UNIVERSITÀ E SCUOLA

La penna batte il computer, almeno in classe

All’osservatore casuale, le aule universitarie americane appaiono ormai come una giungla di computer portatili priva di esseri umani, a parte il solitario professore al leggìo. Gli studenti si nascondono dietro ai propri schermi scintillanti, si presupporrebbe intenti a seguire la lezione e a prendere appunti. Ma, più probabilmente, impegnati invece a chattare con gli amici e a fare acquisti su Internet. Tant’è che si stanno moltiplicando negli Stati Uniti i docenti, persino tra quelli che insegnano scienze informatiche e programmazione, che preferiscono vietare l’uso dei laptop in aula, convinti che i benefici apportati da questi dispositivi siano più che controbilanciati dai loro effetti negativi, in particolare le troppe distrazioni che mettono a portata di mano dei ragazzi. Una serie di studi empirici condotti negli ultimi dieci anni sembrerebbe dare loro ragione. 

L’ultimo in ordine di tempo è stato pubblicato nel numero di giugno di Psychological Science, la rivista dell’Associazione per le scienze psicologiche. Intitolato “The Pen Is Mightier Than the Keyboard”, ovvero “La penna è più potente della tastiera”, l’articolo sostiene che l’uso del portatile è nocivo all’apprendimento anche al di là della possibilità che offre di accedere a Internet (sul cui impatto si era già espressa, non favorevolmente, un’analisi del 2003 intitolata “The Laptop and the Lecture”, considerata il capostipite degli studi in materia). Chi prende appunti al computer anziché a mano fa infatti maggior fatica a fare propri i contenuti di una lezione. Come ha verificato di persona la stessa Pam A. Mueller, dottoranda in Psicologia a Princeton e co-autrice della ricerca assieme a Daniel M. Oppenheimer, professore all'UCLA di Los Angeles. “Mi sono ritrovata a un certo punto a fare da assistente al mio co-autore in un corso di Psicologia e, come la maggior parte degli studenti, adoperavo il laptop in classe – dice Mueller – Un giorno, ho deciso invece di usare un taccuino, e mi è sembrato subito di avere appreso molto di più del solito”. 

I due hanno quindi condotto diverse tornate di esperimenti, mettendo a confronto le performance di due gruppi di studenti cui era stato richiesto di guardare il video di una TED Talk, un circuito globale di conferenze distribuito gratuitamente via Internet, prendendo appunti in un caso a mano, nell'altro sul portatile. “I secondi hanno fatto molto peggio dei primi, anche laddove abbiamo permesso a tutti di ripassare i propri appunti prima del test – dice Mueller – L’effetto sembra dovuto alla tendenza di chi prende appunti a computer di farlo parola per parola, a mo’ di trascrizione, mentre chi scrive a mano è obbligato a riformulare i contenuti, e quindi a elaborare le informazioni più a fondo”. Anche se Mueller non nega i vantaggi apportati dai computer in certi contesti educativi, ad esempio laddove sia necessaria la condivisione frequente di documenti, la sua opinione è che, nella maggior parte delle lezioni universitarie, sarebbe meglio proibire l’uso dei laptop. 

C’è però chi teme che l’eccessiva enfasi posta sulla tecnologia, e quindi sul medium, distragga dal problema più serio. Ovvero la possibilità che il modello dell’insegnamento accademico, vecchio di centinaia d’anni e riformato giusto da una spruzzata di PowerPoint, che per altro rende irrilevante il prendere appunti, non sia più al passo non solo con il mondo contemporaneo ma anche con quello che sappiamo oggi del funzionamento del cervello. È ben noto, ad esempio, che la durata tradizionale di una lezione universitaria è di gran lunga superiore alla capacità degli esseri umani di prestare attenzione, che arriva circa a 15-20 minuti consecutivi. “Immagina di essere seduto in una riunione noiosa, o a una conferenza – dice Eric Mazur, professore di Fisica e Fisica applicata alla Harvard University – Se un intervento è particolarmente interessante ascolti, altrimenti tiri fuori il telefono e cominci a rispondere alle email”. Lo stesso, sostiene Mazur, è vero per gli studenti universitari. “La ragione per cui visitano Facebook e Youtube quando sono in classe è perché quello che facciamo non ha un valore molto elevato – prosegue il professore di Harvard – Sono consapevoli che ascoltare o prendere appunti, già comunque disponibili online, non rappresentano l’uso più produttivo del tempo a loro disposizione”. 

Mazur ha cominciato a scontrarsi con questa realtà oltre venti anni fa. “Quando iniziai la mia carriera di docente nel 1984, adottai lo stesso approccio che i miei professori avevano avuto con me, facevo lezione in maniera tradizionale: giacché piacevo molto ai miei studenti e questi superavano gli esami, mi sono rapidamente convito di essere il migliore professore di Fisica al mondo – racconta Mazur – Poi nel 1990, attraverso un nuovo tipo di test sviluppato all’Università dell’Arizona, ho scoperto che in realtà loro non imparavano nulla, semplicemente memorizzavano procedure e terminologie e quindi si facevano promuovere senza avere alcuna comprensione vera di quello che cercavo di insegnare”. 

Mazur prese allora a sperimentare un proprio stile di insegnamento, dedicando tempo e risorse non più solo alla fisica ma anche alla pedagogia, sviluppando un proprio metodo per introdurre maggiore interattività anche nei corsi frequentati da centinaia di studenti e scrivendoci un libro sopra, “Peer Instruction: A User's Manual”. Oggi Mazur richiede che gli studenti leggano a casa e in anticipo il materiale necessario o che guardino una lezione pre-registrata su Internet. Una volta in classe, si concentra solo sui passaggi più ostici, facendo domande ai ragazzi, che quindi sono chiamati prima a rispondere ai suoi quesiti, anche attraverso l’uso dei laptop, e poi a confrontarsi l’uno con l’altro in piccoli gruppi, partecipando in prima persona all’insegnamento. “Gli studenti sono particolarmente efficaci in questo ruolo perché hanno appreso i concetti in questione solo da poco e quindi hanno ben presente le difficoltà incontrate da chi è solo agli inizi – dice Mazur – Mentre i professori conoscono le risposte da talmente tanti anni che gli è molto difficile capire come possano non essere chiare anche agli altri”. 

Nell’ottica di Mazur, quindi, non sono i portatili a essere nemici dell’apprendimento, ma lezioni universitarie tediose e professori che si rifiutano di sfruttare le tante opportunità offerte dalle nuove tecnologie. “Puoi chiedere ai tuoi studenti di chiudere i computer, ma non hai alcuna garanzia che non si mettano a pensare a qualcosa che non c’entra nulla con la tua lezione – conclude Mazur – vietare i laptop è l’equivalente di nascondere lo sporco sotto il tappeto, il problema rimane”.

Valentina Pasquali

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