CULTURA

Con Deon Meyer avventuriamoci nel rugby e nella letteratura del Sudafrica / 2

Il Sudafrica (non di all blacks, né di all whites) ha vinto gli ultimi mondiali di rugby svoltisi in Francia, battendo in finale i mitici All Blacks della Nuova Zelanda (sono notoriamente vestiti tutti di nero, ogni volta che possono scegliere il completo da indossare in gara). Non era la prima volta per il Sudafrica, era già accaduto in tre precedenti occasioni degli ultimi trenta anni. Sono loro le mitiche antilopi saltatrici (diverse dalle gazzelle), ovunque conosciuti fra l’opinione pubblica, narrati in diretta e sul loro stesso sito con il familiare nome di Springboks (specie residua del genere Antidorcas Sundevall), animali ruminanti veloci, zampe e collo lungo, di medie dimensioni, fra 30 e 50 chili gli adulti sia maschi (33 - 48) che femmine (30 - 44), presenti esclusivamente nelle regioni meridionali e sud-occidentali dell'Africa, un simbolo “verde”.

La nazionale sudafricana di rugby ha vinto quattro volte la Coppa del Mondo: 1995, 2007, 2019 e appunto 2023, la squadra più vincente visto che la Nuova Zelanda ha vinto 3 volte, l’Australia due, l’Inghilterra una. Gli Springboksarrivarono terzi nel 1999 e nel 2015, ai quarti nel 2003, quasi sempre ai vertici comunque, considerando la scadenza quadriennale del torneo che coinvolge nelle qualificazioni decine di squadre nazionali per ogni continente. Lo sport standardizzato del rugby esiste quasi da un paio di secoli, emigrato dall’Inghilterra delle Midlands occidentali con intensa costante diffusione dell’areale, prima nelle colonie inglesi poi ovunque (in Italia il campionato c’è dal 1929). In Sudafrica cominciò a essere giocato dai secondi coloni inglesi (i “maestri”), dai primi coloni “olandesi”, dalle comunità tristemente colonizzate e schiavizzate. Gli Springboks bianchi hanno una storia secolare, a parte il nome dopo il 1994 c’è una cesura decisiva per tutto il resto oltre al colore dell’incarnato.

La vera e propria competizione dei “mondiali” venne istituita nel 1985, prime due edizioni nel 1987 e nel 1991, e all’inizio il Sudafrica (tutti e soli giocatori di incarnato chiaro) non fu ammesso, c’era il sacrosanto boicottaggio dell’Onu, i sapiens di incarnato chiaro praticavano l’apartheid verso i sapiens di incarnato meno chiaro, scuro in genere; in ogni anfratto delle separate vite, non solo nello sport. Forse è storia nota: liberazione di Mandela, fine formale del regime segregazionista, fine del boicottaggio internazionale, premio Nobel ai protagonisti dell’accordo, riammissione del Sudafrica al commercio e allo sport internazionali, prima partita internazionale di rugby dopo 11 anni, elezioni libere per tutti i cittadini, elezione di Mandela, nuova Costituzione, Commissione per la riconciliazione nazionale. In quel periodo decisero di assegnare alla federazione sudafricana la terza edizione, gli Springboks vinsero, il presidente Nelson Mandeladi incarnato scuro premiò il capitano di incarnato chiaro di fronte agli ammirati occhi dei sapiens di tutto il mondo.

A quel tempo in molti campi della vita istituzionale e associativa il Sudafrica scelse la politica delle quote per riequilibrare almeno un poco decenni di gerarchie sociali monocolori. Valeva anche nello sport, per qualche anno anche nel rugby. Il cosiddetto merito non è mai assoluto, è sempre una dinamica relazionale e richiede un competente mixaggio nelle squadre collettive e nel rapporto con il pubblico che assiste e tifa. Se avete visto una partita dei recenti mondiali 2023 avrete verificato che fra i quindici giocatori in campo e fra quelli in panchina ormai gli incarnati sono tutti plurali (fra l’altro esistono enormi differenze anche solo fra quelli più chiari e solo fra quelli più scuri), vale per tutte le nazionali (e per quasi tutti gli sport). Il capitano della vincitrice nazionale sudafricana è dal 2018 l’oggi 32enne Siya Kolisi (se capita date un’occhiata alla biografia, il rugby lo ha salvato da droga e criminalità), il primo di incarnato scuro; la maggioranza resta di incarnato più chiaro; tutti comunque con colori e tagli di barba e capelli davvero molteplici.

Il grande scrittore sudafricano Deon Meyer è notoriamente un gran tifoso di rugby, degli Springbocks e della squadra provinciale Free State Cheetahs. Abbiamo già iniziato a commentare la sua carriera di narratore, espressa anche in tanti racconti, serie televisive, sceneggiature cinematografiche, regie. Soprattutto dopo il capolavoro delle “tredici ore” è stato un susseguirsi di ottimi romanzi di alta qualità. “Sette giorni” è di inizio 2011, uscito praticamente in contemporanea in Sudafrica e all’estero (compresa l’Italia, Edizioni e/o, traduzione di Claudia Valeria Letizia). Siamo ancora a Cape Town nei primi mesi del 2011, protagonista ancora Bennie Nikita Benna Griessel, in uscita dal divorzio e soprattutto dall’alcolismo (niente più da 227 giorni, sempre in crescita dopo gli iniziali 156), brizzolato e rugoso, capelli folti e ribelli, occhi slavi e luminosi, divorziato bassista dilettante. Continua a frequentare l’ex cantante Xandra, ubriaca cronica conosciuta sulla scena del crimine durante la prima indagine, in via di reciproco innamoramento, attratti ma casti, e a preoccuparsi per i due bei figli, Carla e Fritz, padre scettico e comprensivo.

Meyer ha sempre intervallato ogni tanto un romanzo fuori serie (Trackers nel 2010, Fever nel 2016) a quelli con Bennie (afrikaans) o Benny (inglese) protagonista, nell’insieme fino al 2021 quindici crime novels, di cui otto seriali. All’inizio della nuova avventura della serie (2011), un cecchino prende di mira poliziotti, prima alle gambe poi mortalmente (per errore?), costringendo “i Falchi” della Direzione nazionale della Polizia a riprendere in mano il caso non risolto dell’assassinio di Hanneke Sloet, avvocatessa 33enne in carriera, carina forte ambiziosa. Sembra esserci di mezzo un grande affare di speculazione finanziaria, l’afrikaans Bennie indaga, la grassottella zulu Mbali cerca chi spara. Ogni giorno perso, un altro attentato, è lotta contro il tempo. E le tensioni razziali s’intrecciano di continuo, dentro le forze di polizia, nei rapporti con il potere istituzionale, attraverso le dinamiche con la popolazione civile, nelle vite private e nei pensieri di ogni personaggio coinvolto. Vediamo qualche altra trama più recente.

Cobra. Ogni proiettile ha una storia da raccontare (Edizioni e/o 2015, traduzione di Nello Giugliano) è ambientato nel giugno 2013, protagonista ancora il bianco robusto capitano 45enne Bennie, da qualche mese perfettamente integrato con gli Hawks (squadra investigativa speciale) e da qualche settimana (con i due figli lontani) finalmente convivente della sempre ricca manager musicale Alexa Xandra Barnard (più grande, sobria da 150 giorni). Ricomincia a mentire, l’alcolismo è quasi passato (sobrio da 422 giorni), piuttosto non regge il sesso quotidiano! Appare reticente col suo capo e col suo sponsor fra gli Alcolisti Anonimi, poi è travolto dal nuovo delicato complicato caso. Freddate due guardie del corpo e un cameriere, hanno rapito il cittadino inglese che si nascondeva (senza identità e motivi) in un resort vitivinicolo di un tedesco a Franschhoek, trovano bossoli con inciso un serpente, è un caso internazionale, emergono affari del terrorismo e delle banche, segreti e complotti, killer e spie. E ci va di mezzo anche il 21enne borseggiatore nero che ruba con scaltrezza per pagare l’università di sua sorella a Stellenbosch, ha preso un portafoglio pericoloso.

La narrazione è in terza persona sui due protagonisti, il poliziotto e il ragazzo. L’“eroe” era stato tutore dell’ordine anche col vecchio regime, ci fa capire molto degli afrakaans plurali, la formula letteraria (già in McBain) lo fa invecchiare più lentamente come individuo rispetto ai contesti storici sociali. I personaggi sono tutti ben caratterizzati in un impasto ironico e divertito, per quanto duro. Meyer non si limita a un genere (thriller), padroneggia più generi e tutti i registri emotivi, ottimo! Narra il contesto noir del Sudafrica post-apartheid, meno o più nero e bianco, in modo magistrale e meticcio e nel glossario finale tiene conto del guazzabuglio di lingue (sono undici quelle ufficiali, contaminate nello slang). Sempre con attenzione alla grande criminalità organizzata globale, ai matematici illeciti del capitalismo finanziario e della corruzione istituzionale.

Icaro (Edizioni e/o, traduzione di Nello Giugliano) è ambientato soprattutto a Stellenbosch (dove ormai Meyer vive con la moglie Marianne e circolano amanti del vino da tutto il mondo) nel dicembre 2014. Il bravissimo poliziotto 46enne Bennie è ormai un alcolista anonimo in disintossicazione. I suoi 602 giorni di sobrietà finiscono però, accade quando un collega, traumatizzato per via delle indagini su vari serial killer, stermina la moglie e le due figlie, poi si uccide. Va in un bar, ricomincia a bere superalcolici, crede di potersi controllare. Lui è bianco (afrikaner), altruista e depresso; ora capitano della squadra investigativa speciale (gli Hawks), la sezione crimini violenti della città; vive con i figli Carla e Fritz insieme alla compagna Xandra (sobria da 330 giorni). Sei mesi prima Bennie era stato gravemente ferito, il suo colonnello ucciso, strizzacervelli e sponsor degli Alcolisti anonimi avevano previsto che sarebbe stata dura resistere. Ora non ce la fa più.

L’eccentrico tecnofilo amico nero Vaughn Cupido diventa sempre più importante nelle sue avventure della serie, qui riesce a coinvolgerlo nell’indagine su un omicidio, lo copre dopo le sbronze, ne accetta l’appannamento, sa che gli serve il suo pensare metodico e tecnofobo, se vuole risolvere il caso. Hanno ucciso un personaggio famoso, Ernst Richter, gestore di un sito particolare: l’Alibi app aiuta a farla franca quando si vuole tradire il partner, trovando una scusa ben organizzata. Pare avesse molti clienti, facesse un sacco di soldi e possedesse almeno tre personalità (una è “Icarus”, da cui il titolo). Richter era scomparso da tre settimane, sotto la sabbia di una spiaggia hanno trovato il corpo avvolto nella plastica nera.

ironico e divertente, per quanto hard-boiled. Meyer qui usa una terza persona varia, presentando in questo caso un secondo filo narrativo: quasi subito dopo la scoperta del cadavere (non l’unica citazione alla McBain) e l’effetto sui poliziotti della strage familiare del collega, ci è data la possibilità di leggere la trascrizione di un colloquio (avvenuto giorni dopo) fra l’esperta avvocato Susan Peires (da consigliare) e il potenziale giovane cliente vignaiolo Francois du Toit, attraente, abbronzato, di belle ricche maniere. Prima di arrivare al dunque (una confessione? di un delitto?), le racconta tutta la storia della propria famiglia, in pratica la meravigliosa ultrasecolare vicenda della viticoltura in Sudafrica. Il fatto è che a Bennie il vino non era mai piaciuto: lui preferiva ubriacarsi subito e saziarsi poi. Al danno si aggiunge la beffa: anche la sua capacità di identificarsi con (e scoprire) il criminale è una forma di altruismo, che inevitabilmente genera depressione. Touché! Per darsi speranza mette Fresh Cream e suona il basso con Jack Bruce.

L’ultima caccia (Edizioni e/o Roma 2021, orig. 2019), traduzione di Silvia Montis) ci porta anche a Bordeaux in Francia oltre che a Cape Town in Sudafrica. Agosto 2017. Il buon possente nero 55enne Daniel salva un’austera pittrice dalla violenta banda dei cinque rapinatori del fiume, pur essene terrorizzato dall’essere scoperto in Francia dopo gli antichi turbolenti trascorsi sudafricani. Il buon 47enne Bennie pensa di continuo a un anello per proporre ad Alexa di sposarlo, pur essendo terrorizzato dall’eventuale rifiuto, sicché l’indagine per l’omicidio dell’ex agente della SAPS Johnson Johnson arriva a proposito. La capa della Sezione crimini violenti del Dipartimento per le indagini ad alta priorità, ovvero gli “Hawks” (una trentina), vuole capire dall’affiatata coppia di capitani Hawks bianco Bennie Griessel - nero Vaughn Cupido come e perché l’uomo sia stato ucciso e poi gettato dal treno più lussuoso del mondo, ritrovato molto tempo dopo. Ormai faceva solo sicurezza privata, a bordo doveva tranquillamente assistere un’olandese ultranovantenne, non si capisce proprio cosa sia mai accaduto e in che modo si senta coinvolta anche l’Agenzia di sicurezza nazionale, quei potenti deviati della SSA.

Il fatto è che tutto il paese sa dello State capture, del diffuso certificato dubbio che il presidente, metà del parlamento, diversi premier provinciali e dirigenti di aziende pubbliche siano stati corrotti e vengano manovrati come burattini da tre miliardari indiani. A distanza, Daniel Darret viene ricontattato da amici e colleghi sudafricani, non possono più permettersi l’attuale presidente, vogliono che torni in patria e faccia il suo qualificato mestiere di killer, gli ricordano il vero nome, i legami e le lotte comuni, la sua storia e le sue qualità, è l’unico che può salvare il paese, questa volta l’incarico è di eliminare il male alla radice. Bennie gira a vuoto, Daniel resiste, le storie finiranno per intrecciarsi.

Attraverso il consueto espediente cronologico (ogni storia a pochi mesi dell’altra per i personaggi, ma trascorrono anni sia fra i romanzi che nel contesto istituzionale) in quest’ultimo bel volume l’autore usa una terza persona binaria (come già in passato), presentandosi fin all’inizio con un secondo protagonista dotato di autonomo filo narrativo che corre lungo tutta la narrazione, a capitoli o parti alternate: da anni Daniel Darret vive isolato da tutto e tutti, solo con una gatta; lavora come assistente di un ombroso ottimo restauratore di mobili, pialla e affina, gli piace; non ha amici, la gente sa poco di lui, gira in moto nel poco tempo libero. Meyer ci racconta l’ex presidente Zuma con competenza e acume, senza mai citarlo; e ci aiuta a capire il Sudafrica dell’ultimo decennio, interessi e conflitti del dopo-apartheid, la ferocia di certa politica pure nelle democrazie. Fortunatamente c’è chi resta fedele ai lasciti di Nelson Mandela. Innumerevoli gli spunti culturali interessanti. Tanto Borgogna e appassionato blues.

Il 3 novembre 2023 è uscito Leo di Deon Meyer (Griessel and Cupido are back!), per ora solo in afrikaans, in inglese e italiano lo leggeremo presto, un consiglio affettuoso.

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