CULTURA
Le origini africane delle prime e di molte specie umane, il caso Sudafrica/2
Charles Darwin e Alfred Wallace andarono a cercare sul posto individui del regno vegetale e animale indispensabili a impostare la definizione di alcuni dei meccanismi fondamentali della biologia evoluzionistica, occorreva assolutamente raccogliere e comparare quanto caratterizzava la biodiversità negli altri continenti, ben lontano dalla patria. Ai loro tempi l’Inghilterra era un immenso impero coloniale (e razzista) che istituzionalmente dominava e depredava ecosistemi e popoli. Il loro approccio individuale era ovviamente di scienziati prudenti e meticolosi, rispettosi di patrimoni naturali e usanze umane. Le collezioni dei musei inglesi e occidentali, anche quelle che contengono le loro esperienze, non sono state costruite con lo stesso rispetto, pur essendo ancor oggi presentate con una cura scientifica e duttilità tecnologica certo all’avanguardia mondiale. I nostri musei e giardini sono preziosi perché ci offrono meravigliose raccolte di vite animali e vegetali prevalentemente prosperate altrove. Il museo sudafricano di Cape Town non è comparabile con i musei scientifici di New York, Londra, Milano, pur se non bisogna mai dimenticare che la maggior parte dei reperti, per esempio sull’evoluzione umana, non sono stati trovati negli Usa, nel Regno Unito, in Italia. Piuttosto in Africa e, per varie ragioni storiche e culturali, proprio in Sudafrica.
Il museo risulta un’istituzione antica, nata con il Rinascimento dell’antichità classica e con l’umanesimo; i musei attualmente aperti, tuttavia, nella stragrande maggioranza, sono invece molto recenti e devono decisamente la loro istituzione più al ventesimo secolo (alla seconda meta del xx secolo, per essere precisi) che non ai loro predecessori dal XV al XIX. Vero è che quasi tutti i musei di fama mondiale, con l’eccezione forse dei musei di arte moderna e contemporanea, esistevano già prima della Prima guerra mondiale, e almeno per quanto riguarda i musei d’arte in Europa, prima della metà dell’Ottocento. Gli ultimi cento anni hanno visto moltiplicarsi i piccoli musei e, al contempo, il radicale rinnovamento di quelli che già esistevano. Il fatto nuovo e importante, però, è che in questo lasso di tempo i musei si sono diffusi anche in aree culturali nelle quali prima erano rari. Se nel corso dei secoli il museo e divenuto onnipresente, la sua distribuzione spaziale e rimasta irregolare quanto il suo ritmo di crescita nel tempo.
Secondo il grande storico Pomian, il cui immenso recente lavoro ricostruisce con precisione dati e statistiche, oggi (2020), degli oltre 85.000 musei nel mondo: 35.000 sono negli Stati Uniti; 30.000 circa (probabilmente di più) sono in Europa occidentale e centrale, vale a dire nell’antica area della cristianità latina, cattolica e protestante (concentrati 6400 in Germania, 6000 in Francia, 4600 in Italia, 2500 nel Regno Unito, 1500 in Spagna e 1100 in Svizzera); 4000 circa si trovano nell’Europa orientale, vale a dire nell’antica area ortodossa (2400 in Russia, 750 in Romania, 190 in Bulgaria, 180 in Grecia e 160 in Bielorussia); poco più di 6000 si trovano in America latina (Brasile 3500, Argentina 900, Colombia 620, Messico 560, Perù 340 e Cile 180); oltre 4000 sono suddivisi tra Canada (1700), Australia (2000) e Nuova Zelanda (400); più o meno 5000 sono quelli di Cina (3600) e Giappone (1200); i paesi islamici ne contano poco più di 1000 (la maggior parte dei quali in Indonesia 410, poi Turchia 340, Iran 110 e Tunisia 70); i rimanenti pochissimi (un quarto di quelli solo italiani), tra 500 e 1000, si trovano nell’Africa subsahariana (ben 300 comunque in Sudafrica) e nel resto dell’Oceania.
Il museo sudafricano di Cape Town è un termine di paragone fondamentale non solo nel merito dell’origine africana della maggior parte delle specie umane e dei sapiens, bensì anche per la comparazione fra istituzioni scientifiche e museali oggi nel mondo. Risulta bellissimo ma non aspettatevi fuochi d’artificio multimediali e tecnologici. Non vi sono cataloghi o cartoline delle raccolte permanenti e delle mostre temporanee. Le postazioni internet e gli schermi fruibili sono pochi. Lo stesso sito è povero di documentazione meticolosa e ulteriore. Solo che i reperti fossili che tutti studiano e citano nel mondo stavano e sono lì. In presenza, anche se ormai si può far quasi tutto anche a distanza. Eppure nei meravigliosi tre volumi di Pomian il museo sudafricano è citato solo per la fondazione, non per le trasformazioni avvenute dal trasferimento del 1897 in avanti, per tutto il Novecento e oltre. A causa di ragioni del tutto comprensibili ma non meno significative, nel primo volume (fino al 1789) il Sudafrica non compare e nel secondo (1789 - 1850) esiste nella premessa solo per la statistica sopra richiamata. Nel terzo volume (1850 - 2020) si accenna all’inaugurazione del 1825 come primo museo nazionale. Quando si affronta l’espansione dei musei da parte degli stati colonialisti europei verso Sud, Levante e Ponente, si cita lo sbarco a Cape Town e Pomian spiega che nacque per decisione del governatore della colonia con lo scopo di “offrire ai coloni la possibilità di conoscere le risorse generali e locali della colonia … Il grosso del pubblico era rappresentato dai passeggeri delle navi che attraccavano” (qui qualche altro spinto sul carattere predone del colonialismo europeo e del capitalismo commerciale).
In realtà, nel secolo scorso vi fu uno straordinario sviluppo degli scavi e degli studi di paleoantropologia in Sudafrica, inizia spesso una collaborazione con le università europee e americane, vi è scambio intenso di ricerche e opinioni, di programmi e collaborazioni. Il segno distintivo restava, tuttavia, una storia dell’evoluzione segnata dalla primazia dell’incarnato bianco; il museo non rappresentava la lunga meticcia storia del paese; le stesse scoperte venivano lette anche come progressiva inevitabile convergenza dal basso verso l’alto, dal meno cervello al più cervello, dai claudicanti primordi di incarnato scuro fino al vertice rappresentato dai sapiens “bianchi”. Il vero e proprio ufficiale apartheid arrivò dopo, nel 1948, e fa parte di una nota narrazione multidisciplinare razzista durata quasi mezzo secolo, pur senza bloccare mai completamente la libertà della ricerca scientifica (bianca) e le relazioni con scienziati di tutto il mondo coloniale (utili contatti vi sono spesso stati con università italiane e studiosi italiani, anche recentemente e positivamente citati in tanti libri di memorie). Dopo la liberazione e l’elezione di Mandela s’afferma tutta un’altra storia e non sarebbe male che ai proficui frequenti contatti fra le università si affiancassero gemellaggi fra i musei scientifici americani ed europei e quello di Cape Town o altri analoghi.
Il museo sudafricano contiene anche molti riferimenti alle scoperte più recenti in Sudafrica relative a continue possibili sorprese nella storia dell’evoluzione umana (cui qui talora si è accennato). In particolare risaltano gli scavi degli ultimi anni vicino a Cape Town, nel sito “preistorico” di Blombos vicino Cape Agulhas, a circa trecento chilometri verso ovest (laddove si separano gli oceani, più o meno). Si tratta di una piccola grotta che si apre ai piedi di una falesia di calcarenite, divenuta celebre nel 2018 per l'inattesa ipotesi di vestigia indicatrici di comportamenti moderni e di preoccupazioni estetiche o simboliche (pezzi di ocra incisi con disegni geometrici regolari, punte di freccia, utensili in osso, perle e parti di collane e braccialetti ricavati dalla lavorazione delle conchiglie), databili tra i 75 000 e gli 80 000 anni fa.
Secondo alcuni (compresi apprezzati scienziati stranieri), i reperti della caverna di Blombos apparirebbero come la precoce testimonianza dell'affermarsi di un comportamento creativo e di un sistema simbolico e culturale della nostra specie sapiens. Il 12 settembre 2018 venne appunto pubblicato su Nature lo studio dell'équipe del professor Francesco D'Errico dell'università di Bordeaux, effettuato su una pietra lunga circa 4 cm, frammento di un blocco più grande, con 9 tratti disegnati con una sorta di matita. Si tratterebbe di un disegno astratto prodotto oltre 73.000 anni fa da un Homo Sapiens con un pezzo di ocra rossa, una delle prime opere “pittoriche” dei nostri antenati. Per esprimere un disegno astratto occorre avere la capacità di elaborare complicati pensieri e capacità artistiche. D'Errico spiegò che "il disegno è un simbolo, e il simbolo testimonia la presenza del pensiero astratto. Gli uomini di queste epoche antiche evidentemente avevano già raggiunto questa importante tappa dello sviluppo".
C’è un dibattito aperto sull’assoluta preminenza delle novità provenienti dalla paleoantropologia in Sudafrica. Probabilmente, sulla base dell’insieme dei fossili e dei dati che sono oggi a disposizione, il “cuore pulsante” di diversi passaggi cruciali della ramificata cespugliosa evoluzione umana va collocato in Africa orientale più che in Africa meridionale, lungo la dorsale centrale della Great Rift Valley. Resta che il territorio e le coste dell’attuale Sudafrica hanno in più punti costituito terreno fertile per la migrazione, la frammentazione, la variazione delle specie umane, prima degli ominidi, poi del genere Homo, poi dei sapiens, con spostamenti e speciazioni che hanno comunque interessato tantissimi altri ecosistemi del continente primigenio, compreso l’Africa settentrionale (per esempio, con il sito probabilmente sapiens di Jebel Irhoud). E se le prime migrazioni sono out of Africa, poi da centinaia di migliaia di anni la direzione non è mai rimasta unica, i fili meticci si ritrovano ovunque, soprattutto da quando la nostra specie è rimasta l’unica umana (per esempio rispetto alle sorgenti multipolari dell’agricoltura).
Il museo sudafricano di Cape Town non ha oggi solo l’encomiabile esposizione HUMANITY da visitare. Le collezioni permanenti sono ricchissime, le più antiche e grandi nell'Africa sub-sahariana e ospitano oltre 10 milioni di animali conservati, fossili e manufatti archeologici. Come noto, in passato animali e oggetti venivano raccolti per la loro bellezza ed esposti in un museo simile a una wunderkammer. Da decenni le nuove pratiche museali e i progressi tecnologici hanno fornito gli strumenti per reimmaginare la storia. Tra gli altri oggetti che più colpiscono sono presenti gusci d'uovo di struzzo che venivano intagliati in gioielli e regalati, un vero esemplare conservato del "pesce fossile vivente" scoperto da JLB Smith, un puledro Quagga estinto i cui tessuti furono raccolti per test del DNA, un teschio stampato in 3D di un orso africano che un tempo vagava per le pianure dell'Africa.
C’è lo splendido grande antro al secondo livello del museo, dedicato ai dinosauri africani, accanto sia ai pannelli sugli squali che alla sezione intitolata alle Savane africane, iconico paesaggio che copre quasi un terzo dell’intero continente, unico al mondo, spesso rappresentato artisticamente con il profilo delle acacie a forma di ombrello, facilmente riconoscibili nelle vaste distese di prati. Nella savana sopravvivono centinaia di specie di animali e uccelli, tra cui le più grandi mandrie di ungulati del mondo. La savana è un ecosistema caratterizzato da variazioni stagionali, che influiscono sulla disponibilità di vita vegetale per gli erbivori e prede per i predatori, finemente equilibrato, guidato dalla capacità degli animali (e delle piante) di coesistere.
Colpisce lì accanto l’esposizione dedicata a Nelson Rolihlahla Mandela, Madiba per il soprannome che aveva da ragazzino: Tata Madiba. Father of our democracy: Father of our Nation. Mandela non è stato solo al centro dell'epica lotta del Sudafrica contro l'apartheid: il suo ruolo nel contribuire a costruire una nazione dai frammenti di storie conflittuali e l’intrepido perseguimento del sogno della democrazia in una società non razziale costituiscono un’eredità valorizzata in tutto il mondo. La mostra riunisce oggetti, esemplari e opere d'arte per stimolare la conversazione sulla vita, le lotte e l'eredità di una delle personalità più “belle” del Novecento, nota pure per umiltà e senso di leadership collettiva, capace di fare pieno uso delle “armi” via via a sua disposizione: amore, persuasione, perdono, umorismo autoironico e acume politico.
Risulta poi ancora aperta la mostra Healing Oceans: se la maggior parte dei medicinali proviene da organismi terrestri, tuttavia i ricercatori guardano sempre più verso l’oceano per nuovi enzimi e farmaci: l'ambiente marino è un'eccellente risorsa che comprende una diversità di piante e animali acquatici di cui alcuni organismi sono ancora sconosciuti, altri noti proprio per le attività antibiotiche, antivirali, antinfiammatorie, antitumorali, antifungine, antiobesità e immunoprotettive. I gruppi di invertebrati marini che hanno mostrato un simile potenziale includono spugne, tunicati, ascidie, briozoi, ottocoralli e alcuni molluschi, anellidi ed echinodermi. E c’è nel museo ancora molto altro, con frequenti esposizioni temporanee e connessioni con altri musei limitrofi (quello d’arte contemporanea negli stessi ampi giardini) o sudafricani (Iziko).