CULTURA

Esplorare l'impossibile: cose da matematici

“Non bisogna più abbandonare l’impossibile per l’improbabile, ma dimostrare proprio quello che non pare possibile a coloro che si sentono padroni del pensiero”. Partiamo da un primo ‘indizio’ che rovescia il motto di Sherlock Holmes e, a questo, aggiungiamone un altro: mai giudicare un libro dalla copertina. Una indicazione sul contenuto e una sulla forma. Se Dimostrare l'impossibile. La scienza inventa il mondo (Raffaello Cortina editore) si presenta come un severo manuale tecnico, basta sfogliare qualche pagina per capire che non lo è affatto. Al contrario, grazie a questo volume di Claudio Bartocci – che raccoglie i suoi articoli-racconti pubblicati, negli anni, in vari quotidiani italiani (Alias de Il Manifesto, La Stampa, TuttoLibri e il supplemento domenicale del Sole 24 Ore) – il lettore intraprende un viaggio alla scoperta della scienza moderna, tra geni più o meno noti, storie e scoperte straordinarie. L’autore è matematico e filosofo, docente di Fisica matematica all’università di Genova, protagonista del primo incontro padovano con i finalisti del Premio letterario Galileo, edizione 2015. Bartocci presenterà il suo libro mercoledì 4 marzo, alle 18, al centro culturale San Gaetano (e la mattina incontrerà gli studenti degli istituti scolastici superiori). La sua è un’opera agile, comprensibile, utilissima anche e soprattutto ai non addetti ai lavori, a chi scienziato non è. Questa raccolta di brevi racconti, in cui le conoscenze scientifiche incontrano la narrativa, centra l’obiettivo di un riconoscimento dedicato alla divulgazione scientifica. “La sollecitazione kantiana a ‘fare pubblico uso della propria ragione’ – scrive Bartocci nella premessa del volume - si armonizza perfettamente con l’esigenza attuale di porre su nuove basi l’etica della ricerca scientifica con l’obiettivo di eliminare, nella misura del ragionevole, le barriere e le restrizioni che limitano la diffusione e la fruibilità della conoscenza”.

Professor Bartocci, lei scrive: “Lo scienziato deve rivolgersi a tutti”. Il suo libro parte da qui, da questo obiettivo, e guarda a una futura citizen science non elitaria, in cui a contare saranno la condivisione e la comunicazione delle idee. 

Che lo scienziato debba rivolgersi a tutti non v’è dubbio e la scienza deve diventare un punto fondamentale del nostro patrimonio culturale. La divisione netta tra le discipline è cosa da faziosi, la verità è che la trama della conoscenze umane è molto più intrecciata di quanto si possa pensare. Il sapere è un mosaico di conoscenze per questo è importante articolare i saperi a più livelli, mantenendo le proprie competenze specifiche, ovviamente, quando questo risulti necessario. 

Torniamo, dunque, al titolo. “Dimostrare l'impossibile” è una sfida… Sembra quasi un gioco.

La matematica è bella e divertente. Contrariamente a quanto si possa pensare, è un’attività creativa, di fantasia. Alla base ci sono le idee, non solo la tecnica. Funziona come la musica: Mozart non era di certo solo un campione di tecnica… Insomma, c’è una scintilla creativa! Il titolo riassume questo: in matematica, il possibile non è dato una volta per tutte ma viene ridefinito man mano che si dimostrano nuovi teoremi e si elaborano nuove teorie. Si sposta il limite sempre un po’ più in là: l’impossibile per i matematici è una terra da esplorare. 

Quale delle storie raccontate l'ha appassionata di più? E quale dei tanti personaggi?

Nel libro si trovano personaggi più o meno noti. C’è Darwin, certo, ma ci sono anche scienziati meno conosciuti che hanno dato contributi altrettanto importanti. Io sono particolarmente affascinato da Henri Poincarè che ritengo un modello altissimo, difficilmente avvicinabile. Ma in realtà mi piacciono anche i cosiddetti ‘perdenti’: Max Born, per esempio, protagonista di un capitolo che già nel titolo dà l'idea di chi fosse: Un fisico modesto. Fu un grande scienziato del Novecento e suggerì per primo l’interpretazione probabilistica dei fenomeni quantistici, ma fu spesso oggetto di critiche da parte dei colleghi e, al contrario di molti altri, non fu mai supponente.

Il libro è diviso in due parti: intrecci e idee. Dopo aver raccontato gli uomini, passa a svelare misteri, teorie e sfatare falsi miti. Interessante la riflessione sul tempo che, nella seconda parte, introduce Einstein: “Per noi, fisici di fede, la separazione tra passato, presente e futuro ha solo il significato di una illusione, per quanto tenace”. 

Il tempo è una convenzione, una etichetta che mettiamo. Poi ovviamente bisogna distinguere il tempo della quotidianità da quello della scienza, da usare per comprendere i fenomeni fisici… Ma non sono certo io il primo a parlarne…

Nel capitolo Serendipity lei descrive quel fattore di “caso e sagacia” che è caratteristico del processo di scoperta scientifica.

È lo scarto che rende geniale il lavoro dello scienziato. Dalla scoperta dei raggi X a quella della radioattività, si tratta di serendipitous, ovvero scoperte dovute ad avvenimenti accidentali e a osservazioni fortuite. Così, in matematica, non si seguono schemi preordinati ma si procede piuttosto sfruttando le analogie (“niente è più fecondo, tutti i matematici lo sanno, di quelle oscure analogie, di quelle ambigue corrispondenze fra una teoria e l’altra”, scriveva André Weil). Il matematico trova cose che non va cercando semplicemente perché queste cose, spesso, non esistono ab initio. È anche per questo che è importante che la scienza circoli, anche e soprattutto tra i ragazzi. Non dobbiamo nutrire i nostri figli solo di manuali: il giovane Einstein studiava poco i manuali, ma leggeva libri di ‘scienza popolare’ ed era molto curioso.

Francesca Boccaletto

 

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