CULTURA
Il rapporto madre-figlia al centro della scrittura femminile
La scrittura delle donne ha offerto nel corso della storia una produzione molto ampia di testi, un patrimonio di voci disperse, spesso dimenticate o perfino sconosciute. Riscoprire questi testi, variegati e compositi, che si dipanano tra forme creative e forme memorialistiche o di reportage, significa scorrere una collezione originale di opere di singolare bellezza e intensità sia per l’intreccio dei generi sia per la prospettiva degli sguardi che si incrociano.
La scrittura delle donne, infatti è scrittura originale, diversa per i temi, per i messaggi, per l’impasto stilistico da quella della tradizione maschile: scruta la vita da un punto di vista differente, penetra gli avvenimenti della storia pubblica e di quella privata, coglie e descrive la sfera della propria quotidianità e della propria soggettività come specchio e riflesso della scansione di giorni circoscritti, ma non segregati.
In un articolo del 1929, intitolato Le donne e il romanzo, Virginia Woolf scriveva: “Se […] volessimo cercare di riassumere le caratteristiche della narrativa femminile oggi, potremmo dire che è coraggiosa, che è sincera, che aderisce a quello che sentono le donne. Che non è acida. Che non insiste sulla propria femminilità. Allo stesso tempo però i libri di una donna non sono scritti come li scriverebbe un uomo”.
Questa definizione di grande efficacia può essere sottoscritta ancora oggi per caratterizzare la valenza singolare della vasta e ricca produzione della scrittura femminile e dobbiamo esser consapevoli che siamo depositarie di una eredità immensa. La scrittura femminile ha aperto la strada alla rivisitazione della tradizionale nozione di letteratura come corpus di scritture neutre, come sistema letterario rigido, canone – magari articolato, ma indiscusso. L’irrompere della soggettività femminile nella letteratura provoca una serie di innovazioni e discontinuità molto forti nella tradizione e si manifesta concretamente a vari livelli: per esempio con il mettere al centro, come protagonista, una donna; il presentare uno stile e anche una grammatica che spezzano schemi lungamente consolidati; o ancora, il tratteggiare ambienti e scenari che erano stati in precedenza trascurati, mai adeguatamente descritti o tematizzati. Questo è il grande salto compiuto dalla scrittura femminile: il mondo e le sue abitudini, i comportamenti, le mentalità, risultano essere puntualmente ridiscussi, “problematizzati”, rovesciati.
Sappiamo tutti come nel mondo antico la donna fosse considerata inferiore all’uomo per natura: ci aiuta benissimo perfino l’etimologia: mulier deriva da mollities – mollezza, fragilità. La donna, insomma, è considerata fin dall’origine più emotività e sensazione che logos perchéla materia-corporeità definisce la sua natura e lo stereotipo della sua mancanza di forza fisica e morale. Ne deriva l’idea delle donne più inclini a sacrificarsi per la famiglia e a posporre il proprio benessere e interesse a quello dei figli e del marito.
Per questo la relazione madre-figlia è uno dei nodi dell’autobiografia e centro tematico forte della scrittura femminile, e si caratterizza nella testimonianza di innumerevoli donne, come luogo di conflitti e di sofferenza, origine e modello di annullamento di sé che non lascia spazio a desideri, progetti, ambizioni, percepiti come espansione oltre il canone designato della soggettività femminile. La contrapposizione tra maternità, trappola biologica ineluttabile, e creatività scaturisce da un dettato che ha le sue radici in un’adesione inconsapevole alla pratica materna della cultura patriarcale.
Alle radici della paternità, invece, esiste una realtà archetipica in cui il legame biologico dell’uomo con i figli era sconosciuto; per il padre la procreazione era un gesto che si poteva ignorare e la filiazione un atto simbolico che si poteva perfino negare. Per l’uomo, escluso biologicamente dalla gravidanza, la paternità si è modellata frequentemente nella trasmissione di un codice normativo che è emanazione di un potere costituito, trama essenziale di un predominio ideologico, storico e politico nelle varie configurazioni in cui si moltiplicherà e si trasmetterà: padre mitico, padre sacro, padre educatore, padre etico, padre politico.
Il padre diventa, ancora, la figura potente che influisce su sentimenti, emozioni, atteggiamenti della figlia al punto da determinarne l’autostima, da tracciarne il destino; un destino contrassegnato da dubbi, insicurezze e da un bisogno incessante di piacere agli altri a causa di un mancato riconoscimento lontano, di un tradimento inconsapevole che ha aperto una ferita profonda e ardua da rimarginare. Il padre tiranno gelido e autoritario, mai rassicurante e autorevole, con l’imperativo categorico del dovere, impone solo obbedienza cieca ed assoluta, regole rigide di comportamento senza motivazioni. La sua colpa consiste, allora, in una presenza forte a cui corrisponde un’assenza esasperata rispetto alle reali necessità dei figli.
L’identità di una donna è caratterizzata spesso da una rincorsa al grande assente della sua infanzia che pur l’ha imprigionata nelle maglie del potere virile e delle sue leggi, ma che resta un modello di riferimento resistente che condiziona la sua capacità decisionale nell’affrontare i conflitti. E la letteratura delle donne, la narrativa e la poesia, ha affrontato nel corso dei secoli, in particolare in quelli più recenti, queste problematiche fornendo un panorama variegato e denso di testimonianze e di indagini.
Saveria Chemotti
Questo articolo è la sintesi della conferenza dell’autrice per il ciclo di lezioni “Schola del Bo”