SOCIETÀ

Se il senso comune non fosse così comune?

Cosa intendiamo quando parliamo di “senso comune”? Utilizziamo questo concetto per riferirci a quell’insieme eterogeneo di credenze, opinioni e giudizi che consideriamo condivisi da tutti e che influenzano i modi in cui conduciamo la nostra vita quotidiana e ci relazioniamo con gli altri. Pensiamo, ad esempio, a contenuti come: “meglio prevenire che curare”, “la legge è uguale per tutti” o “il sole sorgerà domani”. Eppure, secondo uno studio condotto da Duncan Watts e Mark Whiting, ricercatori all’Università della Pennsylvania, è probabile che non esista affatto un insieme di conoscenze in grado di accomunare davvero tutti i membri di una popolazione. Basti pensare che non tutti coloro che leggeranno questo articolo saranno d’accordo con una o più delle affermazioni proposte poche righe fa.

L’interesse per il senso comune come oggetto di approfondimento scientifico appartiene a diversi ambiti di ricerca, dalla filosofia alla sociologia, alla psicologia, e persino alle scienze computazionali. Studi di questo genere si occupano di indagare sia la natura del senso comune – cercando di capire quali siano i criteri in base ai quali includiamo una determinata affermazione in questa categoria – sia la misura in cui il senso comune influenzi la nostra vita quotidiana e condizioni l’attività scientifica e il dibattito politico.

La principale difficoltà incontrata in questi studi riguarda proprio la necessità di definire e misurare il senso comune con metodo scientifico. Se ci fermiamo a riflettere, non è facile evidenziare dei veri e propri criteri in base ai quali decidiamo se un’affermazione sia di senso comune o meno. Allo stesso modo, non è scontato individuare un insieme di convinzioni effettivamente condivise a livello di popolazione.

Nel loro lavoro, Watts e Whiting fanno riferimento a un elenco di nozioni di senso comune compilato nel XVIII secolo dal filosofo scozzese James Beattie, che comprende diverse categorie di affermazioni, tra cui verità matematiche (come “i tre angoli di un triangolo sono uguali a due angoli retti”), logiche (“ogni effetto ha una causa”), osservazioni empiriche sul mondo esterno (“il sole sorgerà domani”), giudizi normativi (“l’ingratitudine è sbagliata ed è da punire”) e credenze di fede: “esiste un Dio”).

Come osservano Watts e Whiting, sembra che Beattie non abbia selezionato le affermazioni da includere in questo elenco in virtù di una loro caratteristica comune (quelli appena elencati, come abbiamo visto, sono tipi di postulati molto diversi) ma che abbia piuttosto raccolto un insieme eterogeneo di nozioni generalmente considerate evidenti e che non richiedono giustificazioni particolarmente elaborate. Secondo gli autori, questo è ciò che facciamo tutti quando parliamo di senso comune: tendiamo a classificare le nostre conoscenze in questa categoria sulla base di un’intuizione, piuttosto che di un ragionamento logico.

Secondo la definizione sviluppata dagli autori, il senso comune può essere inteso come quell’insieme di convinzioni e di credenze che si ritiene siano condivise anche dagli altri. Non basta, in altre parole, possedere una conoscenza basilare, ma anche pensare di essere d’accordo con la maggioranza.

Whiting e Watts hanno deciso di indagare empiricamente queste due dimensioni fondamentali del senso comune, ovvero il consenso – il livello di accordo all’interno di una popolazione rispetto a un insieme di conoscenze – e la consapevolezza – la capacità di riconoscere quanto una determinata credenza sia condivisa a livello collettivo – attraverso uno studio sperimentale che ha coinvolto più di 2000 partecipanti e si è basato su un corpus di circa 4400 affermazioni di diverso tipo, tra cui speculazioni filosofiche, verità fattuali, considerazioni pratiche e giudizi normativi.

A ciascun partecipante è stato chiesto innanzitutto di dichiarare se fosse d’accordo o meno con ognuna di 50 affermazioni selezionate casualmente dall’insieme appena descritto. Basandosi sulle risposte raccolte, i ricercatori hanno “mappato” il senso comune: hanno cercato, in altre parole, di tracciare una rete che collegasse tra loro le persone che tendevano a concordare sugli stessi argomenti e individuare così gruppi di persone che condividevano gli stessi tipi di credenze. Questa operazione è servita, in termini tecnici, a quantificare la comunanza del senso comune.

Ogni persona non doveva però solo giudicare se fosse d’accordo o meno con gli enunciati proposti, ma anche valutare se ognuno di essi rappresentasse un esempio di senso comune e cercare di prevedere se la maggioranza degli altri partecipanti avrebbe concordato con il loro giudizio.

Dai risultati emerge, innanzitutto, che il livello di accordo tra i singoli individui sia inversamente proporzionale alla loro quantità. In altre parole: più un gruppo di persone è vasto, meno accordo ci sarà non solo rispetto alle singole credenze, ma anche riguardo alla valutazione di cosa sia considerabile o meno di senso comune. Whiting e Watts hanno infatti osservato che l’accordo medio tra le persone rispetto agli enunciati proposti era inferiore al 7% e che le affermazioni empiriche sulla realtà quotidiana (osservazioni fattuali, del tipo: “un granello di sabbia è molto piccolo”, oppure “ai gatti non piace l’acqua”) avevano più probabilità di venire condivise rispetto ai giudizi astratti e agli aforismi (come, ad esempio: “l’odio è la rabbia dei deboli”, oppure “tutti i nostri sogni possono realizzarsi se abbiamo il coraggio di inseguirli”). Infatti, mentre gli enunciati del primo tipo raggiungevano un accordo medio del 21,7%, i contenuti astratti ottenevano in media solo lo 0,7% di accordo.

Sembra, perciò, che ci sia ben poco di “universale” in ciò che consideriamo di senso comune. Gli autori non possono escludere che esista un certo insieme di conoscenze, estraneo al corpus di affermazioni da loro raccolto, condiviso e considerato universale da tutti i membri di una certa popolazione. Nonostante ciò, anche se esistesse un gruppo di credenze veramente comune a tutti, questo costituirebbe solo una frazione di tutto ciò che un singolo individuo considera di buon senso. In altre parole: è probabile che nessuno abbia la stessa identica idea di senso comune di qualcun altro. Se ognuno di noi possedesse una valigia con l’etichetta “senso comune”, esisterebbero di certo alcuni oggetti ricorrenti, che si ritroverebbero nelle valigie di più individui, ma la composizione esatta di tutto ciò che abbiamo inserito nel nostro bagaglio non la ritroveremmo uguale in quello di nessun’altra persona.

Whiting e Watts contano di continuare le loro ricerche sul senso comune utilizzando l’approccio definito in questo studio su diversi corpora di affermazioni, oppure tentando di comparare popolazioni diverse dal punto di vista culturale e sociale per capire se esistano aspetti universali del senso comune, scoprire come si sia evoluto questo concetto nel corso della storia e tentare persino di contribuire ai futuri sviluppi dell’intelligenza artificiale.

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