Nel corso dei secoli, gli esseri umani si sono sempre domandati che cosa, o chi, si nasconda oltre il cielo stellato sopra le loro teste. Alle grandi domande sul cosmo e sui suoi abitanti non hanno cercato di rispondere solo gli scienziati, ma anche la letteratura, la filosofia, le correnti religiose e l'immaginario comune. Tutti siamo affascinati, e anche un po' intimoriti, dallo spazio immenso che si apre di fronte a noi quando osserviamo il cielo notturno.
Giuseppe Galletta, professore di astronomia e astrobiologia all'università di Padova, parte da queste premesse nella sua ultima opera divulgativa, dal titolo: Astrobiologia. La ricerca di vita nello spazio.
Si tratta di un discorso che Galletta aveva già cominciato nel 2005 con il libro Astrobiologia. Le frontiere della vita, scritto a quattro mani con Valentina Sergi. La domanda di partenza resta la stessa: “Che possibilità ci sono che esista della vita extraterrestre? E quali potrebbero essere le sue caratteristiche?”, ma dopo altri 15 anni di missioni esplorative all'interno del Sistema Solare e studi sulla composizione dei pianeti extrasolari, disponiamo di molte nuove informazioni che possono aiutarci a trovare delle risposte.
Prima di chiederci come potrebbe funzionare la vita su altri pianeti, è necessario mettere in ordine le nostre attuali conoscenze sulla fisica e la biologia. Galletta si dedica quindi a spiegare quali sono i meccanismi biochimici che regolano la vita sulla Terra e cosa sappiamo sulla natura e sui processi di formazione dei corpi celesti che conosciamo, senza tralasciare le questioni prettamente sociologiche e filosofiche che si aprono quando ci si approccia a un campo di studi multidisciplinare come l'astrobiologia.
"Può sembrare strano e noioso al lettore del XXI secolo parlare di come i popoli antichi interpretassero il mondo, ma per capire il perché di tante persecuzioni e oppressioni di idee avvenute nel passato, e dei movimenti di pensiero attuali che negano il Big Bang o l’evoluzione biologica, bisogna conoscere l’evoluzione della cultura umana", scrive Galletta. Nel corso della storia, infatti, l'indagine filosofica e la ricerca scientifica si sono trovate spesso a confrontarsi con la possibilità che esistano mondi alternativi e forme di vita diverse (o forse simili) alla nostra: a cominciare dall'antica Grecia e da Aristotele, che scartava l'idea che potessero esserci altri mondi invisibili ai nostri occhi, per poi arrivare ai grandi cambi di paradigmi nella scienza tra il XV e il XVI secolo, grazie ai contributi di Galileo Galilei, Copernico e poi Keplero, Newton, Pascal e Cartesio.
L'ipotesi che nello spazio si trovino altri mondi abitati da esseri viventi ha ispirato in seguito anche la fantascienza, in particolare negli anni di Jules Verne e George Wells, quando i marziani erano immaginati come omini verdi filiformi e ci si iniziava a domandare cosa sarebbe potuto succedere se ci fosse capitato di incontrarli.
I timori legati all'esistenza degli alieni si diffusero particolarmente dopo la seconda guerra mondiale, specialmente negli Stati Uniti durante gli anni Cinquanta del secolo scorso, periodo in cui gli Ufo si conquistarono un posto d'onore nell'immaginario collettivo dell'epoca.
Alla fine del Ventesimo secolo, sia la scienza che la fantascienza hanno iniziato a occuparsi dei problemi più concreti che dovremmo affrontare nel momento in cui dovessimo entrare in contatto con altri mondi, come il rischio di contagio con virus o batteri spaziali o la difficoltà di trovare un linguaggio con cui comunicare con gli alieni.
Piuttosto sorprendente è il capitolo che Galletta dedica alla vita negli ambienti estremi sul nostro pianeta. Possiamo chiederci a cosa serve sapere come vivono i microrganismi negli oceani, nei vulcani e nei ghiacci quando ci interroghiamo sull'esistenza degli extraterrestri. La verità è che anche sulla Terra possiamo trovare zone in cui le condizioni ambientali possono sembrare incompatibili con la vita: luoghi senza ossigeno, senza luce, a pressioni o temperature proibitive. Eppure, anche negli abissi marini o attorno ai camini vulcanici ci sono dei microrganismi che si sono adattati a vivere in quelle condizioni. Studiarli può aiutarci a comprendere quali caratteristiche potrebbero avere degli ipotetici esseri viventi capaci di abitare su pianeti apparentemente inospitali.
“ Lo studio delle forme di vita che si sono affermate o adattate a questi ambienti estremi ci permetterà di comprendere meglio i limiti fisici e chimici di quelle che potrebbero trovarsi su altri pianeti “Astrobiologia. La ricerca di vita nello spazio”, G. Galletta, Padova University Press 2021
È a questo punto che possiamo uscire dal nostro pianeta e cercare la vita altrove. Dopo aver analizzato le diverse condizioni ambientali presenti sulla Terra, cosa possiamo dire riguardo alle caratteristiche degli altri pianeti del Sistema Solare?
Nel libro, un'attenzione particolare è dedicata, naturalmente, al nostro vicino di casa, Marte. Le numerose missioni esplorative degli ultimi anni hanno permesso di scoprire che "il pianeta ha molto da raccontare sulla sua evoluzione e la sua antica somiglianza con la Terra", e suggeriscono che in tempi molto remoti dovesse esserci dell'acqua sulla sua superficie.
Dopo aver passato in rassegna i pianeti e i satelliti del nostro sistema solare, Galletta si dedica all'esplorazione degli altri pianeti della nostra galassia e in particolare di quelli che si trovano in una regione chiamata "zona abitabile", che comprende quei corpi celesti dove è possibile che esista acqua allo stato liquido.
"Una ventina di terre in zona abitabile dovrebbe farci pensare di aver raggiunto un ottimo risultato. [...] Avere dei pianeti simili alla Terra è un ottimo punto di arrivo del percorso che abbiamo fatto, dalla nascita degli elementi chimici alle molecole, fino ai pianeti seguendo in dettaglio quella che è stata l’evoluzione della Terra e di Marte e delle forme di vita terrestre. Ma avere un’altra Terra non basta. Si saranno sviluppate su di essa forme di vita? Come scoprirlo? Saranno simili alle nostre?"
E allora, che aspettiamo a scoprirlo?
I viaggi spaziali non sono una passeggiata, e questo già lo sapevamo. Galletta sottopone all'attenzione del lettore una serie di problemi concreti, alcuni dei quali prevedibili, altri più inaspettati, sul perché andarcene a spasso fuori dalla Terra è ancora più pericoloso, oltre che complicato da organizzare, di quello che pensiamo.
In primo luogo, un grosso problema è legato all'impossibilità, al momento, di effettuare viaggi spaziali verso altri luoghi della galassia in tempi ragionevoli. È infatti necessaria una quantità di energia enorme per abbandonare la superficie di un pianeta per raggiungerne un altro, e il consumo necessario aumenta in proporzione alla velocità che si desidera raggiungere. "Anche viaggiando a velocità costante pari a un decimo di quella della luce (quasi 2000 volte più veloci delle attuali sonde interplanetarie) occorrerebbero 42 anni dalla Terra per giungere a Proxima Centauri e 326.000 anni per avvicinarci al centro della Galassia. Quantità estreme per noi umani!"
Un'altra questione cruciale riguarda i sistemi di supporto vitale. Va da sé che non basta portare le persone nello spazio, ma bisogna farle arrivare vive. Sono moltissimi i fattori di cui si deve tenere conto per permettere agli esseri umani di viaggiare nello spazio, e progettare strumenti di supporto vitale che funzionino senza guasti e senza interruzioni per anni (o addirittura secoli), richiede un costo energetico notevole e avanzate innovazioni tecnologiche. Per non parlare poi degli effetti che i viaggi spaziali potrebbero avere sulla salute degli esseri umani a lungo termine.
Infine, parlando di extraterrestri viene naturale interrogarsi su quale potrebbe essere il modo migliore per comunicare con loro. Se decidiamo di tralasciare il paradosso di Fermi, che si chiede: se esistono delle forme di vita e civiltà extraterrestri, perché non siamo mai entrati in comunicazione con nessuna di esse? allora dobbiamo capire se sia meglio lanciare un messaggio nell'universo attraverso le onde elettromagnetiche, con il codice binario oppure usando immagini e suoni.
Voler comunicare con gli alieni impone inoltre di cambiare la domanda da esistono altre forme di vita? a esistono altre forme di vita intelligenti?
Tra i vari progetti di ricerca di intelligenze extraterrestri, o SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), molti sono basati sul tentativo di scandagliare il cielo cercando di intercettare segnali radio oppure ottici provenienti dallo spazio, come ad esempio il Breakthrough Listen, iniziato nel 2015.
Per quanto riguarda invece la possibilità di un incontro ravvicinato, gli unici scenari su cui basare i nostri ragionamenti sono quelli proposti dalla fantascienza. Per il resto, la storia umana ci insegna che in un incontro tra due civiltà, quella tecnologicamente più avanzata schiaccia l'altra. Naturalmente bisogna auspicarci che gli alieni non si comportino così, dato che non sono umani, oppure che non siano poi così progrediti rispetto a noi. Ma in fin dei conti, anche se gli extraterrestri fossero mossi dalle più buone intenzioni, cosa ci impedirebbe di non ammalarci e soccombere a contatto con virus o altri corpi estranei importati da loro?
Questi sono dubbi che permangono, ma sono un buon motivo per evitare di viaggiare, comunicare, e cercare di non farci scoprire dagli abitanti di altri mondi? E se non lo sono per noi, potrebbero forse esserlo per le civiltà aliene, che magari popolano la galassia in quantità ma hanno i loro buoni motivi per non entrare in contatto con noi?