SCIENZA E RICERCA

Si può misurare la pace?

Già Vitruvio, 2000 anni fa, osservava che “la parte maggiore e più necessaria della saggezza universale è quella che tratta della pace, sulla quale i filosofi svolgono quasi tutte le loro speculazioni, e anzi credo che le speculazioni teoriche su tale argomento non avranno mai fine”, per concludere con la necessità di un approccio concreto basato sulla meccanica (De Architectura liber X).

Molti filosofi, da Agostino a Bobbio, ci hanno lasciato importanti contributi sull’essenza della pace, inquadrandola nella loro globale visione del mondo; altri, come Kant (Per la pace perpetua, 1795), hanno rinunciato a definire il concetto di pace, cercando piuttosto di fissare le condizioni per il suo raggiungimento e conservazione. Un po’ nello spirito kantiano, l’Institute for Economics & Peace (IEP) ha fatto il passo ulteriore di individuare dei quantificatori significativi del grado di pace di un dato paese.

Lo IEP è un gruppo indipendente non-profit di esperti con sede a Sydney e uffici a New York, L’Aia, Città del Messico, Brussel e Harare con l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sulla pace come misura positiva, realizzabile e tangibile del benessere e del progresso umano. A tal fine ha sviluppato nuovi quadri concettuali per fornire metriche per misurare la pace e scoprire i rapporti tra economia, pace e prosperità.

Da 13 anni pubblica annualmente, alla fine di giugno, il suo indice globale di pace (Global Peace Index – GPI) per 163 paesi, ordinandoli in 6 livelli, a seconda che il grado di pace sia molto alto, alto, medio, basso o molto basso. Il GPI utilizza 23 indicatori qualitativi e quantitativi utilizzando dati da fonti molto affidabili, e misura lo stato di pace usando tre domini tematici: il livello di sicurezza e protezione sociale, l’estensione dei correnti conflitti domestici e internazionali e il grado di militarizzazione.

I 23 indicatori

I 23 indicatori individuati sono: conflitti esterni combattuti, percezione della criminalità, conflitti interni combattuti, tasso di incarcerazione, intensità dei conflitti interni, dimostrazioni violente, impatto del terrorismo, armamenti nucleari e pesanti, decessi nei conflitti esterni, importazione di armi, crimini violenti, instabilità politica, relazioni coi paesi vicini, accesso agli armamenti leggeri, forze di polizia (per abitante), forze armate (per abitante), esportazione di armi, tasso di omicidi, spese militari, rifugiati e profughi interni, livello del terrorismo politico, decessi nei conflitti interni, finanziamento delle attività di peacekeeping dell’ONU.

Poiché quasi tutti gli indicatori al loro aumentare misurano l’allontanamento dalla pace, il valore numerico dell’indice GPI cresce al diminuire del grado di pace dei vari paesi e quest’anno varia da 1072 per la situazione migliore a 3574 per quella peggiore. Il documento precisa per ogni indicatore la metodologia seguita, le fonti, i criteri e il peso da assegnare a ciascun indicatore, e verifica la robustezza dell’indice globale.

La scelta degli indicatori è ovviamente responsabilità dello IEP e può non convincere ognuno (personalmente avrei aggiunto l’adesione e il rispetto dei trattati internazionali e considerato gli sviluppi tecnologici degli armamenti), ma certamente sono tutti rilevanti e indicano un concetto di pace che va oltre la semplice assenza di violenza e del timore di violenza. La misura quantitativa del livello di pace è comunque un fondamentale strumento per confronti fra stati e per valutare il progresso (o regresso) verso la pace dei singoli paesi nel corso degli anni, e può quindi fornire utili suggerimenti per l’attività politica.

La situazione attuale secondo il GPI

Va subito detto che la situazione globale attuale del mondo è leggermente migliorata rispetto all’anno precedente, grazie principalmente alla riduzione delle vittime del terrorismo e dei conflitti in Siria, Ucraina e Iraq. Il GPI 2019 rivela un mondo in cui i conflitti e le crisi emerse nel passato decennio hanno iniziato a diminuire, ma sono emerse nuove tensioni all’interno e tra le nazioni, con un aggravamento della militarizzazione.

Islanda (dal 2008 il paese più pacifico del mondo), Nuova Zelanda, Austria, Portogallo e Danimarca aprono il gruppo dei 13 paesi con grado di pace molto alto, seguiti da 62 paesi con grado alto (fra cui l’Italia, 39esima come lo scorso anno) e 43 paesi di livello medio; la situazione è grave per i 29 paesi di basso livello fino ai 16 paesi di livello molto basso, i 6 peggiori essendo Somalia, Iraq, Yemen, Sud Sudan, Siria e, ultimo, Afghanistan; 86 paesi hanno migliorato la posizione ma 76 hanno registrato deterioramenti.

L’Europa non solo rimane la regione con il grado di pace migliore, ma anche migliora ulteriormente (figura 1), con tutti i paesi dell’Unione Europea con grado alto o molto alto di pace (un punto che i critici dell’Unione farebbero bene a considerare) e solo la Turchia (152esima) fra quelli a livello molto basso.

Medio Oriente e Nord Africa sono sempre la regione meno pacifica, anche se la regione ha visto un miglioramento, per la diminuzione delle vittime del terrorismo e della guerra in Siria. Il più grande miglioramento è avvenuto nella regione Russia ed Eurasia, a seguito della diminuzione della violenza in Ucraina, anche se la Russia (livello molto basso,154a) ha peggiorato la sua posizione.

Tutte e tre le regioni nelle Americhe registrano un deterioramento del livello di pace: America Centrale e Caraibi mostrano i maggiori peggioramenti, seguita dal Sud America e quindi dal Nord America. L’aumento dell’instabilità politica e la violenza interna sono un problema in tutte e tre le regioni, esemplificato dai violenti tumulti in Nicaragua e in Venezuela, e la crescente polarizzazione politica in Brasile e negli Stati Uniti.

Gli USA (128a posizione) sono a un livello basso soprattutto a causa della crescente militarizzazione, dell’alto numero di omicidi e dei conflitti militari esterni. La regione Asia-Pacifico è migliorata in tutti i tre domini del GPI, nonostante l’aggravamento del terrorismo e l’aumento dei conflitti interni ed esterni.

La Corea del Nord è l’unico paese della regione fra gli ultimi 25, a causa degli armamenti nucleari e pesanti; la Cina (110a, livello medio) ha guadagnato due posizioni, per la riduzione dell’esportazione di armi e del tasso delle spese militari, anche se è peggiorata per la sicurezza e protezione, dato l’alto livello di incarcerazioni (oltre un milione di mussulmani Ughur in campi di concentramento).

L’Asia Meridionale rimane a un livello basso di pace, appena superiore a quello del Medio Oriente, anche se ha visto un leggero miglioramento, grazie a Nepal, Pakistan, Bhutan. Rimane alto il peso del terrorismo, i conflitti interni e internazionali e la militarizzazione di India e Pakistan. L’Africa sub-sahariana vede una varietà di situazioni, dato il gran numero di paesi. Il miglior indicatore della regione è la militarizzazione, migliore della media mondiale, con una bassa spesa militare e di armamenti pesanti. Sono invece aumentati i conflitti in corso, con nuovi conflitti interni e azioni terroristiche diffuse. I maggiori miglioramenti si sono avuti in Rwanda, Gambia, Djibouti, Eswatini e per la stessa Somalia, che tuttavia rimane fra i 5 peggiori paesi. I peggioramenti maggiori sono stati in Burkina Faso, Zimbabwe, Togo, Sierra Leone e Namibia.

Evoluzione del GPI dal 2008

L’analisi degli indici negli ultimi 10 anni mostra che il livello di pace è globalmente deteriorato del 3,78%, con peggioramenti per sette degli ultimi dieci anni (figura 2); 17 dei 23 indicatori sono in media peggiori nel 2019 rispetto al 2008. Il gap fra i paesi più pacifici e quelli meno pacifici si è acuito nel corso degli anni: dal 2008 al 2018 il livello dei 25 paesi in peggiori condizioni è mediamente peggiorato del 11,8%, mentre quello dei 25 in condizioni migliori è migliorato mediamente dell’1,7%.

Il deterioramento della situazione riguarda tutte le regioni mondiali, Europa inclusa, ove metà dei paesi hanno visto un peggioramento.

I conflitti in Medio Oriente sono stati il fattore fondamentale per il peggioramento globale e la regione Nord Africa e Medio Oriente è sempre stata la meno pacifica per 18 dei 23 indicatori.

Osservando i tre domini del GPI si vede che mentre il livello di sicurezza e protezione sociale è peggiorato del 4% e l’estensione dei conflitti in corso domestici e internazionali dell’8,7%, si assiste a un miglioramento del 2,6% per il grado di militarizzazione (figura 3). In quest’ultimo dominio 104 paesi sono migliorati, 98 hanno ridotto il peso delle spese militari sul PIL (anche se le spese militari globali sono cresciute del 12,9% nel periodo) e 117 hanno diminuito il tasso del personale delle forze armate.

Va osservato che l’indice non considera l’introduzione di nuove tecnologie (per esempio droni e armi cibernetiche) e ristrutturazioni delle forze armate che permettono riduzioni di personale pur aumentando la bellicosità. Nel periodo sono anche aumentate globalmente le importazioni ed esportazioni di armi, queste ultime sempre più concentrate in pochi paesi, anche fra i più pacifici, quali Svezia e Svizzera: il 75% in valore delle esportazioni di armi è comunque appannaggio di soli 5 paesi (USA, Russia, Germania, Francia e Cina).

Terrorismo e conflitti interni sono stati le maggiori cause del deterioramento globale della pace: 104 paesi hanno registrato un aumento dell’attività terroristica, mentre solo 38 hanno visto una diminuzione nel decennio. Questo aggravamento è legato a Daesh, Boko Haram e ai conflitti in Medio Oriente con la diffusione in Europa, dove solo 6 paesi sono rimasti indenni. Le vittime del terrorismo sono andate crescendo da meno di 20.000 nel 2008 fino a 32.000 nel 2014, con una successiva diminuzione ai 12.000 del 2018.

In parallelo all’andamento del terrorismo, anche le vittime dei conflitti armati sono andati crescendo fino al 2014, raggiungendo il massimo di 180.000, con Siria, Afghanistan Yemen e Iraq i paesi più coinvolti: il numero totale di morti in conflitto è aumentato del 140% tra il 2006 e il 2017. Globalmente è andato invece diminuendo il tasso di omicidi, con l’eccezione dei paesi dell’America centrale.

Il documento segnala inoltre la grave minaccia alla pace globale legata ai cambiamenti climatici e ancora troppo sottovalutata: si stima che 971 milioni di persone vivano in aree con alta o molto alta esposizione ai cambiamenti climatici e fra queste 400 milioni (41%) risiedono in paesi che hanno già bassi livelli di pace. I cambiamenti climatici possono aumentare indirettamente la probabilità di conflitto violento attraverso il loro impatto sulla disponibilità di spazio vitale, risorse, mezzi di sussistenza, sicurezza e migrazione.

Per affrontare queste sfide e gestire gli shock indotti dal clima occorre il superamento dei conflitti in corso, un miglioramento deciso nel livello della pace globale e la concentrazione delle risorse e dell’attenzione sulle nuove problematiche, che potranno presentare degli aspetti ancora non prevedibili, e ci sarà bisogno di molta maggior cooperazione sia internazionale che all’interno dei singoli paesi.

alessandro pascolini

ALESSANDRO PASCOLINI

Alessandro Pascolini è uno studioso senior dell’Università di Padova, già docente di fisica teorica e di scienze per la pace, ed è vice-direttore del Master in comunicazione delle scienze. Si occupa di fisica nucleare, controllo degli armamenti e divulgazione scientifica. Dal 1988 al 2002 è stato responsabile delle attività di promozione della cultura scientifica dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, producendo una sessantina di mostre in Italia e all’estero e predisponendo testi e materiali audiovisivi, cinematografici e multimediali. La Società Europea di Fisica gli ha conferito il premio 2004 per la divulgazione scientifica. È vicepresidente dell’ISODARCO e partecipa alle Pugwash Conferences on Science and World Affairs.

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