonati o adulti caduti in catatonia o malati di demenza?

Tutte domande aperte.

Un fatto, però, sembra certo. Siamo vicini a poter rispondere al problema posto tempo fa dal filosofo, piuttosto scettico, Thomas Nagel e ai suoi derivati: sapremo mai cosa si prova a essere un pipistrello? E uno scimpanzé o un delfino (animali, a quanto pare, dotati di autocoscienza? E un supercomputer? E un paziente che non comunica?

Pietro Greco

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