UNIVERSITÀ E SCUOLA

Verso una Terza missione di nuova generazione

Relativamente nuova sotto il profilo della tempistica con cui è arrivata alla formalizzazione, la terza missione è in realtà una dimensione sempre più importante per le istituzioni universitarie e si affianca in modo sinergico alle più tradizionali missioni della didattica e della ricerca.

In Italia un forte impulso in questa direzione ha preso il via circa 10 anni fa quando l'Agenzia nazionale per la valutazione delle università e dei centri di ricerca (ANVUR), ha cominciato ad impostare un primo tentativo di definizione e misurazione delle attività con le quali gli atenei entrano in interazione diretta con la società. In una prima fase il focus è stato soprattutto sul trasferimento tecnologico e la valorizzazione economica dei risultati della ricerca, ma gradualmente la terza missione ha assunto un'accezione molto più ampia e si muove sempre più anche lungo le direttrici della valorizzazione del patrimonio storico e culturale degli atenei, del public engagement, delle iniziative a tutela della salute pubblica e più in generale della creazione di valore per la società e tutti i cittadini.

Il 6 giugno a Padova, all'Auditorium dell'Orto botanico, si è svolto il convegno nazionale "Valorizzare la ricerca e promuovere l'impatto sulla società. I progetti di terza missione degli atenei italiani", organizzato dall'Ateneo. Il convegno ha rappresentato anche un'occasione di confronto e discussione sul tema della valutazione e uno scambio di idee e visioni su come rafforzare nell'immediato futuro tutte le attività di terza missione e come ottimizzare l'impatto, trasversale e a lungo termine, che sono in grado di generare per l'intera società.

In questa occasione abbiamo intervistato Alessandro Perego, vicerettore Sviluppo sostenibile e impatto del Politecnico di Milano e Monica Fedeli, prorettrice con delega alla Terza missione e rapporti con il territorio dell'università di Padova, per un approfondimento sul ruolo strategico delle attività di terza missione per un'università che vuole sempre più essere produttrice di valore economico, sociale, culturale e formativo, espandendo al contempo ogni forma di dialogo con le le istituzioni locali, nazionali e internazionali. 

Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

Un'università che diffonde fuori dalle sue mura le conoscenze prodotte, ricordava qualche anno fa Pietro Greco sulle pagine del nostro giornale, è un passaggio chiave per lo sviluppo culturale ed economico di ogni comunità a livello locale, nazionale e globale ed è una condizione necessaria per la costruzione di una cittadinanza scientifica. Un cammino che consente anche di migliorare il benessere delle persone, favorire una reale partecipazione alla vita democratica e garantire opportunità più concrete di integrazione sociale e imprenditorialità dal basso. 

In un primo momento la terza missione, in Italia come in altri Paesi, era stata impostata soprattutto come trasferimento tecnologico e delle conoscenze dalle istituzioni universitarie alle imprese, creazione di brevetti e start-up, con conseguenti benefici in termini di competitività e sviluppo. Negli ultimi anni il rapporto tra atenei e società è stato però interpretato in una prospettiva molto più estesa che valorizza maggiormente la dimensione pubblica, le opportunità di crescita reciproca, gli scambi bidirezionali e che può avere un ruolo importante anche davanti a sfide complesse come inclusione, sostenibilità e politiche di lotta alle disuguaglianze.

Il nuovo volto della terza missione

"Per terza missione si intende una serie di attività che potremmo definire di collaborazione con la società, con il territorio in senso ampio e a diversa scala, che vanno però fortemente integrate con le altre due missioni, la didattica e la ricerca. Spesso è difficile quando inizia una e quando finisce l’altra. Alcune attività di ricerca nascono proprio dalla collaborazione con la società che fa emergere dei bisogni ed è poi importante restituirne i risultati al territorio, alle imprese, alla società e al mondo del terzo settore. Sono attività importanti perché costituiscono un complemento della catena che crea impatto e valore sulla società: alcune volte si collocano all’origine, altre in mezzo e altre ancora alla fine", spiega al riguardo Alessandro Perego, vicerettore Sviluppo sostenibile e impatto del Politecnico di Milano. "Il legame tra le tre missioni è esattamente la via attraverso cui si crea impatto e questa è una parola fondamentale perché descrive esattamente il risultato, nel senso più pieno, di questo insieme di attività", aggiunge Perego.

"Le nostre università sono istituzioni pubbliche e come tali hanno una responsabilità sociale. La terza missione aiuta a portare nei territori i risultati della ricerca ed è il modo in cui possiamo supportare lo sviluppo delle città", afferma Monica Fedeli, prorettrice con delega alla Terza missione e rapporti con il territorio dell'università di Padova.

E soffermandosi sulla distinzione tra smart cities (città tecnologicamente avanzate nell'uso di sensori e delle tecnologie informatiche) e intelligent cities (città o regioni che sanno utilizzare in modo inclusivo le capacità e le conoscenze che emergono dalle università) proposta da Des McNulty durante il suo keynote, la professoressa Fedeli aggiunge che "città intelligenti hanno bisogno di università per competere. Quindi università, città, istituzioni, organizzazioni che insieme collaborano alla co-creazione di progettazioni che possono andare verso un benessere più diffuso, aumentare il livello della conoscenza e favorire una cultura che possa diffondersi e svilupparsi per rendere la vita delle persone migliore.

Un'esperienza nel concreto: l'off-campus nel carcere di Milano 

Un progetto di terza missione particolarmente significativo di come gli atenei possano avere un ruolo di responsabilità sociale sono gli off-campus, piccoli insediamenti universitari in luoghi particolari di Milano, portati avanti dal Politecnico e da altre università milanesi. 

"Ne abbiamo uno all’interno del carcere di San Vittore, uno nel quartiere popolare di San Siro, uno in una cascina che fa da confine tra una parte di parco cittadino e una parte di quartiere popolare, un altro che è dentro un mercato chiuso nel quartiere Nolo", spiega il professor Perego.

"Questi quattro off-campus sono dei luoghi dove si realizza proprio una compenetrazione tra attività di didattica, ricerca e collaborazione con la società. L’esempio del carcere di San Vittore è emblematico: all’interno del carcere si lavora insieme insieme alla popolazione del carcere, detenuti e guardie, per modificare gli spazi e  fare in modo che siano più funzionali alla missione di riabilitazione del carcere. In questo contesto si fa anche della ricerca perché i ricercatori che sono presenti si impegnano su questo oggetto di studio e al tempo stesso si fa anche didattica perché si portano gli studenti a capire la realtà e si fa una restituzione verso la società".

Il nodo della valutazione

Nell'ambito della valutazione della qualità della ricerca, dedicata anche alle attività di terza missione, ANVUR ha individuato come pietra angolare il concetto di impatto, un concetto con cui si intendono le ricadute sull’economia, la società, la cultura, la salute, l’ambiente, il contrasto alle disuguaglianze che siano state raggiunge grazie all'apporto delle istituzioni universitarie. 

Questo impatto, spiegano il professor Perego e la professoressa Fedeli, non è però sempre facilmente misurabile attraverso indicatori quantitativi e questo riporta al centro alcune questioni non del tutto risolte che afferiscono all'ambito della valutazione.

"Le principali difficoltà sono legate soprattutto al tema della misura di questo impatto e all’utilizzo di questa misura per la distribuzione ordinaria delle risorse o per la valutazione delle carriere. Da un certo punto di vista sono molti anni che ragioniamo su come si misura il carico della didattica, la qualità della didattica, la qualità della ricerca e su questo ci sono molti dibattiti ancora aperti. Valutare l’impatto che si genera complessivamente è ancora più difficile, così come lo è anche stabilire una forma di misura della qualità e dell’efficacia della terza missione. A mio avviso serve un atteggiamento di responsabilità, bisogna evitare di soppesare la terza missione in modo eccessivamente frammentato con una caterva di indicatori che alla fine misurano solo un pezzettino. L’impatto della terza missione va narrato: è quello che chiamiamo studi di caso che si sviluppano nel tempo e con pazienza e i cui impatti non si realizzano dall’oggi al domani. Bisogna essere capaci di narrare questo impatto e questo richiede pazienza e un cambio di approccio, ma soprattutto responsabilità perché è molto più difficile valutare un caso ben narrato rispetto a degli indicatori quantitativi apparentemente più precisi", sostiene il Vicerettore Sviluppo sostenibile e impatto del Politecnico di Milano.

"La valutazione è sempre una sfida però questo convegno ha fatto emergere qualcosa di nuovo che fino ad ora avevamo, forse con un po’ di resistenza, cercato di tenere lontano. L’idea è valutare anche la qualità e non solo la quantità di alcune azioni. E’ emersa la consapevolezza che è importante anche come i progetti vengono narrati da chi li coordina, li supporta e li crea. Quello della terza missione è un racconto sempre corale perché mette insieme interlocutori diversi e anche aree disciplinari diverse perché i progetti più importanti e impegnativi sono quelli che coinvolgono differenti aree e prospettive scientifiche", aggiunge Monica Fedeli.

"L'Italia ha una esperienza 'pilota', anche livello europeo, nella valutazione della terza missione ha affermato recentemente Antonio Uricchio, presidente di Anvur, intervenendo ad un workshop internazionale. ricordando che "sulla base dei risultati dell'attività valutativa vengono poi distribuite risorse, quindi, c'è un peso, si realizza un impatto straordinario di questa valutazione".

E' anche da occasioni di confronto tra atenei, come è stato al convegno nazionale di Padova dove erano presenti 47 realtà universitarie, che possono emergere riflessioni in grado di portare ad affinare i sistemi di valutazione. E considerato che una soddisfacente valutazione della terza missione permette l'accesso a finanziamenti per la ricerca (attualmente circa il 3% del Fondo di finanziamento Ordinario è erogato su questa base ma si suppone che la quota possa salire negli anni, in valore assoluto e in percentuale rispetto al totale del FFO) non vi è dubbio che la definizione di metodi e parametri per la disamina dei progetti sia un nodo centrale su cui lavorare. 

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