SOCIETÀ

Brexit: a mezzanotte l'addio della Gran Bretagna alla Ue. Ecco cosa cambia

La Brexit è servita. Alle 23 di questa sera (ora britannica, in Europa centrale sarà la mezzanotte) la Gran Bretagna lascerà l’Unione Europea dopo 47 anni di convivenza. Un addio tormentato, dibattuto, controverso e contestato, tra colpi di scena e accuse e strappi che negli ultimi tre anni e mezzo (dal 23 giugno 2016, quando i “Leave” vinsero il referendum con il 52% dei voti) hanno lacerato il dibattito politico, non soltanto britannico.

È la prima volta che un paese lascia l’Unione Europea da quando l’organizzazione è stata fondata

Ora la porta si chiude definitivamente, anche se qualche spiraglio di assestamento, fisiologicamente, resterà nella fase di transizione, che alcuni prevedono (o sperano?) piuttosto lunga. È la prima volta che un paese lascia l’Unione Europea da quando l’organizzazione è stata fondata, con i Trattati di Roma (nella sua fase embrionale) del 1957.

Il voto di mercoledì scorso al Parlamento Europeo è stato l’ultimo atto formale: non erano previste sorprese e non ce ne sono state: 621 i voti a favore, 49 i contrari, 13 astenuti. Tra abbracci, saluti, pianti e il canto dell’addio intonato da gran parte degli eurodeputati. Non proprio un’atmosfera di festa, anche se c’è chi festeggia (Nigel Farage). Critico il belga Philippe Lamberts, co-presidente dei Verdi: «C’è una ragione per cui la gente si rivolta contro l’Ue: succede perché molte delle attuali politiche europee servono gli interessi di pochi, non della maggioranza. L’Europa deve trovare una soluzione a questo problema se non vuole altre Brexit. Deve assicurarsi di fare politiche per chi è vulnerabile e politiche rispettose dell’ambiente».

Da domani la Union Jack non sventolerà più sugli edifici dell’Unione Europea, e la bandiera comunitaria sarà ammainata in tutto il Regno Unito

Da domani dunque, al di là dei sensi di colpa, la Union Jack non sventolerà più sugli edifici dell’Unione Europea, e la bandiera comunitaria sarà ammainata in tutto il Regno Unito. La Gran Bretagna uscirà dal perimetro dell’Unione Europea e molto cambierà sotto diversi aspetti, politici e pratici. Ma non immediatamente. Parte ora la fase di transizione per negoziare e trovare la quadra su tutti gli aspetti economici e commerciali del nuovo accordo (aperta e spinosa la questione dei dazi sui beni importati dalla Gran Bretagna).

Una fase che dovrebbe durare circa un anno, con Bruxelles che già offre tempi più diluiti e Boris Johnson, il premier britannico, che sembra invece intenzionato a chiudere la partita, come previsto, entro il 31 dicembre 2020. Un’eventuale proroga dei negoziati, qualora fossero ancora in alto mare, potrà essere richiesta da Londra entro l’1 luglio 2020.

Passaporto, lavoro, studio: ora cosa cambia

A livello pratico: per entrare in Gran Bretagna al momento resta tutto come prima. Anche da domani, 1 febbraio, basterà presentare la propria Carta d’Identità (il Regno Unito non ha mai fatto parte della Convenzione di Schengen, perciò si procedeva comunque al controllo documenti). Questo varrà per il solo periodo di transizione, dunque fino al 31 dicembre 2020 (salvo rinvii). Dal 2021 sarà obbligatorio il passaporto. E dalla stessa data (2021, o comunque alla fine della fase di transizione) per vivere e/o lavorare nel Regno Unito sarà necessario un visto apposito (la questione sarà definita nei dettagli in fase di accordi con l’Unione Europea). Comunque dall’1 febbraio 2020 per trasferirsi nel Regno Unito per periodi maggiori di 3 o 6 mesi, occorrerà un visto di lavoro o di studio. Il visto di lavoro sarà rilasciato soltanto a chi dimostrerà di avere un contratto di lavoro con uno stipendio che superi le 30mila sterline l’anno, misura stabilita per limitare l’ingresso nel paese di manodopera non specializzata (camerieri, baristi) e favorire invece l’arrivo di lavoratori stranieri qualificati. Gruppi di imprenditori britannici hanno già chiesto l’abbassamento della soglia a 26mila sterline.

Nulla, o poco, dovrebbe invece cambiare da un punto di vista turistico o per soggiorni di studio (che riguardano ogni anno molti ragazzi minorenni). Tutto da stabilire invece il futuro dell’Erasmus, il programma di scambio universitario riservato ai paesi membri dell'Unione Europea. Di certo ci saranno cambiamenti, non è esclusa la soppressione. Il governo britannico ha comunque rassicurato che saranno mantenuti rapporti e scambi con le Università europee, ma le condizioni sono tutte da definire. Da un punto di vista commerciale invece, dall’1 febbraio l’euro non sarà più accettato come valuta, cosa che spesso finora avveniva, soprattutto nelle zone più turistiche: solo sterline per fare acquisti.

Il primo cambiamento, immediato, è invece a livello politico: i 73 europarlamentari britannici lasciano il Parlamento Europeo che, come uno scossone dopo un terremoto, si riassesta più a destra, producendo nuovi equilibri. Per effetto della Brexit i parlamentari europei diminuiscono da 751 a 705. Dei 73 seggi lasciati vacanti, 27 vengono redistribuiti tra i paesi membri e 46 lasciati a disposizione per eventuali allargamenti dell’Unione ad altri Stati. L’Italia avrà tre parlamentari in più, passando così da 73 a 76 (tutti assegnati ai partiti che hanno preso più seggi alle ultime elezioni: uno alla Lega, uno a Forza Italia, uno a Fratelli d’Italia). Spagna e Francia avranno in dote, ciascuno, 5 parlamentari in più. Poi l’Olanda, con 3, e l’Irlanda con 2. Uno ciascuno per Austria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Polonia, Romania, Svezia e Slovacchia. Come calcola l’Huffington Post, tra i gruppi si avvantaggiano i Popolari (+ 5 parlamentari) e i sovranisti di Identità e Democrazia (+3), mentre arretrano numericamente i Liberali (da 108 a 97 deputati), i Verdi (-7) e i Socialisti (-6). La Sinistra Europea (Gue) passa da 41 a 40 parlamentari. A livello istituzionale, nessun rappresentante britannico parteciperà più ad alcuna riunione del Consiglio Europeo, pur continuando a contribuire al bilancio comunitario fino all’esaurimento della fase di transizione. I cittadini britannici saranno inoltre esclusi dai concorsi per posti di funzionari Ue.

«Non una fine, ma un inizio»

Questa sera, alle 22 ora britannica, un’ora prima dell’uscita dall’Unione Europea, Boris Johnson parlerà alla nazione, mentre sono previsti spettacoli e iniziative (il Brexit Party di Nigel Farage ha organizzato a Parliament Square la “Brexit Celebration”). Downing Street ha fornito qualche anticipazione del discorso: «Questa non è una fine, ma un inizio», dirà il premier. «Il nostro dovere come governo è unire il Paese e spingerci più avanti». Il Ministro dell’Ambiente Michael Gove ha detto che stasera si sentirà “sollevato e felice”: «Dobbiamo riconoscere che molte delle persone che hanno votato per lasciare l’Unione Europea l’hanno fatto perché si sono sentite trascurate, sottovalutate. Ora è tempo di tornare a unire il nostro paese». Ma la questione Brexit non finisce qui, né stasera.

Il rischio è che Gran Bretagna e Unione Europea, al di là dei proclami di amicizia e fratellanza, potrebbero prendere traiettorie diverse. Come scrive Lionel Laurent su Bloomberg: «I prossimi 11 mesi saranno cruciali: l’UE cercherà di vincolare il Regno Unito vicino alla sua orbita normativa per evitare che diventi un ponte per l’influenza degli Stati Uniti; il Regno Unito, nel frattempo, sarà tentato di stringere legami più stretti con gli Stati Uniti per compensare la perdita di scambi senza attriti con il suo grande vicino. Finora c'è più convergenza che divergenza tra le due parti. Ma Washington e Pechino non sono fermi. L'umore potrebbe diventare brutto presto».

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012