
Siamo abituati a pensare alla memoria come a qualcosa che ci aiuta a orientarci a livello cosciente, per esempio facendoci ricordare dove abbiamo messo le chiavi o dandoci una mano a riconoscere una faccia familiare. Un recente studio pubblicato su Nature dimostra che la memoria può anche preparare il corpo ad agire, anticipando eventi futuri sulla base dell’esperienza passata, senza che ci sia un controllo da parte nostra, o almeno da parte dei topi che sono stati testati nell’esperimento.
Lo studio riguarda il legame tra memoria e riscaldamento, ma facciamo un passo indietro: la temperatura corporea è una delle variabili più critiche per la sopravvivenza degli organismi a sangue caldo: è regolata da un complesso sistema di risposte automatiche, come la sudorazione o i brividi, e comportamentali e coscienti, come cercare riparo o indossare abiti più pesanti, che garantiscono agli animali di mantenerla costante, indipendentemente dalle condizioni esterne (almeno in linea di massima, perché le temperature estreme possono mettere a dura prova questo meccanismo).
Come regoliamo la temperatura corporea
Immaginiamo di uscire a fare una passeggiata nel bosco in primavera. Nel tardo pomeriggio potrebbe esserci una veloce escursione termica, e se non abbiamo portato con noi una giacca di colpo potremmo sentire i brividi correre lungo la schiena, e trovare questa sensazione piuttosto spiacevole. In realtà il nostro cervello non ci sta facendo un dispetto come potremmo pensare, ma sta rispondendo a una minaccia: la termoregolazione è uno dei tanti modi con cui il corpo si difende in modo attivo da un ambiente che cambia. Ma come ci riesce, esattamente?
Il meccanismo, in generale, non è così diverso da quello dei termosifoni nelle nostre case. Abbiamo una sorta di termostato nel cervello, più precisamente nell’ipotalamo, che riceve continuamente segnali da recettori sparsi in tutto il corpo, per esempio sulla pelle, negli organi interni, nel sangue, e valuta se la temperatura sta salendo o scendendo troppo.
Se il corpo è troppo caldo, partono una serie di contromisure: i vasi sanguigni vicino alla pelle si allargano (vasodilatazione), e sudiamo, così il sudore, evaporando, raffredda la pelle, proprio come succede quando ci bagnamo la fronte con acqua fresca. Se invece fa freddo, il corpo restringe i vasi sanguigni (vasocostrizione) per trattenere il calore, attiva i brividi (contrazioni muscolari involontarie che generano calore) e stimola un particolare tipo di grasso a per bruciare energia per scaldarci. A differenza del più noto grasso bianco (quello che accumula energia), il grasso bruno ha una funzione attiva: consuma energia per produrre calore, in un processo chiamato termogenesi non da brivido. È una specie di stufetta biologica incorporata, ed è fondamentale nei neonati, negli animali che vanno in letargo e nei piccoli mammiferi, ma diminuisce con l’età.
Perché i topi sono perfetti per studiare la regolazione della temperatura
I topi sono un modello ideale per studiare la termoregolazione e come interagisce con il cervello perché sono piccoli, leggeri, con un metabolismo accelerato e una grande superficie corporea rispetto al loro volume: perdono calore in fretta, e devono compensare con un’attivazione continua del meccanismo di regolazione termica.
Nei topi, il grasso bruno è molto sviluppato e altamente reattivo: quando il cervello riceve segnali di freddo, l’ipotalamo attiva un circuito che passa dal midollo spinale al sistema nervoso simpatico, che a sua volta “ordina” al grasso bruno di mettersi al lavoro: nel giro di pochi minuti, il topo inizia a produrre calore.
Ai topi non serve che faccia davvero freddo
Abbiamo visto come funziona la termoregolazione, ma c’è un aspetto di cui non abbiamo ancora parlato e che si sta cominciando a indagare solo negli ultimi anni: è possibile che il cervello impari a riconoscere i segnali ambientali associati al freddo e, basandosi su questi, attivi in anticipo le risposte fisiologiche necessarie? In altre parole, può il cervello usare la memoria come una specie di termometro predittivo?
Lo studio di Muñoz Zamora e altri ricercatori pubblicato su Nature dimostra per la prima volta che la sola rievocazione di un ambiente freddo può attivare una risposta fisiologica completa: aumento del metabolismo, attivazione dell’ipotalamo e stimolazione del tessuto adiposo bruno. Questo significa che non serve che faccia davvero freddo per innescare queste reazioni, è sufficiente che il topo ricordi altre situazioni analoghe in cui ha avuto freddo: questa scoperta cambia la nostra comprensione del rapporto tra memoria ed equilibrio corporeo, suggerendo che il cervello immagazzina informazioni che va poi a usare per anticipare e attivare adattamenti biologici in vista di un ambiente atteso.
Il freddo come un trauma?
Come abbiamo detto, il cervello è responsabile della regolazione della temperatura corporea attraverso l’ipotalamo, ma non erano chiari i meccanismi che, a partire dal ricordo della sensazione di freddo nel passato, portavano a un’azione metabolica.
Sappiamo però che il ricordo di eventi traumatici o stressanti può innescare risposte fisiologiche anche intense, come l’accelerazione del battito cardiaco, sudorazione, freezing (difficoltà di movimento). A questo punto è lecito chiedersi se sia possibile che anche il ricordo di una condizione termica possa attivare una risposta corporea: Muñoz Zamora e colleghi hanno cercato di rispondere proprio a questa domanda.
“ Nei topi, il ricordo del freddo basta da solo a scatenare la risposta del corpo: il cervello si prepara al gelo anche quando l'ambiente è caldo
Come si è svolto l’esperimento
I ricercatori hanno abituato un gruppo di topi a stare in un ambiente freddo, a 4 °C, che hanno chiamato “contesto B”. L’ambiente era sempre lo stesso, mentre in altri momenti venivano spostati in un ambiente più mite (21 gradi, “contesto A”).
Come previsto, quando venivano messi nel contesto B, i topi reagivano come tutti i mammiferi: il loro metabolismo aumentava, il corpo cominciava a scaldarsi, e si attivava il tessuto adiposo bruno, cioè quel tipo di grasso che produce calore.
Ma la sorpresa arriva dopo: i ricercatori hanno riportato i topi nel contesto B, ma stavolta il termometro segnava 21 gradi. Anche se non faceva veramente freddo, il corpo dei topi si comportava come se dovesse difendersi dalla bassa temperatura: il metabolismo aumentava e il grasso bruno si attivava. Questo dimostra che il cervello aveva imparato ad associare quel luogo al freddo, e bastava tornare lì per innescare la risposta fisiologica, anche senza nessuno stimolo termico.
E se fosse solo paura?
A questo punto i ricercatori si sono chiesti se i topi non fossero semplicemente spaventati e reagissero per stress e non per la memoria del freddo. Per escludere questa ipotesi, hanno fatto due esperimenti di controllo: per prima cosa hanno fatto annusare ai topi l’odore di un predatore. I topi si immobilizzavano per la paura (questo comportamento si chiama freezing), ma non entravano in gioco il grasso bruno e un cambio di metabolismo.
Come secondo controllo, hanno usato un classico condizionamento alla paura (associare un suono a una scossa elettrica): quando il topo sentiva il suono si spaventava, anche in assenza della scossa, ma ancora una volta nessuna risposta fisiologica simile a quella del freddo. Non era quindi la paura a scatenare il cambiamento nel corpo, ma proprio la memoria del freddo.
Dove si trova questo ricordo?
I ricercatori hanno anche scoperto dove si trova la memoria del freddo: hanno fatto in modo che i neuroni attivi durante l’esperienza del freddo si illuminassero grazie a proteine fluorescenti e così hanno visto che una regione dell’ippocampo chiamata giro dentato si attivava sempre quando i topi vivevano il freddo e anche quando lo ricordavano.
Ma non è finita qui: l’attivazione di questi neuroni era collegata direttamente all’attività di un’altra zona cerebrale, l’ipotalamo laterale, che è il centro di comando della termoregolazione.
In pratica: l’ippocampo ricorda, l’ipotalamo reagisce, e il corpo si prepara al freddo, anche se non c’è.
“ Con un metabolismo veloce e un corpo che disperde calore facilmente, i topi sono perfetti per studiare cosa succede nel cervello con i cambiamenti di temperatura
Gli scenari futuri
Questa scoperta solleva varie domande teoriche e prospettive applicative: sul piano teorico, dimostra che la memoria può guidare risposte corporee complesse, ben oltre la sfera emotiva. Parliamo di cambiamenti fisiologici guidati da un ricordo sensoriale, il che va oltre quello che sapevamo sulle reazioni ai traumi e allo stress. Dal punto di vista clinico, questo apre la strada alla possibilità di modulare il metabolismo attraverso la stimolazione di circuiti mnemonici, un’idea potenzialmente rivoluzionaria per il trattamento di disturbi come l’obesità o la sindrome metabolica: se potessimo “insegnare” al cervello a innescare una risposta metabolica più efficiente, senza farmaci, o se potessimo utilizzare la memoria per contrastare disfunzioni metaboliche croniche si potrebbero ipotizzare delle cure con meno effetti collaterali. Certo, parlarne è prematuro visto che si tratta di uno studio limitato ai topi, ma la ricerca potrebbe tentare di muoversi in questa direzione.
Rimangono ancora molte domande
Questo studio costituisce la base per lavori futuri, ma lascia aperte alcune questioni: intanto non è ancora chiaro come l’ippocampo comunichi con l’ipotalamo, né quale sia il ruolo delle regioni cerebrali superiori, come la corteccia prefrontale, nella modulazione del processo, e poi bisognerà anche verificare se meccanismi di questo tipo esistano anche negli esseri umani e se sia possibile ricreare una reazione simile.
Un’altra domanda interessante riguarda il ruolo dei segnali corporei di ritorno: la risposta metabolica influenza a sua volta il cervello? Esiste un ciclo di feedback continuo tra memoria, attivazione fisiologica e rielaborazione del ricordo?
Infine, resta da capire come altre forme di stress (emotive, sociali o ambientali) possano interagire tra loro o con la termoregolazione.
Lo studio di Muñoz Zamora e colleghi dimostra che la memoria serve sì a ricordare, ma anche a prevedere e preparare l’animale a ciò che può accadere. La possibilità che il cervello attivi risposte fisiologiche in base a esperienze passate anche in assenza dello stimolo reale rappresenta un vantaggio evolutivo importante: consente all’organismo di anticipare il cambiamento ambientale e adattarsi in modo proattivo, e quindi di aumentare le chances di sopravvivenza. Questo lavoro ci dà una nuova prova dell’interconnessione tra cervello e corpo, tra apprendimento ed equilibrio fisiologico, e ci ricorda che, in fondo, siamo anche il risultato delle memorie che portiamo dentro che, a volte, ci scaldano nel modo più letterale possibile.