SOCIETÀ
Macchinari fermi, culle vuote
Anche le donne straniere stanno smettendo di fare figli. Allineandosi alla tendenza italiana alla denatalità, anzi, smettendo di contrastarla. Il bollettino diffuso dall’Istat certifica che siamo in piena baby-recession; vede una diretta connessione tra il tracollo dei matrimoni e quello delle nascite; e, a cinque anni dall’inizio della Grande recessione, si sbilancia nell’interpretazione di questa nuova fase di denatalità: l’economia c’entra, eccome.
Il maggior calo dal 2008. È proprio l’Istat a parlare di “nuova fase di denatalità”: quella che è cominciata dal 2008, quando gli indicatori demografici hanno cominciato a invertirsi. Prima infatti si era avuta una ripresa delle nascite, a partire dall’anno di minimo storico, che fu il 1995. Restavamo tra i paesi a più bassa fecondità in Europa, ma era in atto una ripresa, dovuta all’arrivo delle donne straniere e al “recupero” di tante donne italiane che avevano rinviato il primo o il secondo figlio. Tutte e due queste tendenze riguardavano il Centro e il Nord: sia per la maggior presenza di immigrati stabili, sia perché le donne italiane – smentendo un luogo comune antico – davano mostra di voler e poter far figli soprattutto laddove con più facilità lavoravano e guadagnavano. Tutto ciò si è interrotto dal 2008, e da allora si sono “persi” bambini a ritmo di 10-15.000 l’anno. Dal 2012 al 2013, il calo più forte: meno 19.878 nati.
Insomma la curva delle nascite sembra proprio simile a quella del Pil, e lo svuotarsi delle culle parallelo a quello delle fabbriche e desk lavorativi. Ma attenzione, dice l’Istat: non è che le cose siano così automatiche. Se nascono meno bambini è anche perché ci sono meno donne in età fertile in circolazione – per effetto dei precedenti cali delle nascite, che datano appunto dagli anni Settanta, dalla fine della generazione del baby boom; e per effetto del fatto che le straniere che hanno finora compensato questo vuoto “stanno a loro volta invecchiando”: non sostituite da nuovi forti afflussi di giovani che vengono qui per restare, e dunque con famiglie in formazione. Fin qui, i dati strutturali che spiegano una parte del calo delle nascite. Ma anche se si vanno a vedere i dati percentuali – il più importante e sintetico è il tasso di fecondità -, si nota un calo, ed è sensibile. Il tasso di fecondità, che era risalito dal minimo storico del ’95 (quando era a 1,19 figli per donna) fino a 1,45 nel 2008, adesso è ripiombato all’ingiù, a 1,39. Il numero viene da una media: per le italiane è 1,29 figli per donna, per le straniere 2,1.
Dunque, ci sono meno donne che fanno meno figli. E questo vale sia per le italiane che per le straniere. Parallelamente, continua a crescere l’età media in cui si fa un figlio: 31 anni e mezzo, valore che sale a 32,1 anni per le madri di cittadinanza italiana. C’è stato un sorpasso storico, tra le madri mature e quelle giovanissime: adesso l’8,7% dei bambini nasce da madri sopra i 40, contro un 8,4% che nasce da donne sotto i 25 anni. In regioni come Lazio, Toscana, Emilia Romagna, Liguria e Sardegna più di un bambino su 10 nasce da madri ultraquarantenni.
Tutto ciò viene da lontano: la tendenza all’aumento dell’età media al parto non si è mai fermata, nota l’Istat, e vale sia per le italiane che per le straniere, al Nord come al Sud. Ma a questa va a sommarsi il colpo della crisi economica, dell’incertezza sul futuro, della mancanza di lavoro. A cinque anni dall’inizio della nuova crisi delle nascite e a sei anni dal debutto della Grande recessione, i ricercatori dell’Istat si sbilanciano, e tracciano una connessione tra la nuova fase di diminuzione della fecondità e “il dispiegarsi degli effetti sociali della congiuntura economica sfavorevole, che hanno agito in primo luogo sui processi di formazione delle unioni, come testimonia la forte riduzione della nuzialità”.
Infatti i matrimoni sono scesi di 53.000 unità tra il 2008 e il 2013, con un tasso di caduta paragonabile a quello delle nascite. Anche qui, come per il calo della fecondità e per l’aumento dell’età delle madri, c’è l’effetto di un mutamento sociale duraturo e (per fortuna) non solo dettato dalle ristrettezze materiali. Tant’è che i figli nati fuori dal matrimonio, in percentuale, pesano sempre di più, e sono adesso un quarto del totale. Ma il grosso delle ragazze e dei ragazzi che rinuncia al matrimonio e ai figli non pare farlo per scelta: tant’è che cresce, parallelamente, il numero di giovani tra i 18 e i 30 anni che rimane a vivere nella famiglia d’origine. Nel 2013, il 78,3% dei maschi e il 66,7% delle femmine. Commenta Sabrina Prati, ricercatrice dell’Istat che si occupa proprio delle statistiche demografiche: rispetto al 2008, “diminuiscono tanto le libere unioni che i matrimoni, mentre aumentano di 48mila unità le donne che restano nella famiglia di origine con il ruolo di figlie, e di 19 mila unità quelle che vivono sole o con un convivente diverso dal partner (amico, parente, ecc..), verosimilmente studenti o lavoratori fuori sede”. Coi genitori, sole o in condivisione dell’affitto: non proprio la condizione ideale per far figli. Sabrina Prati sottolinea che tutti gli indicatori individuano una fascia di rischio, l’età dai 18 ai 30 anni: la stessa nella quale sale la disoccupazione, scende il reddito, ed è più forte la riduzione della fecondità. Nel migliore dei casi, un rinvio in attesa di tempi nuovi.
Tra le tante cose che cambiano, non ci sono i nomi dei bebè. Dei quali l’Istat dà un conto annuale, che da qualche anno vede ben piazzati ai primi posti Sofia e Francesco. Quest’ultimo ha avuto ovviamente un balzo in avanti con l’arrivo di papa Bergoglio, che ha portato all’anagrafe 10.553 nuovi franceschi nel 2013. E’ nuovo però lo strumento che l’Istat mette a disposizione per calcolare quanti bambini nati nel corso di ogni anno si chiamano nello stesso modo, e quali sono i più diffusi tra gli oltre 60 mila in circolazione. Ha debuttato ieri sul sito dell’Istat il calcolatore dei nomi per anno di nascita: così magari qualcuno, prima di passare all’anagrafe, può farsi un giretto in rete e scegliere dopo aver visto quali sono i nomi più diffusi e i meno diffusi, per età. Si parte dal ’99, anno in cui primeggiavano le Martina e gli Andrea.
Roberta Carlini
Articolo originale tratto da Pagina99