CULTURA

Villetta con piscina di Herman Koch

Herman Koch è un grandissimo scrittore. Dopo il romanzo La cena uscito in Olanda nel 2009 con enorme successo (più di 250.000 copie vendute), a due anni di distanza Villetta con piscina conferma il talento dell’autore.

In Italia Koch è poco conosciuto: dall’olandese sono stati tradotti solo questi due titoli (Neri Pozza, 2010 e 2011) quando invece è del 1989 il suo romanzo d’esordio, e di cinque anni antecedente una raccolta di racconti, per un totale, ad oggi, di 16 volumi pubblicati.

Nella vita Koch, classe 1953, è produttore di serie televisive, nonché attore ed editorialista per il quotidiano della sinistra “de Volkskrant”. È un sofisticato osservatore del nostro tempo, completamente calato nelle dinamiche della vita contemporanea, di cui fa un ritratto impietoso nei suoi libri.

Come Jonathan Coe ha tenuto incollati alla pagina migliaia di lettori d’Oltremanica con La famiglia Winshaw, ritratto lucido e nervoso della upper class thatcheriana, lo stesso fa Koch, non tanto con un affresco generazionale, ma dipingendo puntigliosamente le idiosincrasie e i pensieri reconditi dei suoi personaggi. Il suo più che un affresco è una miniatura in cui il dettaglio psicologico è talmente curato e meditato e in cui il singolo personaggio è legato così strettamente al resto, da far emergere una visione del mondo esaustiva  e lucida. Il punto di vista da cui questa visione è tratteggiata è il punto di vista dei suoi protagonisti e, come tale, non ha alcuna pretesa di verità e, anzi, solleva l’autore dalla responsabilità diretta del giudizio.

Nella fattispecie in Villetta con piscina il protagonista, March Schlosser, è un medico di famiglia, uomo piacente e di sottile intelligenza, che, si capisce sin dalle prime pagine, ha aiutato un suo paziente gravemente malato, famoso attore di serie TV, a darsi la morte. Il libro è un lungo flash back che rende ragione (o forse no) dell’accaduto. I rapporti tra medico e paziente si rivelano essere molto più stretti di quel che potesse apparire a prima vista: i due hanno letteralmente condiviso mogli e figli per un’estate nella villa con piscina dell’attore, creando così l’occasione perché la stretta vicinanza, e la nudità (piccolo feticismo del protagonista, medico non a caso), alterassero gli equilibri fino all’accadere dell’evento tragico che porterà in un secondo momento all’epilogo di morte. Prima però che la situazione precipiti la “commedia del quotidiano” è recitata genialmente da ciascun personaggio: c’è la moglie premurosa (quella del protagonista, è chiaro) e quella invece depressa, una desperate housewife che nulla può contro il fascino del dottore. E ancora i figli: ragazzini immaturi i maschi figli dell’attore, giovincelle cresciute prematuramente le figlie del dottore. E poi i comprimari, proprio come in una sceneggiatura.

Il lettore (è questo uno dei pregi del romanzo) non può che conoscere gli attori in scena esclusivamente dal punto di vista parziale del protagonista, che ha l’ affascinante vizio della riflessione costante. Come quando torni a casa in coppia da una cena in compagnia e non puoi fare a meno di commentare i commensali, arrischiandoti in giudizi sull’intelligenza della loro conversazione, sull’origine delle loro proprietà, sulle perversioni che nascondono le loro mogli. Fino ad allargarsi (per bocca di Marc Schlosser) in riflessioni di stampo darwiniano. Solo che in Villetta con piscina il lettore è colto sin dalla prima pagina da un dubbio minatorio: e se il vero perverso fosse proprio il protagonista? Cosa dire infatti di un medico che, in uno dei pochi brani in cui l’autoanalisi non coinvolga esplicitamente il sesso, descrive così come si è curato da un’infezione oculare?

[…] Ho tolto l’ago e ho premuto sulla palpebra. È uscito altro sangue […] Ma ho visto anche un’altra cosa, una sostanza del colore della senape scaduta da tempo. E ho sentito anche l’odore, a metà tra acqua vecchia di un vaso di fiori e carne avariata. Ho avuto un conato di vomito, e un attimo dopo è venuta su un’ondata di bile […] Ma intanto gioivo interiormente, senza emettere suoni. […] Ci sono due tipi di dolore, quello che ti avvisa di non continuare e quello liberatorio. Questo dolore qui era liberatorio.

 

Valentina Berengo

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