SCIENZA E RICERCA

Dal Sudafrica al Brasile, voci e sfide della comunicazione della scienza

Il centro congressi ultramoderno spicca in mezzo alla brughiera scozzese come un’astronave appena atterrata fra i cespugli di erica e le ginestre in fiore. L’enorme edificio si trova fra la città di Aberdeen e il suo aeroporto e per tre giorni, a fine maggio 2025, ha ospitato la conferenza biennale organizzata dalla rete Public Communication of Science and Technology (PCST).

Il PCST è un grande network internazionale di persone che si occupano a vario titolo di comunicazione della scienza e della tecnologia, il suo obiettivo principale è lo studio e la promozione di buone pratiche grazie al contributo dei membri provenienti da tutto il mondo. E l’occasione migliore per capire di cosa si tratta è partecipare alla conferenza che la rete organizza ogni due anni, per favorire la riflessione e il dialogo tra le tante professionalità coinvolte nel rapporto fra scienza, tecnologia e società.

Dal 1989, quando il PCST ha tenuto la sua prima conferenza in Francia, la rete è andata via via crescendo e oggi riunisce ricercatori, professioniste, educatrici e comunicatori che lavorano in tutto il mondo. L’ultima edizione in Scozia segue quella di Rotterdam del 2023 e apre la strada al prossimo appuntamento che si terrà a Shanghai (Cina) fra due anni, a conferma che questo evento è diventato ormai un punto di riferimento globale.

 

Highlight dell’edizione 2025: i divari in Sudafrica

Il tema di questa edizione, che ha riunito circa 700 partecipanti da ogni continente, era Exploring transitions, traditions and tensions: si concentrava cioè su transizioni (cambiamenti o stabilità), tradizioni (passato, presente e futuro) e tensioni (conflitto o consenso) che influenzano chi fa comunicazione della scienza. In un mondo che chiede risposte rapide a sfide complesse come la crisi climatica, la salute pubblica e la giustizia sociale, la comunicazione tecnico-scientifica può essere un ponte, ma anche terreno di confronto e, a volte, di scontro.

Il ricchissimo programma offriva spazi per confrontarsi su tanti temi cruciali, dall’Intelligenza Artificiale al coinvolgimento del pubblico, dalle fake news alla decolonizzazione della scienza; con un occhio di riguardo all’equità, diversità e inclusione nella comunicazione. Seguire tutto era un’impresa praticamente impossibile, con più sessioni che si svolgevano in contemporanea, decine di performance e poster (e persino un quilt "divulgativo"), ma dovendo scegliere questi sono gli interventi che ci sono parsi più interessanti e originali.

Il primo nome da citare è quello di Mamoeletsi Mosia, direttrice dell’Agenzia Sudafricana per l’Avanzamento della Scienza e della Tecnologia (NRF-SAASTA), che ha affrontato il tema della formazione e dello sviluppo dei professionisti STEM, sottolineando l’importanza dell’inclusione e della diversità nella comunicazione scientifica a livello globale. Secondo Mosia non basta investire di più nella scienza: il vero nodo è il rapporto che la società instaura con essa, e in Sudafrica questo rapporto è segnato da un divario profondo, fatto di accesso diseguale, livelli di fiducia altalenanti e visioni diverse su cosa significhi davvero la scienza nella vita quotidiana. Dietro a queste differenze, c’è una storia complessa di disuguaglianze, una ricchezza di lingue (il Sudafrica ne ha 11 ufficiali) e culture, e la convivenza – a volte conflittuale, a volte sinergica – tra conoscenze indigene e istituzioni scientifiche.

Mosia cita un’indagine del 2022 sul rapporto tra pubblico e scienza in Sudafrica che racconta di una popolazione curiosa, ma spesso esclusa dai processi decisionali e dai benefici concreti della ricerca. La scienza è percepita come un bene pubblico, ma anche come un mondo distante, elitario, poco accessibile. Per superare questo scollamento – secondo la direttrice del NRF – serve un cambio di paradigma: non più una comunicazione unidirezionale, ma un dialogo autentico che porti a una scienza più inclusiva. Ascoltare davvero, valorizzare le diverse forme di sapere e innovare le modalità di comunicazione può trasformare la scienza in un ponte, capace di colmare il divario e costruire fiducia, non solo informare.

Riflessioni sulla citizen science dal Brasile

Un altro intervento illuminante e appassionato è stato quello di Sarita Albagli, ricercatrice dell’Istituto Brasiliano di Informazione in Scienza e Tecnologia (Ibict), che ha discusso il ruolo dell’innovazione sociale e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alle agende socio-ambientali e climatiche nelle economie emergenti. L’esperta in citizen science (cioè la scienza fatta con e da cittadini e cittadine) ha raccontato come questa pratica si sia diffusa molto negli ultimi 30 anni, pur restando un concetto sfaccettato e aperto a varie interpretazioni. Da un lato, è un potente strumento di democratizzazione della conoscenza, capace di coinvolgere intere comunità nella produzione scientifica; dall’altro, può celare ambiguità perché spesso si intreccia con dinamiche di potere che rischiano di trasformarla in un nuovo tipo di estrazione di dati e saperi, senza un reale scambio paritario.

Secondo Albagli la citizen science oggi si allarga oltre il semplice contributo sociale alla ricerca: diventa terreno di lotta per la giustizia ambientale, cognitiva e dei dati, soprattutto nei Paesi del Sud globale, dove le esperienze di scienza partecipativa mostrano sfide e opportunità uniche. Ma alcune domande cruciali restano aperte: per chi e a quali condizioni si fa citizen science? Quali sono i ruoli, i protocolli e le responsabilità? E chi li decide?

La riflessione della ricercatrice brasiliana invita a ripensare la citizen science non solo come pratica di ricerca scientifica, ma come un campo in cui sono in gioco diritti e potere, dove è necessario mettere al centro le voci e le esperienze delle persone che spesso sono invece marginalizzate. Solo così – conclude Albagli – si potrà evitare che la partecipazione alla ricerca diventi una forma di neo-estrattivismo e costruire insieme una scienza davvero inclusiva e giusta.

 

Quando la comunicazione scientifica è sotto attacco

Un ultimo panel interessante da citare è stato quello su come gestire la comunicazione della scienza e della tecnologia di fronte alle molestie, soprattutto sui social media. La tavola rotonda ha coinvolto alcune persone che hanno portato vari esempi di attacchi nei confronti di chi fa ricerca o divulga la scienza (a volte subiti anche in prima persona), per capire quali fossero le possibili strategie di sostegno.

In particolare ha strappato un sentito applauso alla platea la storia raccontata dalla giornalista e ricercatrice canadese Alice Fleerackers, che nel febbraio 2020 pubblica un articolo sulla sua scelta di vaccinarsi da adulta essendo cresciuta in una famiglia che invece era d’altra opinione. Pochi giorni dopo il mondo intero entra nell’incubo del Covid-19 e l’articolo finisce per essere fagocitato nell’acceso dibattito sui vaccini, che spesso ha toni violenti e arrivano persino minacce di morte ai suoi genitori.

Partendo da vicende come questa, i relatori registrano come negli ultimi anni siano aumentati attacchi, molestie e minacce contro la scienza. E come i discorsi attorno ad alcuni temi come virus, clima e genere siano sempre più violenti sia sui social media che negli spazi pubblici. Le vittime di questi attacchi non sono solo ricercatori e ricercatrici, ma anche chi lavora nella comunicazione della scienza – sia come bersagli diretti, sia perché difendono chi è vittima di molestie. Ma in un momento in cui cresce la richiesta di dialogo tra chi fa ricerca e il resto della società, bisogna cercare di rendere la scienza accessibile tutelando anche il benessere di chi la comunica. Soprattutto se sono donne, persone razzializzate o transgender, ovvero i gruppi già sottorappresentati nelle STEM e che però vengono più spesso attaccati.

Gli spunti riportati sono solo alcuni dei tanti raccolti alla conferenza del PCST, che si conferma non solo come vetrina per le migliori pratiche, ma anche come spazio globale di riflessione e confronto su un mestiere (quello di chi comunica la scienza) che cambia insieme alla società. Se la comunicazione tecnico-scientifica vuole davvero generare cambiamenti positivi, deve saper ascoltare, innovarsi e, soprattutto, coinvolgere per poter diventare un vero strumento di democrazia, pluralismo e futuro condiviso.

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