SOCIETÀ

Per la crescita economica non c’è la bacchetta magica

Il libro di Luca Ricolfi, L’Enigma della Crescita pubblicato da Mondadori, è utile per mettere alcuni punti fermi nel dibattito che è nato dopo la crisi del 2007 in merito sia alle cause della crisi stessa sia ovviamente alle ricette per uscirne.

Basandosi su un’approfondita analisi della letteratura economica sul tema della crescita e dello sviluppo economico, Ricolfi arriva alla conclusione che quella che abbiamo vissuto negli anni precedenti al 2008 era semplicemente un’illusione ottica. L’analisi dei dati sembra non lasciare dubbi: le economie sviluppate hanno raggiunto il loro picco di crescita negli anni Cinquanta e Sessanta, da lì in poi è cominciato un lungo declino, nel senso che il tasso di crescita si è fortemente ridotto. Cosa spiega questo generale rallentamento? La risposta può apparire semplice, quasi scontata: il benessere stesso. La crescita economica contiene al suo interno le ragioni che la frenano nel tempo. Il modo in cui si arriva a questa conclusione però non è altrettanto scontato. Ricolfi impiega molte pagine per studiare le diverse equazioni della crescita, spaziando dall’economia, alla demografia e alla biologia, per poi applicarle ai dati economici dei paesi più sviluppati. Il risultato di quest’analisi porta Ricolfi a confermare sostanzialmente quanto aveva ipotizzato Robert Solow: ovvero che la crescita economica non è illimitata (cioè ha un limite che non può essere superato) e che contiene in sè gli elementi che contribuiscono alla sua riduzione. Non c’è quindi molto spazio per i teorici della crescita infinita presupposto dal modello di Paul Romer (rendimenti crescenti). Le ragioni sono presto dette: proprio perchè miglioriamo il nostro reddito pro-capite (e quindi diventiamo più ricchi) possiamo “permetterci il lusso” di rifiutare alcuni lavori (che lasciamo agli immigrati) per aspettare il lavoro che è più in linea con le nostre aspettative, lavoriamo complessivamente di meno nel senso che il tempo del lavoro si è accorciato iniziando a lavorare più tardi e andando in pensione relativamente presto se consideriamo la aspettative di vita medi, abbiamo più costi dovuti al welfare state e quindi più tasse da pagare, ecc. tutti elementi che ovviamente incidono sul tasso di sviluppo.

La parte più interessante però del libro non è tanto questa, quanto quella sulle conseguenze di questa “verità”. Ricolfi avverte i sostenitori della decrescita felice alla Serge Latouche o i nostalgici del marxismo di non cedere a facili entusiasmi. Sebbene il sentiero della decrescita sia comune a tutti i paesi sviluppati, c’è modo e modo di decrescere, o detta il altri termini la decrescita può essere molto infelice. Alcuni paesi hanno parabole più ripide di altri e questo produce differenze importanti. Non tutti i paesi ricchi sono uguali: un conto è attestare la crescita di un paese su un reddito pro-capite di 60.000 dollari, tutto un altro su 100.000 dollari. In sostanza si possono creare dei gap importanti che risultano poi difficili da colmare in termini di standard di vita, qualità dei servizi, stato sociale ecc., come inizia ad essere evidente se confrontiamo ad esempio l’Italia con la Svezia. 

Ricolfi sostiene che, sebbene la traiettoria generale sia di rallentamento, è possibile mettere in campo delle importanti azioni di contrasto per addolcire la parabola di caduta. Sono i tre i fattori che possono agire come parziali contrappesi alla crescita del benessere (reddito pro-capite) e alla conseguente decrescita: capitale umano, qualità delle istituzioni economiche e livello della tassazione. La decrescita può essere attutita in modo significativo se questi fattori sono positivi ovvero se c’è un buon capitale umano (istruzione della popolazione), se le istituzione economiche funzionano in modo efficiente e se c’è un basso livello di tassazione sulle imprese e sul lavoro. E’ lo stato di salute di questi fattori che crea le importanti differenze che si osservano tra i paesi più sviluppati. 

Per l’Italia, e in generale per i paesi del Sud-Europa, che mostrano serie difficoltà nei tre fattori fondamentali (burocratizzazione, elevato costo del lavoro, elevata tassazione), si aggiunge l’aggravante europea che, con il mix tra austerità e impossibilità di far fluttuare liberamente la moneta nazionale, ha reso ancora più pensate la decrescita (senza però esserne la causa scatenante) negli anni della crisi. 

Il libro di Ricolfi ha il merito mettere la crisi attuale in una prospettiva più ampia, rendendo più espliciti gli elementi che stanno causando il grande rallentamento delle economie occidentali. Tuttavia, una volta riconosciute le cause, il libro è po’ più avaro nelle indicazioni su come rendere più dolce questa decrescita, soprattutto per il caso italiano. Certo bisogna intervenire sui fattori fondamentali (istruzione, qualità delle istituzioni, tasse), come gli stessi investitori istituzionali e i mercati finanziari non fanno che ricordarci. Ma è anche vero, come molto onestamente ammette lo stesso Ricolfi, che i risultati per il nostro paese si possono raggiungere solo nel medio-lungo periodo. Per ottenerli nel breve, come nel caso di un abbassamento sostanziale delle tasse sull’impresa, dovremmo avere dei margini di manovra molto più ampi di quelli oggi sostenibili dalla nostra finanza pubblica. Se questo è vero, la ricetta per tornare a crescere ( o per decrescere meno) resta ancora tutta da scoprire. Buone idee cercasi.

 

Marco Bettiol 

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