SCIENZA E RICERCA

Bambini, dunque scienziati / 1

Lo sappiamo, già molto prima di aver compiuto nove mesi e di aver imparato a sgambettare o a parlare, i bambini sanno riconoscere non solo il volto amico della mamma, ma in generale un volto amico. E tuttavia la loro capacità di leggere il mondo e di interpretare le relazioni sociali non si ferma qui. I risultati di una ricerca pubblicata on line a inizio gennaio 2014 sulla rivista Journal of Experimental Psychology da Amanda Woodward della University of Chicago e da un gruppo di suoi colleghi, i cuccioli d’uomo sanno, anche, riconoscere l’amicizia, ovvero come si comportano tra loro persone che hanno una relazione amicale. Sanno, per esempio, che gli amici hanno, in genere, gli stessi interessi e i medesimi gusti. E quando queste aspettative non vengono soddisfate, perché persone amiche mostrano interessi e gusti diversi, l’attenzione dei bambini aumenta: quasi volessero capire cosa sta succedendo di strano e perché.

Il gruppo di psicologi americani è giunto a queste conclusioni proponendo a 64 bambini di nove mesi un video in cui due attori simulano un pranzo tra amici. L’attenzione dei bimbi è tenue quando vedono che i due amici apprezzano la medesima pietanza oppure, al contrario, sono disgustati dalla medesima pietanza. Non si accende quando i due amici si comportano da tali e si scambiano pietanze che giudicano prelibate. Ma l’attenzione dei bimbi ha un’impennata nel momento in cui, di fronte al medesimo cibo, i due amici hanno reazioni diverse: uno apprezza la pietanza, l’altro la rifiuta disgustato. C’è qualcosa che non quadra.

Secondo Woodward e colleghi i bambini già a nove mesi hanno un’idea astratta delle relazioni sociali e precise aspettative. E queste idee e aspettative non sarebbero il frutto dell’esperienza, ma sarebbero in qualche modo innate.

Si può discutere – e molti, probabilmente, lo faranno – su queste ultime conclusioni. Ma una cosa è certa: le nostre idee sul pensiero astratto dei cuccioli d’uomo stanno cambiando. 

Un articolo di review pubblicato qualche mese fa sulla rivista Science da Alison Gopnik – docente di psicologia a Berkeley, in California, allieva di Jerome Bruner e tra le più note studiose al mondo di teoria della mente e, appunto, di sviluppo cognitivo – mostra, per esempio, che i bambini non solo a 4 anni o a 2 anni, ma persino a 8 mesi pensano (e agiscono) come fossero scienziati.

Dagli anni Ottanta a oggi, sostiene Alison Gopnik, un’intera costellazione di prove empiriche dimostra che i bambini hanno una capacità intuitiva di elaborare teorie razionali sul mondo. Sono almeno trent’anni che gli studiosi di diversi ambiti disciplinari vanno scoprendo che i bambini, anche a pochi mesi dalla nascita, posseggono una “visione del mondo che li circonda astratta, strutturata, coerente e causale simile a quella proposta nelle teorie scientifiche”. E che usano queste rappresentazioni razionali del mondo di tipo fisico, biologico, psicologico e sociale per fare delle vere e proprie predizioni. Di recente sono stati elaborati modelli matematici dell’apprendimento che mostrano come il modo di apprendere – o, se vogliamo dirlo alla moda dei filosofi, l’epistemologia – dei bambini è simile a quella induttiva degli scienziati. Tipo: se è vera la teoria che ho elaborato sulla base dell’esperienza secondo cui il mio papà torna a casa di sera parcheggiando l’auto in giardino, quando farà buio e sentirò spegnere un motore, lo vedrò apparire sulla porta. Una predizione che sul piano epistemologico è analoga a quella proposta da Peter Higgs mezzo secolo fa: se è vera la mia teoria di campo, allora deve esistere una particella (che oggi chiamiamo particella di Higgs).

Certo, Karl Popper ci ha insegnato che le teorie scientifiche non sono quasi mai induttive (vedo tutti cigni bianchi e ne induco la legge “tutti i cigni sono bianchi”), ma quasi sempre di tipo ipotetico-deduttivo. Ma è anche vero che gli scienziati usano nella prassi quotidiana di lavoro anche il ragionamento induttivo. Ma, tutto sommato, non è questo il punto più importante della questione. Il problema importante è capire come apprendono i bambini. (1-continua)

Pietro Greco

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012