SOCIETÀ

Amori venali, tra marginalità e integrazione

Per esercitare il “mestiere” sarà sufficiente comunicarlo a una sede qualsiasi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Cciaa) del territorio nazionale, esibire un certificato di idoneità psicologica e pagare una somma di 6.000 euro se si deciderà di lavorare a tempo pieno o di 3.000 euro se l’esercizio sarà part-time. Gli enti locali potranno inoltre individuare dei luoghi specifici in cui svolgere l’attività e proibirla in alcuni altri. È questo ciò che propone il recente disegno di legge avanzato dalla senatrice Maria Spilabotte per regolamentare il fenomeno della prostituzione. Attribuendo ai “sex workers” diritti e doveri, tra cui il pagamento delle tasse.

L’obiettivo dichiarato è innanzitutto quello di impedire lo sfruttamento delle persone più deboli, soprattutto donne straniere spesso in Italia illegalmente, costrette ad accettare condizioni di lavoro dannose per la loro salute e quella degli altri; di scoraggiare l’infiltrazione della criminalità organizzata nel business della prostituzione attraverso la legalizzazione del “mercato”; e infine di portare ordine nelle città che talvolta presentano veri e propri “bordelli a cielo aperto”. Due le strade che si intendono percorrere: da un lato la “decriminalizzazione dell’adescamento e del favoreggiamento” e dall’altra la definizione di una normativa che indichi dove si può o non si può esercitare.

Se questa è la proposta, tutta italiana, il Parlamento europeo sembra tuttavia andare in un’altra direzione. E ritiene, con una risoluzione approvata il 26 febbraio, che “un modo di combattere la tratta di donne e ragazze minorenni a fini di sfruttamento sessuale e di rafforzare la parità di genere segua il modello attuato in Svezia, Islanda e Norvegia (il cosiddetto modello nordico)… dove il reato è costituito dall'acquisto di servizi sessuali e non dai servizi resi da chi si prostituisce”. Considerare la prostituzione un ‘lavoro sessuale’ legale, si legge nella relazione, depenalizzare l'industria del sesso in generale e “rendere legale lo sfruttamento della prostituzione” non è una soluzione per proteggere donne e ragazze minorenni vulnerabili dalla violenza e dallo sfruttamento.

Nel corso del tempo i Paesi hanno adottato sistemi differenti per affrontare il fenomeno della prostituzione che vanno dal proibizionismo alla regolamentazione. Dal divieto della prostituzione, dunque, che ha visto l’introduzione della punizione del cliente (novità rispetto al passato) alla “statalizzazione dei bordelli”, alla regolamentazione giuridica ed economica da parte dello Stato della professione. Come accade oggi in Olanda. Legalizzare implica pagare le tasse, destinare luoghi specifici alla professione e prescrivere controlli sanitari. E ciò avveniva anche in Italia prima della legge Merlin che nel 1958 segnò la fine della prostituzione “regolamentata”.

Ma andando a ritroso nel tempo, si vede come la predilezione di un modello piuttosto che un altro sia spesso frutto di particolari congiunture culturali, sociali, economiche e politiche. A porlo in evidenza in un recente volume dal titolo Amori venali. La prostituzione nell’Europa medievale (Laterza 2013) è Jacques Rossiaud, che esamina il fenomeno tra l’XI secolo e i primi anni del XVI. E indaga l’evolvere della mentalità, della teologia e del diritto in tema di prostituzione, ma anche del modo di concepire la sessualità e il corpo nel rapporto tra uomo e donna.

In una posizione di totale vulnerabilità ed esclusione sociale, per tutto l’XI secolo la prostituta viene considerata impura tanto da volerla confondere con gli ebrei e i lebbrosi. È fuori dal diritto, anche se questo crea maggiori problemi e favorisce lo sfruttamento e la delinquenza. Nel secolo successivo la situazione inizia a cambiare, grazie anche a un “ampio movimento secolare di promozione della donna”. Gradualmente la prostituta viene considerata degna della protezione della legge. I regolamenti repressivi lentamente diminuiscono e le meretrices possono svolgere la loro attività, considerata ormai inseparabile dalla vita sociale. L’integrazione si manifesta attraverso la possibilità di esercitare gli stessi diritti economici, sociali e religiosi degli altri cittadini. Le più belle partecipano ai banchetti che si tenevano a palazzo, fanno parte dei gruppi autorizzati a salutare il principe. Compare la figura della cortigiana, donna venale “onesta” e colta. “Perfettamente integrate? – si domanda Rossiaud – certamente no (a differenza delle loro consorelle, cosiddette oneste); ma in grado di diventarlo? Probabilmente”.

Alle origini di questo cambiamento certamente la crescita urbana e lo sviluppo dell’economia monetaria, oltre al “controllo esercitato dal lignaggio aristocratico (a vantaggio del primogenito) alla nuzialità maschile”. Non mancano nemmeno argomentazioni di tipo religioso che vedono nella prostituzione la salvaguardia della moderazione coniugale, poiché in questo modo la passione amorosa trova sfogo altrove. È la teoria del  male minore. Rispetto anche alla violenza, allo stupro e all’incesto. Posizioni che convergono con l’ideologia laica del bene comune e vengono rafforzate anche dalle teorie dei medici che pongono l’atto sessuale non solo nel contesto della procreazione, ma anche in quello dell’igiene generale.

Dalla periferia, lentamente la prostituzione si trasferisce nel centro della città, nel cuore della vita economica, sociale e politica. A partire dalla seconda metà del Trecento le municipalità non si limitano più a controllare i luoghi della prostituzione, ma ne prendono in mano la gestione costruendo il postribulum publicum che gestiscono direttamente o danno in affitto. Ad aprire la strada sono le città italiane: Lucca nel 1348, Venezia nel 1358, Milano nel 1390, Firenze nel 1403.

Tra il XIV e il XV secolo in Germania (tra Colonia, Hannover, Dresda e Berna) sono attivi 108 bordelli pubblici e i numeri non sono inferiori in Castiglia, in Lombardia o in Toscana. E accanto al postribulum non mancano le strutture semi-pubbliche o private. Dai bordelli privati di tipo artigianale, alle taverne e agli alberghi che ospitano le prostitute, fino ai bagni pubblici (étuves) il cui uso a fini sessuali diventa ben presto dominante. Quindici a Francoforte e altrettanti Strasburgo intorno al 1470 e 40 a Bruges agli inizi del Cinquecento, sono case di tolleranza frequentate soprattutto dagli uomini sposati e dagli ecclesiastici per i rari controlli delle guardie.

Accanto alle prostitute dei bordelli pubblici, le ragazze (segrete) di strada, di piazza o di taverna, in un rapporto di controllo e intermediazione con un folto gruppo di ruffiani, mezzani e tenutari. Ma anche amanti e mantenute.  

Si deve attendere la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento per assistere a un reflusso delle attività legate alla prostituzione. Avanzano le pestilenze, aumentano le “strane stagioni” fredde e umide accompagnate da “straripamenti straordinari” che causano raccolti scarsi e periodi di rincari. E aumentano i contrasti sociali. La miseria forza le porte delle città e i poveri rappresentano una minaccia sanitaria. I medici sconsigliano i rapporti sessuali, dissuadono dal recarsi ai bagni pubblici. La Chiesa, d’altra parte, collega le calamità naturali a vendette divine e la controriforma pone fine alla tolleranza. Prende avvio in questo modo un lento processo di contrazione delle attività legate alla prostituzione. Chiudono le étuves, chiudono i bordelli pubblici. Ma questo favorisce lo sviluppo di una prostituzione di strada, “evanescente, inafferrabile, precaria”.

“Esistevano – conclude Rossiaud – sfumature sociali diverse, prostituzioni diverse non una soltanto, gradi di tolleranza e di comprensione che cambiavano a seconda dei luoghi, dei tempi e dei livelli culturali. Le riforme del XVI secolo sovvertirono il vecchio edificio fatto di comprensione, di controllo e a volte di repressione… Non parlerò a questo proposito di progresso di civiltà, ma solamente di metamorfosi”.

Ieri come oggi, dunque, la prostituzione è un fenomeno che esiste e attraversa i secoli. Ieri le ragazze delle taverne, delle étuves, dei bordelli pubblici, le cortigiane; oggi le ragazze di strada, le straniere vittime della criminalità, le escort di lusso. Una realtà che, al di là delle etichette, continua a lasciare aperto un problema.

Monica Panetto

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