SCIENZA E RICERCA

Disuguaglianze fino alla strada

La discriminazione di genere, insieme ad altri fattori intersecanti, intensifica i fattori di rischio e le conseguenze di povertà e marginalità. Le donne incontrano infatti maggiori difficoltà nell'accesso a risorse primarie, quali cibo, salute, istruzione, formazione e opportunità lavorative. Come evidenziato da articoli precedenti, stereotipi di genere e comportamenti discriminatori possono privare le donne di diritti fondamentali esponendole a forme di violenza fisica, psicologica, ed economica, sfruttamento lavorativo, e retribuzioni significativamente più basse rispetto agli uomini. Alle limitate opportunità di emancipazione economica si sommano la precarietà del Terzo Settore e la gratuità del lavoro di cura (spesso quasi interamente a carico delle donne), che manca di protezione sociale e di benefici. La povertà, l'insicurezza e le disuguaglianze nell'accesso a standard di vita adeguati possono così contribuire alla condizione di senza dimora delle donne.

La classificazione Europea delle persone senza dimora e dell'esclusione abitativa prevede quattro tipi principali di precarietà abitativa: senzatetto, assenza di una casa, abitazione inadeguata e abitazione insicura. Con “abitazione insicura” si intendono le situazioni abitative precarie o a rischio per la propria salute e sicurezza; rientrano in questa tipologia, ad esempio, le persone che vivono in luoghi in cui sono esposte quotidianamente a discriminazione o violenza domestica. Proprio a causa di violenze sistemiche, strutturali e interpersonali, le donne e le persone LGBTQ+ (ovvero le minoranze sessuali e di genere) sono particolarmente esposte al rischio di vivere la condizione di senza dimora nel corso della vita.

In Italia, nonostante le donne rappresentino circa il 15% delle persone senza dimora, sono esposte a maggiori rischi, soprattutto vivendo in strada o in luoghi di fortuna. Un report congiunto di FEANTSA e ILGA Europe del 2019 stima, infatti, che tra il 70 e il 90% delle donne senza dimora abbia subito violenza di genere prima o durante la condizione di senza dimora

L'intersezione tra povertà e diverse forme di violenza di genere si manifesta anche nell’ambito migratorio. Le donne migranti fanno i conti con un accesso limitato all’istruzione e alla giustizia per la tutela dei loro diritti. Ciò sembra essere particolarmente diffuso tra le donne che hanno uno status di residenza precario, vivono in comunità rurali, o appartengono ad altri gruppi stigmatizzati (ad esempio per religione, orientamento politico, disabilità, orientamento sessuale). Questa condizione si esacerba in situazioni di violenza di genere, in quanto le opportunità di protezione e supporto all’autonomia e al benessere personale sono spesso scarse o insufficienti.

Le conseguenze derivanti dall’intersezione tra il genere, la diseguaglianza economica e la marginalità non si fermano alle donne cisgender. Una percentuale molto alta di persone LGBTQ+, per la maggior parte donne trans e persone non binarie, si trova infatti senza dimora in Europa. I dati del 2020 della Agency for Fundamental Rights (FRA) mostrano che il 20% delle persone LGBTQ+ in Europa vive o ha vissuto un’esperienza di senza dimora prolungata o temporanea (in media 10,7 mesi). In Italia, il report del progetto PRIDE finanziato da ILGA Europe nel 2024 mostra come il 57% delle persone ospiti in case rifugio per persone LGBTQ+ siano persone trans e non binarie, di cui 2/3 sono donne trans.

Sebbene le cause sottostanti possano essere simili (conflitti familiari, povertà, disoccupazione), una rassegna della letteratura scientifica condotta nel 2022 mostra come per le persone LGBTQ+ gli antecedenti della marginalità siano differenti e spesso legati allo stigma rispetto all’identità sessuale e di genere. Alcuni esempi di stigma strutturale che portano le donne trans a barriere importanti nell’accesso alle risorse primarie sono la cancellazione burocratica, la scarsa protezione legale (soprattutto per donne trans migranti e/o sex workers), la discriminazione sul lavoro e la difficoltà di accesso ad un alloggio in vendita o in affitto. La discriminazione interpersonale si manifesta soprattutto sotto forma di abuso familiare, rifiuto da parte di comunità religiose o bullismo scolastico. Spesso, tali violenze forzano le persone LGBTQ+ ad abbandonare la loro casa, nucleo familiare, scuola, gruppo di pari, o comunità etnica e/o religiosa di riferimento. Rispetto alla popolazione generale delle persone senza dimora, inoltre, le persone LGBTQ+ si trovano in condizioni di precarietà abitativa in età più precoce, già da giovani adult3. Questo può portare all’interruzione di percorsi formativi e alla perdita di opportunità di sviluppo personale, sociale e lavorativo: intraprendere un percorso di istruzione in età più avanzata risulta infatti molto più complesso dopo un periodo senza dimora, specie se prolungato.

Chi vive la condizione di senza dimora o di precarietà abitativa spesso vive in isolamento sociale, esacerbato dallo stigma legato a questo fenomeno, in un processo che porta all’invisibilità e alla lenta perdita di una prospettiva futura e di un senso di identità. Vivere senza dimora non vuole dire solo non avere un posto dove dormire, ma significa anche non avere un luogo sicuro in cui prendersi cura di sé e coltivare le proprie relazioni sociali e intime. Negli ultimi anni, la letteratura scientifica e le politiche sulle questioni abitative stanno aumentando l’attenzione verso alcuni modelli di lavoro, come Housing First, che valorizzano la dignità umana, mettendo al centro la scelta e l’empowerment delle persone che vivono in marginalità. Modelli di lavoro simili, in grado di offrire una dimora stabile per iniziare un percorso di miglioramento delle condizioni psico-sociali della persona, attraverso il sostegno di equipe multidisciplinari, portano a miglioramenti nel benessere delle persone accolte. Favorire quest’ottica di lavoro vuol dire intraprendere un percorso di destrutturazione della condizione di marginalità per promuovere una valorizzazione della persona, con i suoi limiti e le sue risorse. A maggior ragione con donne, famiglie e persone LGBTQ+ che, in ottica intersezionale, vivono marginalità multiple, è fondamentale che la ricerca, a fianco di chi lavora in prima linea nei servizi sociali e nella marginalità, continui ad impegnarsi nell’individuare strumenti e chiavi di lettura per fronteggiare un'emergenza così complessa e multifattoriale. Prendersi cura delle persone “invisibilizzate” vuol dire quindi lavorare per una società equa e per ridurre le disuguaglianze sociali, i cui effetti sono disastrosi non solo per chi vive la condizione di marginalità, ma per la società intera. In questo processo, un ruolo fondamentale è affidato alla sensibilizzazione sul fenomeno delle disuguaglianze di genere, che sarà oggetto del prossimo contributo.

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