Questo articolo è stato redatto da Emma Ruzzon e Paola Bonomo con la revisione collettiva dei e delle rappresentanti del corpo studentesco di Studenti per - UDU Padova
Un anno fa, era novembre, la notizia di una ragazza del padovano scomparsa ha scosso prima la provincia, poi tutto il Paese. Il fatto che fossero due le persone disperse da giorni, e che il secondo fosse l’ex fidanzato di lei, in molte (e il femminile qui è d’obbligo), ha assunto da subito il suono d'un campanello di allarme. Pochi giorni dopo, quel sospetto è diventato certezza: la nostra compagna di università, Giulia Cecchettin, era l’ennesima donna vittima di femminicidio in questo Paese.
Per il modo in cui se ne parlava, per il fatto che si trattasse di una studentessa e di uno studente universitari, entrambi di ingegneria, per la giovane età, per tanti motivi, questo femminicidio non è passato sotto traccia.
Migliaia di studenti e di studentesse si sono riuniti nel cortile del dipartimento di Ingegneria dell'informazione (DEI) il giorno dopo, provando a stringersi e a darsi delle risposte, a chiamare con il giusto nome, femminicidio, quanto in quel momento veniva definito come tragedia, triste avvenimento. Quel piazzale sotto le aule si è rifiutato di girare il volto da un’altra parte, ha scosso al cielo le chiavi facendo rumore, ha preteso risposte.
Da quel minuto di rumore, che ha fatto il giro d’Italia e del mondo, e sulla spinta delle parole nette e coraggiose della sorella della nostra compagna uccisa e del loro padre, qualcosa si è mosso.
Le piazze di tutta Italia hanno preteso azioni reali contro e in prevenzione della violenza di genere, soluzioni che hanno bisogno che le origini strutturali della piramide della violenza vengano riconosciute ed eliminate.
A Padova, dopo discussioni, proteste e azioni di piazza, è stato approvato a marzo dall’Ateneo lo stanziamento di 250 mila euro per finanziare il progetto UniRe (Università Responsabile) che vede, tra le sue molte azioni, l’apertura di uno sportello di ascolto psicologico e interventi di formazione specifici.
L’apertura dello sportello di ascolto su molestie e discriminazioni e la messa in atto di attività di formazione per tutti i livelli dell’accademia, lato docente e dipendente in primis, rappresentano iniziative fondamentali del progetto, nella battaglia contro la violenza di genere e nella costruzione di spazi sicuri. In un contesto segnato da una crescente consapevolezza riguardo le violenze di genere, si rivela la necessità di creare ambienti protetti e solidali. L’eco del femminicidio di Giulia Cecchettin ha risuonato non solo nelle aule accademiche, ma in tutta la società, attivando una risposta collettiva che non può essere ignorata.
Il femminicidio di Giulia e la conseguente mobilitazione di massa hanno unito studentesse, studenti, oltre alle attiviste, in un coro di indignazione e determinazione. Questi eventi non hanno rappresentato semplici manifestazioni, ma un vero e proprio movimento di solidarietà e di resistenza contro un sistema patriarcale che continua a perpetuare l’oppressione e la violenza nei confronti delle donne. Le piazze sono diventate luoghi di incontro e di rivendicazione, dove il grido per la giustizia si è unito alla richiesta di un cambiamento profondo nelle strutture di potere.
Il rumore partito dal dipartimento di Ingegneria è la traccia di un’azione collettiva che ha visto tutta la comunità accademica alzare la voce contro le ingiustizie e le discriminazioni. Questo atto non è stato solo simbolico, ma ha rappresentato un richiamo all’azione, che ha contribuito a creare un clima di consapevolezza e impegno. La partecipazione massiccia a questi eventi ha dimostrato che la comunità universitaria è pronta a non rimanere in silenzio, a rompere il muro dell’indifferenza che spesso circonda questi temi.
Le piazze di Padova si sono riempite di corpi in movimento, di slogan incisivi e cartelli che reclamavano il diritto a una vita libera dalla violenza per tutte e per tutti. Ogni manifestazione ha messo in luce l’urgenza di affrontare la violenza di genere come un problema sistemico, che richiede interventi decisi e strutturati. L’Unione degli Universitari (UDU), sindacato studentesco attivo a Padova e in tutta Italia, ha preso la parola, consegnando una lettera alla rettrice dell’Università di Padova, Daniela Mapelli, sottolineando le richieste urgenti della comunità studentesca. Questo gesto ha rappresentato un momento di svolta, mettendo in evidenza la necessità di azioni concrete e di un impegno reale da parte delle istituzioni.
In questo contesto, l’apertura dello sportello di ascolto segna un passo cruciale: non si tratta solo di un punto di accesso per chi desidera segnalare discriminazioni e molestie, ma del simbolo di un impegno collettivo per garantire un ambiente accademico più sicuro e accogliente. Lo sportello offre consulenze riservate e supporto psicologico, mirato a costruire un contesto in cui ogni persona possa sentirsi legittimata a esprimere il proprio disagio e a cercare aiuto in tutti i casi di conoscenza, assistenza o coinvolgimento in situazioni discriminatorie o dannose per la persona, in connessione con il suo genere di appartenenza o con le sue scelte sessuali. È fondamentale che questo sportello sia visibile e accessibile a tutti, affinché chiunque si senta a disagio possa trovare un luogo sicuro in cui condividere le proprie esperienze.
Il ruolo dello sportello va oltre la semplice denuncia: è un luogo in cui le esperienze possono essere validate e riconosciute, dove le persone possono ricevere supporto e informazioni utili. Tuttavia, non possiamo considerare queste iniziative come un punto di arrivo. Sebbene siano passi importanti, la strada verso un cambiamento reale è lunga e tortuosa. La cultura della violenza di genere è profondamente radicata e richiede un impegno costante e collettivo per essere affrontata.
Le mobilitazioni in risposta a quella violenza che ha ucciso Giulia Cecchettin, come altre decine e decine di donne da allora, sono essenziali, ma è cruciale che questa energia si traduca in azioni concrete. Ci sono preoccupazioni legittime riguardo alla sufficienza delle risorse dedicate a queste iniziative. È fondamentale che le istituzioni investano risorse adeguate per garantire la sostenibilità e l’efficacia di progetti come quelli messi in campo dall’Università di Padova. È necessario anche un cambiamento profondo delle normative e delle politiche universitarie. Gli atenei devono impegnarsi attivamente per prevenire la violenza di genere, promuovendo campagne di sensibilizzazione rivolte a studenti e studentesse, docenti e personale tecnico amministrativo.
In questa battaglia, è fondamentale riconoscere il potere della solidarietà e dell’unità. La lotta contro la violenza di genere è una battaglia collettiva, che richiede l’impegno di tutte e tutti. Le mobilitazioni e le iniziative come il progetto Unire e lo sportello di ascolto sulle discriminazioni e le molestie devono essere sostenute e amplificate, fino a diventare dispositivi di sistema presenti e attivi nelle grandi istituzioni come nella società tutta. La comunità universitaria deve continuare a mobilitarsi, a far sentire la propria voce e a lavorare insieme per un cambiamento duraturo. Solo così possiamo costruire un’università e una società in cui ogni persona possa sentirsi libera, rispettata e al sicuro.
A un anno dal minuto di rumore per Giulia Cecchettin, la violenza di genere e il sistema patriarcale che la alimenta sono tutt’altro che un lontano ricordo. Anzi, il trascorrere del tempo, l’indifferenza e la diminuita attenzione su questi temi stanno riportando a galla quei germi che non sono mai scomparsi: la violenza fa ridere, sui femminicidi si scherza, il patriarcato non esiste.
L’attenzione deve rimanere alta e non tentennare mai, tanto in noi studentesse e studenti, quanto nelle istituzioni a cui chiediamo risposte.
A un anno di distanza, crediamo ancora nella necessità di corsi obbligatori e che raggiungano capillarmente ogni studente e ogni studentessa, per primi coloro che per diversi motivi non si siano mai posti questi problemi e possano sentirsi disinteressati ad essi.
La strada è lunga e il cammino impervio. Ogni passo conta, ogni voce è fondamentale in questa lotta. Insieme, possiamo creare un futuro in cui la violenza di genere sia finalmente un ricordo del passato e non una realtà quotidiana. È tempo di trasformare l’indignazione in azione, di costruire un mondo in cui la giustizia non sia solo una parola, ma una pratica quotidiana.