UNIVERSITÀ E SCUOLA

Anche i bravi professori non bastano

Gentile professore,

Le scrivo perché non riesco a smettere di pensare all'università di cui faccio parte. Ho le farfalle nello stomaco, o meglio i tafani, ormai da qualche mese. Ho deciso di scrivere a lei, scusandomi se questa mia lunga lettera le toglierà tempo, poiché tra tutti i docenti di Padova che ho seguito, lei mi ha sempre confermato un'idea di visione profonda dell'attualità e della relazione tra passato e presente. Per questo, desidererei conoscere la sua opinione su una questione che mi dà pensiero.

Ho fatto le scuole superiori in Eritrea e a New York, crescendo all'estero per la maggior parte della mia vita. Sono venuto qui a Padova nel 2012 spinto dalla reputazione eccellente che questa università italiana vanta ormai da molti secoli, e di cui, relazionandomi con la maggior parte dei professori che ho seguito, sono rimasto molto soddisfatto. Lo spazio accademico mi affascina. Andando al di là dei diversi ambiti professionali, gli uomini e le donne che insegnano al suo interno svolgono un ottimo lavoro formativo. La chiave della conoscenza scientifica ed ontologica del mondo qui sembra davvero a portata di mano. 

E per questo la "uso" ora come confidente. Iscrivermi al corso di Comunicazione di Padova è stata forse una delle grandi delusioni della mia vita. Non per quanto riguarda gli ottimi professori dei singoli corsi, ma perché ogni volta che esco da un'aula mi sembra di allungare il piede dentro una sfera di tenebra. Il divario tra ciò che è scienza e ciò che è società mi attanaglia. Dopo una lezione di Processi culturali, sono costretto a subire le scelte di un organo amministrativo xenofobo. Dopo aver studiato Diritto dei media e Linguaggio giornalistico, sono posto di fronte a siti d'informazione non pluralisti e ideologicamente condizionati. Dopo una qualsiasi lezione, vengo circondato da persone che non conoscono l'ABC del mondo che si stende dietro l'angolo. Studio Comunicazione pubblicitaria, e il risultato è sempre lo stesso: mantieni un sistema di consumo sfrenato attraverso messaggi superflui, che convergono in una condizione di povertà valoriale collettiva. Ma questi sono solo esempi di ostacoli che voi, fortunatamente, mi preparate ad analizzare e superare. 

Quello che non comprendo è perché, dopo tre anni, il mio compagno di università non è cambiato. Perché ha assorbito poco o nulla? Perché, durante una conversazione in mensa, devo far fronte a un oscurantismo che qualche minuto prima voi professori rischiaravate? Perché lo sviluppo del sistema educativo ha dato respiro all'ideale democratico, ma a poco a poco ha cominciato a sfornare una parte del suo capitale umano che in aula sembra non esserci nemmeno mai entrata?

Il fannullone c'è sempre stato. Quello che, basandomi su voci e testimonianze - le stesse che mi hanno spinto a tornare in Italia -, non credevo avrei trovato, è la sensazione come studente di dover dimostrare a priori di non essere un idiota. Questo in realtà personalmente lo apprezzo, perché di solito mi aiuta a migliorare. Ciò che mi crea dubbi è l'atteggiamento generale di molti professori, che sembrano non avere fiducia (spesso in modo giustificabile) verso gli studenti del proprio corso.

Perché questa situazione? Il Nuovo ordinamento ha tolto tempo e mezzi allo sviluppo intellettuale e ha favorito piuttosto l'imperizia degli studenti? La cultura prevalente e le tendenze si sono fortificate a vicenda e hanno spinto i giovani a una visione personale delle cose (vedi la "personalizzazione" dei risultati di Google)? Non c'è un filtro adeguato d'ingresso ai corsi? Non c'è una base critica di partenza, né esperienza? 

Sono d'accordo con tutte queste spiegazioni, abbastanza ovvie. Ma oggi ho trovato conferma per un'altra mia idea.

Normalmente non mi addentrerei in vicende personali, ma in questo caso credo sia necessario fare un'eccezione, perché la mia esperienza viene costantemente a confliggere con le mie idee sul senso dello studio e della valutazione accademica. I miei dubbi sono iniziati quando presi prima 20 e poi 21 in Lingua inglese dopo il test a crocette previsto dall'insegnamento. Come potevo andare così male dopo sei anni negli Stati Uniti? Quest'anno, dopo un contatto diretto con una sua collega e soprattutto esercizi pratici, ho ricevuto un 30 e lode. 

Ma allora il testo d'esame cosa valutava?

Ricordo quando feci il suo esame. Scrissi moltissimo riguardo alla parte contenuta nel manuale e nel libro che ci aveva indicato. Le domande che lei mi aveva posto mi facevano ragionare, stimolavano il pensiero, e mi è piaciuto rispondere. Andai invece molto male per la parte che aveva tenuto la docente sua collega: non mi ero soffermato abbastanza su quegli argomenti, e alla fine presi 22. Tuttavia, ricordo che mi lodò per la capacità critica dimostrata per quanto riguardava le sue domande, professore. 

Anche in questo caso, una differenza considerevole.

Con questo non voglio in alcun modo portare l'attenzione sul mio voto né sulle mie inclinazioni allo studio: quello che mi interessa è mettere in luce un metodo che ho osservato crescere nel sistema della valutazione in università, e proprio su questo volevo chiederle un chiarimento, benché la sua modalità d'esame non presenti questo problema. 

Ciò che credo, e la prego di dirmi se sbaglio, è che, almeno all'interno di Comunicazione, si stia diffondendo una metodo di esame che punta a stabilire la "memorizzazione elencata", la risposta immediata. Questo avviene per fronteggiare un certo calo di capacità di rielaborazione personale delle informazioni da parte degli studenti. I loro risultati si sono abbassati qualitativamente, e con un sistema più "meccanico" è possibile appiattirli, renderli più obiettivi e adattarli alla situazione degli interessati. 

In questo modo lo studente ha la possibilità di impararsi a memoria gli argomenti del corso (ovvero, secondo la mia opinione, consumare l'informazione che essi forniscono) piuttosto che doverli capire e interpretare. Ma questo sacrifica molto. Perché il metodo di esposizione orale, le domande aperte e riflessive le incontro ormai in pochissime occasioni? Eppure in passato non era così. Non le avrei scritto questa mail se si trattasse di singoli esami. In America, la matematica nelle scuole superiori si fa a crocette. Ma nei test dei college la preparazione degli studenti è verificata attraverso ricerche e tesine, successive agli esami scritti. A Padova le tesine e il lavoro individuale oggi sono praticamente inesistenti.

Volevo sapere se anche lei ha osservato questo fenomeno. Se ha incontrato difficoltà crescenti nel rapportarsi con gli studenti. Magari sbaglio, di certo non possiedo dati statistici per verificare la mia posizione, ma la situazione attuale mi preoccupa. Sono venuto a Padova per una formazione completa, per la crescita personale e la discussione aperta. Finora ho preso sei 30 e altrettanti voti mediocri. Credo che quest'università possieda teorici esimi, professori invidiabili. Ma la loro relazione con gli studenti mi sembra in crisi. 

L'argomento mi interessa molto.

Mi scuso per averle rubato tanto tempo, e la ringrazio moltissimo.

G.N.

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