SCIENZA E RICERCA

Se la scienza è divertente c'è qualcosa che non va?

Che cos'è la divulgazione scientifica? È la capacità di spiegare concetti di straordinaria complessità a un pubblico privo delle nozioni principali che ne stanno alla base. E di farlo con un'approssimazione che permanga stabilmente sul crinale che rende il contenuto accettabile (per lo scienziato) e intellegibile, e persino piacevole (per il pubblico).

Il Premio letterario Galileo nasce con questa speranza: in un'Italia che legge poco, e che non abitua alla lettura nemmeno a scuola, l'idea è di appassionare i ragazzi delle superiori coinvolgendoli direttamente, rendendoli lettori e giudici di volumi che, di solito, pochi tra loro oserebbero affrontare. L'edizione 2013 del Premio (attribuito da studenti di tutta Italia, che scelgono all'interno di una cinquina selezionata da una giuria di esperti) si è conclusa con la vittoria di autori giovani: ha vinto Sergio Pistoi, giornalista scientifico con formazione da biologo, con Il Dna incontra Facebook (Marsilio); secondo lo scrittore Sam Kean, con Il cucchiaino scomparso e altre storie della tavola periodica degli elementi (Adelphi). Già questi titoli illustrano due approcci editoriali, e quindi divulgativi, diversi: neutro il primo, finalizzato all'interesse che può suscitare la semplice evocazione dei due soggetti protagonisti del libro; narrativo il secondo, che nella sua struttura (solo "Il cucchiaino scomparso" è il titolo in caratteri grandi, il resto è sottotitolo esplicativo) suggerisce il piacere di perdersi nella suspense del racconto. Strategie diverse: e di tante strategie, in effetti, si compone il vademecum del perfetto divulgatore. In questo senso, anche un evento come la cerimonia di chiusura di un premio letterario è una perfetta metafora delle capacità, o delle pecche, nel rendere popolari argomenti "difficili".

Prima di parlarne, però, è il caso di dar conto di cosa pensano coloro per i quali il Premio Galileo è stato inventato: gli allievi delle 82 classi (quarto anno delle superiori) che hanno determinato, col loro voto, la classifica finale. In generale, i ragazzi sono d'accordo. Ogni iniziativa per aumentare l'interesse verso la scienza è benvenuta, ma il vero problema è la mancanza di una consuetudine, in classe, alla lettura di testi di questo genere. Perché i libri che i ragazzi avvicinano nel corso dei cinque anni di studi appartengono a un solo genere: la narrativa. È chiaro, dunque, che la fatica per rendere più attraente (e meno minaccioso) un testo che tratti di chimica, fisica, biologia è raddoppiata, perché alla poca abitudine alla lettura tout court si aggiunge la diffidenza verso un mondo sconosciuto. I ragazzi studiano sì la tavola degli elementi, le leggi della fisica, la struttura del Dna, ma ben raramente si vedono proporre un testo su questi temi diverso da un manuale. Interpellati, gli studenti sollevano anche altri problemi non da poco (l'eccessivo costo dei volumi, lo stile non sempre così fluido, la particolare concentrazione che richiedono), ma l'impressione è che si tratti, più che di concause, di pretesti, rispetto alla scarsa dimestichezza scolastica con la divulgazione scientifica.

Tornando alla cerimonia, se interpretata come simbolica, spiega tante cose. C'è l'autore che, intervistato, non riesce a non sussurrare e a esimersi da lunghe divagazioni; c'è quello che parla con un tono limpido, alto, rivolto al pubblico, con frasi sintetiche ed esempi efficaci, che vanno a segno in un secondo. C'è l'oratore che crede che l'umorismo sia inadatto a un consesso accademico, e quello che riesce a inserire una battuta proprio mentre percepisce che l'attenzione sta iniziando a calare. Così, similmente, c'è chi ritiene che utilizzare uno stile discorsivo per parlare dei propri studi ne sminuisca la dignità; e c'è chi pensa che usare un incipit da thriller per trattare di scienza sia un modo efficace per incuriosire, e forse appassionare, tante persone che dalla scienza sono lontane. Sia come sia, nel nostro Paese il cammino della divulgazione ha davanti a sé due rapide ancora da guadare: una scuola in cui la cultura scientifica è ancora di nicchia; e l'idea che la cultura, quella vera, non sia una storia che si possa raccontare.

Martino Periti

Dopo la cerimonia: Sam Kean e Frank Close firmano autografi agli studenti. Foto: Massimo Pistore

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