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Covid-19: donne e bambini meno suscettibili all'infezione

Secondo le prime evidenze, gli uomini sembrerebbero essere più suscettibili all’infezione da nuovo coronavirus rispetto alle donne e i bambini, a loro volta, parrebbero manifestare una sintomatologia più lieve rispetto agli adulti. Il condizionale è d’obbligo, in ogni caso, dato che gli studi scientifici sono in fieri. Innanzitutto qualche dato. Al 19 marzo 2020, stando alle informazioni fornite dall’Istituto Superiore di Sanità, in Italia i casi di Covid-19 sono 35.731. L’1.2% ha un’età compresa tra 0 e 18 anni; il 25% tra i 19 e i 50 anni; il 37.3% tra i 51 e i 70 e il 36.5% ha più di 70 anni. Complessivamente il 59% di chi ha contratto l’infezione sono maschi, il 41% femmine. A colpire è anche il tasso di letalità (il numero di decessi sul totale dei malati) che, ieri, ha raggiunto l’8.5%.

La letalità in Italia è così elevata – osserva Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica-Fondazione città della Speranza e docente di patologia generale all’università di Padova – non tanto perché il nostro sistema sanitario non sia all’altezza o perché ci siano molti più anziani rispetto ad altri Paesi, ma perché stiamo sottovalutando in maniera molto importante il numero di persone contagiate”. I tamponi vengono fatti solamente a pazienti che presentano sintomi, come febbre o tosse, ma non agli asintomatici che quindi, sfuggendo al computo complessivo, contribuiscono a far aumentare la percentuale dei decessi, semplicemente perché si restringe il bacino dei contagiati. Secondo Viola, se si calcolasse la percentuale dei decessi sul numero effettivo di persone positive al virus Sars-CoV2 - che è probabilmente superiore a quanto calcolato finora – la letalità scenderebbe verosimilmente all’1-2% come nel resto del mondo. “Non sapere chi sono gli asintomatici (che sono contagiosi) è un problema gravissimo che sta facendo diffondere questa infezione – sottolinea la docente –. Per questo l’idea, in Veneto, di procedere con una mappatura più serrata, attraverso tamponi alle persone a rischio (quindi agli operatori sanitari o ai contatti dei malati) è sicuramente una strategia importante”.

Guarda l'intervento completo di Antonella Viola. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello

In generale, il virus sembrerebbe dunque essere più aggressivo negli uomini che nelle donne. “In merito si possono fare solo speculazioni – tiene a precisare Antonella Viola –, dato che non abbiamo ancora dati solidi per dare una spiegazione”. E osserva: “Il sistema immunitario femminile si è evoluto per riuscire a proteggere il feto dalle infezioni e a non attaccarlo, a non riconoscerlo cioè come estraneo. Questo fa sì che il sistema immunitario di una donna sia molto diverso da quello di un uomo: gli uomini sono più suscettibili a tanti tipi di infezione rispetto alle donne, mentre queste ultime hanno un rischio maggiore di sviluppare patologie autoimmuni. Anche gli estrogeni sicuramente giocano un ruolo in queste dinamiche, ma di fondo esiste proprio una differenza nello sviluppo del sistema immunitario maschile e femminile”. Un’altra ipotesi che potrebbe giustificare la suscettibilità maschile nei confronti di Covid-19 è una presenza maggiore negli uomini, rispetto alle donne, di recettori Ace2 (anche nei polmoni), impiegati dal virus SARS-CoV-2 per entrare nelle cellule umane.

Per quel che riguarda i bambini invece, come si è detto, esistono evidenze secondo cui i piccoli pazienti manifesterebbero nel corso della malattia una sintomatologia più lieve. Quest’ultimo dato, in particolare, emerge da uno studio condotto da un gruppo di scienziati del Guangzhou Women and Children’s Medical Center, in Cina, e pubblicato lo scorso 13 marzo su Nature Medicine. I ricercatori hanno esaminato, dal punto di vista epidemiologico e clinico, l’andamento dell’infezione in dieci pazienti di età compresa tra i due mesi e i 15 anni: ebbene, le indagini non hanno rilevato sintomi gravi e anche le analisi strumentali non hanno individuato segni di alterazioni significative a livello polmonare.

Secondo Antonella Viola ciò dipende innanzitutto dal fatto che un sistema immunitario giovane reagisce in modo diverso all’infezione. Va poi tenuto presente che i bambini vengono vaccinati e le vaccinazioni probabilmente stimolano il sistema immunitario e garantiscono un minimo di protezione rispetto al nuovo virus. Infine, la docente ricorda che in natura esistono quattro coronavirus che causano raffreddori stagionali: i bambini contraggono frequentemente questi malanni e la continua stimolazione del sistema immunitario, dovuta a virus non così problematici per la salute dell’uomo, potrebbe contribuire a generare anticorpi e dunque a rendere la sintomatologia da Covid-19 più lieve. “Facciamo attenzione però – puntualizza la docente –: ciò non significa che un bambino non si possa ammalare, o che qualche ragazzo non possa avere anche una sintomatologia severa. Dobbiamo suggerire ai genitori di prestare comunque grande attenzione, perché siamo tutti esposti a questa terribile malattia”.

Viola mette in evidenza un altro aspetto significativo emerso dallo studio pubblicato su Nature Medicine. I ricercatori, spiega, hanno esaminato l’escrezione del virus, sia a livello respiratorio che gastrointestinale, dunque sia attraverso le secrezioni nasali che attraverso le feci. Ebbene, i pazienti (una volta guariti) hanno mostrato positività al virus nei tamponi rettali, anche quando i classici tamponi orali davano ormai esito negativo. “Lo studio – osserva la docente – suggerisce come sia possibile la trasmissione oro-fecale del virus, anche se, come ammettono gli stessi autori, non vi è evidenza del fatto che il virus nelle feci sia attivo e, quindi, sia capace di infettare altre persone. I risultati, inoltre, suggeriscono cautela nel considerare non contagioso un paziente che abbia un tampone faringeo negativo e, ancora, che il tampone rettale potrebbe dare indicazioni non solo dell’efficacia del trattamento, ma anche sulla durata della quarantena richiesta”. Forse, dunque, si dovrebbe valutare di allungare i tempi di isolamento anche dopo che i sintomi sono scomparsi. In linea, del resto, con quanto dichiarato nei giorni scorsi anche dal direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità.

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