SOCIETÀ

Come parlano di “sesso” e “genere” i libri di biologia nelle scuole americane?

Un gruppo di ricercatori del BSCS Science Learning del Colorado ha analizzato i sei libri di biologia più spesso adottati nelle scuole superiori statunitensi con lo scopo di valutare il modo in cui si riferiscono ai concetti di “sesso” e “genere”. I risultati di questa analisi, pubblicati sulla rivista Science, mostrano come nei testi esaminati si tenda ad utilizzare i due termini in maniera indiscriminata, nonostante il loro significato sia molto differente.

Come spiegano Brian M. Donovan – primo firmatario dello studio – e coautori, mentre il sesso è un carattere biologico, determinato da un complesso insieme di meccanismi biochimici e genetici, il genere, al contrario, è un costrutto sociale che si forma a partire dall’osservazione delle differenze biologiche, ma che si fonda su interpretazioni e aspettative strettamente culturali.

L’appiattimento dei concetti di “sesso” e “genere”  tradisce una posizione filosofica definita essenzialismo, basata sull’idea secondo la quale gli esseri viventi posseggano delle “essenze” naturali che li rendono ciò che sono; perciò, secondo la teoria essenzialista, si è intrinsecamente e naturalmente maschi o femmine. Questa forma di determinismo biologico – precisano gli autori – non è un modello scientifico, ma una visione limitata della natura umana che non dovrebbe essere insegnata nelle scuole perché rischia di rafforzare stereotipi e idee discriminatorie, tramandando inoltre una conoscenza semplicistica – e, quindi, incompleta – del ruolo della biologia nell’espressione dell’identità di genere.

Donovan e coautori hanno concentrato la loro analisi sui capitoli di genetica contenuti nei sei libri di biologia più frequentemente adottati dagli insegnanti delle scuole superiori. Come anticipato, dai risultati dell’indagine emerge che i testi in questione – pubblicati tra il 2009 e il 2016 – veicolano una tesi fondamentalmente essenzialista su sesso e genere, considerando il secondo di questi due caratteri come una diretta conseguenza del primo.

I capitoli di genetica analizzati sembrano sottintendere, in particolare, l’idea secondo la quale i cromosomi X e Y codifichino ciò che gli autori definiscono un’essenza genetica presente nel dna di ogni individuo, la quale determinerebbe non solo l’appartenenza al sesso biologico maschile o femminile, ma definirebbe anche l’identità di genere. Secondo gli autori, le nozioni contenute nei testi trasmettono inoltre il pregiudizio secondo cui donne e uomini formerebbero due gruppi umani del tutto opposti e omogenei al loro interno, composti da individui che non differiscono particolarmente tra di loro dal punto di vista anatomico, psicologico e comportamentale.

Questa visione stereotipata dei tratti che caratterizzano la popolazione maschile e femminile rischia di rendere l’insegnamento della biologia nelle scuole americane non solo inadeguato, ma persino dannoso, perché potrebbe veicolare conoscenze e opinioni implicite discriminatorie.

Come sottolineano gli autori stessi, evidenziando le limitazioni del loro metodo di studio, l’analisi condotta si è concentrata solo sui capitoli di genetica, e non sui sei testi di biologia nella loro interezza; di conseguenza, è possibile che gli altri capitoli non sottintendano un’idea altrettanto essenzialista della natura umana. Si tratta però di un’ipotesi alquanto improbabile, perché i risultati tratti sono in linea con quelli emersi da alcuni studi simili condotti precedentemente, che hanno individuato nei libri scolastici di biologia tesi essenzialiste potenzialmente in grado di veicolare pregiudizi razzisti e omofobici.

L’essenzialismo, secondo i ricercatori, rappresenta allo stesso tempo il risultato e la causa di simili stereotipi, e i manuali scolastici che trasmettono questa tesi alimenterebbero quindi un circolo vizioso di discriminazione e disinformazione riguardo l’identità di genere e non solo.

Donovan e coautori hanno pubblicato di recente un altro studio incentrato, stavolta, sul rapporto tra l’essenzialismo genetico e la diffusione di pregiudizi razzisti. La loro tesi è che l’insegnamento della genetica nelle scuole americane, quando si concentra quasi esclusivamente sulle leggi di Mendel sulla trasmissione dei caratteri ereditari, rischia di veicolare credenze e opinioni stereotipate riguardo ai concetti di razza ed etnia. Basandosi sui risultati di una ricerca sperimentale, gli autori sostengono che programmi didattici più approfonditi, che includano anche le basi della genomica – mettendo in luce, ad esempio, l’alta variabilità genetica che caratterizza le persone della stessa etnia – migliori non solo le competenze degli studenti in materia di genetica, ma riduca anche il bagaglio di pregiudizi razziali.

Donovan e coautori si auspicano perciò che i loro risultati stimolino una riflessione sull’importanza di definire programmi didattici sempre aggiornati rispetto alle evidenze scientifiche più recenti e che evitino di veicolare implicitamente o esplicitamente convinzioni e giudizi stereotipati e discriminatori.

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