SOCIETÀ

Vuole lavorare con noi? Prima si laurei

Origine: metalmezzadro. Professione attuale: imprenditore della conoscenza. Così si presenta Enrico Loccioni, 64 anni, imprenditore marchigiano che fa eccezione, nel senso letterale del termine. In primo luogo, perché assume laureati, e tanti: oggi il 45% del personale. Per fare un confronto, per quest'anno il complesso delle imprese italiane prevedeva di assumere circa 13 laureati ogni 100 nuovi ingressi, secondo i dati Excelsior-Unioncamere (dati di previsione: chissà poi se l'hanno fatto, con la crisi che morde). In secondo luogo, perché l'altra metà del personale è costituita da diplomati. Anche questo è un dato da notare, visto che ancora nell'anno 2012, mentre oltre il 90% dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni frequenta le scuole superiori, le imprese italiane barrano la casella “scuola dell'obbligo” per il 33% delle previste assunzioni: vale a dire che non chiedono una formazione professionale specifica di alcun tipo per una nuova assunzione su tre. Infine, perché invece di buttare schifezze nell'aria e nell'acqua si mette a raddrizzare un fiume. Il che, per un'impresa che fa sistemi automatici di misura e controllo, sfornando marchingegni cuciti su misura come vestiti, non è né obbligatorio né usuale.

Cominciamo dall'abc. Qual è il vostro rapporto con scuole e università?

Gli studenti portano dentro la conoscenza: noi gli diamo formazione e chiediamo in cambio energia. È così adesso, con un'impresa che si può definire “della conoscenza”; ma era così anche agli inizi, sia pure su scala diversa. Io ho cominciato a lavorare come artigiano nel campo elettrico, nel 1968. Siamo partiti nel campo dell'impiantistica industriale, ci siamo posti come intermediari tra la scuola – soprattutto le scuole professionali, allora – e il mondo dell'impresa: i ragazzi arrivavano, imparavano, portavano idee, molti andavano via per mettersi in proprio. In 44 anni di attività 82 giovani sono usciti di qua per mettersi in proprio, diventando imprenditori. Intanto la nostra attività cambiava volto, abbiamo capito che c'era un mercato nel settore del controllo della qualità: le imprese chiedevano sistemi di misura e controllo, sempre personalizzati. Si trattava di fare soluzione su misura, lavorare nell'incertezza delle stagioni. Era necessario cambiare il nostro modo di lavorare, uscire da una organizzazione verticale, distaccare gruppetti. Così in 2-3 anni è nato un nuovo ramo aziendale, che ha raggiunto presto la leadership internazionale nel collaudo degli elettrodomestici e dei componenti per auto. Infine, negli anni Novanta si è completato il passaggio da impresa artigianale a impresa della conoscenza, partendo prima dagli operai specializzati, per poi passare ai diplomati ed infine ai laureati. Che adesso sono quasi la metà del totale, in un gruppo che impiega 350 persone.

Come li scegliete?

Facendo entrare gli studenti, con una serie di reti e progetti – a partire dalla “Bluezone”, aperta a università e imprese del territorio per la formazione e ospitalità degli studenti. Siamo partner di 25 scuole, 40 università e 10 master. Lo scorso anno abbiamo avuto 1.270 studenti in orientamento, 52 ospitati in sede, 12 tesi di laurea, 7.120 ore di formazione. Loro si avvicinano a noi, noi ci avviciniamo a loro. Nessuno, in tutti questi anni di attività sul territorio, è mai stato segnalato o preso in una logica di scambio. Molti sono andati via: e questo è l'indice principale del successo, l'aver formato persone che poi riescono a metter su un'attività propria, oppure a portare le competenze in un'altra attività.

L'età media dei vostri è di 33 anni. Non sarà un eccesso di giovanilismo, un turn over eccessivo?

L'arrivo degli studenti, per i motivi che dicevo, è vitale. Ma è vitale anche la trasmissione del sapere, e l'apertura delle esperienze. Per questo abbiamo un progetto chiamato “Silverzone”, nel quale quelli che sono usciti – imprenditori che hanno creato spin off, o pensionati – si incontrano con le persone che lavorano nel gruppo, per scambiarsi competenze e continuare a lavorare insieme. Uno dei nostri brevetti più importanti è firmato da un ottantaduenne Silverzone e da un ventottenne nostro collaboratore da pochi anni.

Quante donne lavorano da voi?

Sono 39, 25 delle quali laureate. Per la maggior parte lavorano nell'amministrazione, nell'area della comunicazione e del marketing. Il settore ricerca e innovazione è diretto da una donna. C'è ancora scarsa presenza nell'area ingegneristica e della progettazione. Questo è un punto debole, ne siamo consapevoli. Proviamo a lavorare con le scuole, per orientare più ragazze verso le materie tecniche: ma ancora non c'è, a livello culturale e ambientale, un volano sufficiente per un vero salto di qualità.

Lei ha detto che “il management deve tirare fuori dalle persone il gratis”, intendendo: la creatività, l'invenzione. Molto spesso però i ragazzi che escono dall'università (e non solo loro) si trovano davvero a lavorare gratis. Qual è il modello di lavoro che avete in mente?

Credo che il lavoro debba essere rimesso al centro dell’attenzione, ma non solo come un diritto da reclamare, ma soprattutto come un dovere verso noi stessi, perché il lavoro che ti piace è un lavoro che ti fa crescere, ti appassiona. È questa la vera impresa, questa scelta non la può e non la deve condizionare nessuno. Stiamo assistendo ad un cambiamento straordinario nel lavoro, che osservo nel nostro territorio; dal lavoro agricolo siamo passati a quello industriale, prendendo dai contadini la manodopera, e abbiamo sviluppato la replica, la ripetizione di prodotti. Poi è arrivata l’istruzione, la scuola è entrata potentemente nella famiglia, che investe per far arrivare i figli alla laurea e i ragazzi stessi iniziano ad investire tempo fino a 25-27 anni. A volte però si finisce a fare un lavoro che resta ancora ripetitivo, dove il cervello si concentra su un tema e raramente vive l’esperienza estetica, in cui si vede il progetto nel suo insieme e nella sua bellezza, nella sua potenza creativa. 

Bellezza e rapporto con il territorio. Voi avete “adottato” un fiume.

Ci stiamo occupando di un tratto del fiume Esino, che scorre vicino ai siti dove ha sede l'impresa, per ripristinare il corso originario, mettere in sicurezza gli argini e poi contribuire alla riscoperta culturale di quel fiume per la comunità. E una delle più belle immagini che ho, degli ultimi giorni, è quella di un gruppo di anziani che si sono portati le sedie sugli argini per riposare un po' e controllare come procedono i lavori.

 

Roberta Carlini

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