SOCIETÀ

Non uno di meno: ricette per l’eguaglianza che nascono a scuola

Come sta la scuola italiana, e quante responsabilità ha nella crisi che attanaglia il paese? Due interviste, recentemente uscite su un mensile d’inchiesta, provano a dare una risposta  guardando al sistema scolastico più di successo fra quelli analizzati dai rapporti OCSE-PISA, che ogni 5 anni fotografano e confrontano fra loro i sistemi educativi dei diversi paesi valutandone i risultati: quello finlandese. Pasi Sahlberg, insegnante e formatore, autore di Finnish Lessons: What can world learn about educational change in Finland?, e Elia Bolkart, consulente scolastico “sul campo” nella regione del Savo settentrionale ne parlano da due punti di vista differenti, e con alcune sorprese per il lettore abituato al sistema scolastico italiano. 

In primo luogo, quella finlandese è una scuola cui la politica e la società affidano un compito essenziale per lo sviluppo del paese, rispettata e considerata. Una scuola tutta e solo pubblica, in cui i pochissimi istituti privati non si occupano di formazione generale. Il mestiere di insegnante è stabilmente fra i 10 più ambiti nel paese, la formazione è di livello universitario specialistico e unisce studio delle materie di insegnamento, pedagogia, tirocini pratici e confronto con insegnanti e studenti nelle scuole sperimentali annesse alle facoltà. Le selezioni sono severe, non più del 10% dei candidati le supera. Grazie a questa preparazione eccellente i docenti possono lavorare con una forte responsabilizzazione e grande autonomia nelle scelte didattiche. Il loro prestigio viene non tanto dallo stipendio, nella media OCSE, quanto dal ruolo loro affidato e dai risultati che ottengono. L’insegnante in Finlandia è, a tutti gli effetti, un professionista che si assume la responsabilità del proprio lavoro, come un medico o un avvocato. 

La cura rivolta alla formazione degli insegnanti ha permesso scelte radicali nell’impostazione didattica: asse portante del sistema formativo sono una scuola dell’obbligo su due cicli che va dai 7 ai 16 anni, programmi che lasciano ampissima autonomia ai singoli docenti e un sistema di valutazione che dà molta più importanza alla responsabilità e alla fiducia nel rapporto con lo studente che non alle verifiche e agli esami. In questo modo è possibile mettere al centro dell’attività didattica i ragazzi, non le regole e gli obiettivi,  sviluppando programmi personalizzati per ognuno. Gli studenti non vengono valutati rispetto a livelli predefiniti, ma a partire dalle loro stesse abilità e dal potenziale che ciascuno di loro possiede secondo il parere dell’insegnante. Hanno una valutazione positiva, quando - anche se con difficoltà e a un livello comparativamente basso - c’è un miglioramento rispetto alla situazione di partenza; sono giudicati negativamente quando non fanno tutto ciò che era nelle loro possibilità. 

La capacità di testare e confrontare i risultati attraverso indici e strumenti molto accurati serve agli insegnanti per valutare il proprio lavoro, non per mettere gli studenti in competizione fra loro rispetto alle conoscenze acquisite. La responsabilizzazione e la fiducia reciproca su cui questa scuola si basa sono usati per favorire lo sviluppo dell’iniziativa personale, dell’autonomia e della collaborazione, mentre la competizione orizzontale è generalmente disincentivata come controproducente. I medesimi principi valgono nel rapporto fra gli istituti e il ministero: l’autonomia delle singole scuole è ampissima e l’amministrazione centrale non svolge in alcun modo una funzione di verifica e controllo, quanto di coordinamento ed indirizzo generale. Questo modello orizzontale e non verticale, che è il tratto generale di maggior differenza rispetto alla gran parte degli altri sistemi educativi, permette di spendere la maggioranza dei fondi direttamente per gli insegnanti, gli studenti, le scuole, senza impegnarne in una struttura burocratica soprastante.

Gli insegnanti sono formati per riconoscere i bambini in difficoltà ed intervenire prima che si scoraggino o arretrino troppo rispetto ai loro compagni, valendosi se necessario dell’aiuto di personale specializzato, presente in tutte le scuole per quanto piccole. Grande attenzione, e finanziamenti, sono dedicati agli istituti più piccoli e con multiclassi, nelle zone rurali più distanti dalle città, perché la formazione possa essere di alto livello anche in situazioni difficili, e la provenienza regionale non costituisca in alcun modo un handicap. In generale, quella finlandese è una scuola che cerca di differenziare l’insegnamento sufficientemente bene da coinvolgere ogni singolo studente; lavora per compensare le differenze e le difficoltà di partenza, per non lasciare indietro nessuno, e valuta i propri risultati su questo obiettivo. I tassi di dispersione scolastica sono vicini allo zero.

La scuola è concepita come un’esperienza complessiva di apprendimento e di crescita individuale, coinvolgente e stimolante nelle aule e fuori dalle aule, per evitare il nemico principale dell’apprendimento, la noia. Accanto all’insegnamento frontale e ai lavori in gruppi più piccoli, hanno grandissima importanza l’esperienza, la sperimentazione e la manualità, la musica studiata e suonata, il canto: si impara con le mani e facendo, in scuole che hanno a disposizione laboratori professionali di falegnameria per il primo ciclo e di lavorazione dei metalli per il secondo, lavagne multimediali e computer  nelle aule e negli spazi scolastici, questi ultimi attrezzati in modo accogliente e dotati di strumenti che i ragazzi utilizzano liberamente nei 15 minuti di pausa che intervallano ogni ora di attività. Si insegna a cucinare, gestire la casa, organizzarsi autonomamente per la vita quotidiana a ragazzi e ragazze senza distinzione, con un gran numero di corsi e attività a scelta. Il principio seguito è quello di fornire un curriculum ampio e differenziato,con competenze tanto teoriche che pratiche a ognuno, anche a quelli che poi sceglieranno il percorso professionale. Dai libri di testo alla mensa alle cure mediche e odontoiatriche, tutto è gratuito: la formazione è considerata un diritto e una risorsa per la società.

Visto dall’Italia, si tratta di un modello sorprendente, per i suoi risultati di eccellenza e per il modo in cui vengono conseguiti. Si tratta, certamente, della scuola di un paese vasto e poco popolato, stretto storicamente fra vicini grandi e grandissimi (Svezia e Russia) e persuaso di avere bisogno di ogni singolo studente, di non poterne lasciare indietro nessuno. È, poi, una scuola nata in un momento preciso, dopo la gravissima crisi finanziaria di inizio anni ’90 che polverizzò il 20% della ricchezza e dei posti di lavoro del paese, con il preciso scopo di sviluppare più ampiamente possibile le competenze e la capacità richieste da una società della conoscenza: iniziativa, autonomia, cooperazione, libertà di pensiero e disposizione all’innovazione. Ma è anche una scuola, se guardiamo dalle nostre esperienze, molto vicina al funzionamento del primo ciclo italiano prima della riforma operata della legge 169/2008 - moduli, compresenza, obiettivi individuali, assenza di respingimenti – un modello che da noi è stato investito di critiche nonostante i buoni risultati certificati proprio dai rapporti OCSE-PISA. Una scuola molto più in sintonia - con quell’idea di responsabilità, crescita individuale e compensazione delle differenze, l’attenzione a non perdere nessuno studente - con le idee di Don Milani che non con l’attuale dibattito sull’educazione in Italia. 

Michele Ravagnolo

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