SCIENZA E RICERCA
Evoluzione umana, una storia con sorprese
Le sorprese, nel campo degli studi sull’evoluzione umana, non finiscono mai. Negli ultimi mesi si sono succeduti, sulle maggiori riviste scientifiche internazionali, gli annunci di scoperte che cambiano profondamente quanto troviamo scritto sui manuali della disciplina. Agli inizi di marzo Nature e Science hanno pubblicato due paper relativi alla specie Homo habilis, dai quali si evince che questa prima specie del nostro genere non ha fatto la sua comparsa in Africa intorno a 2,4 milioni di anni fa come si era sempre pensato, ma diverso tempo prima. Una mandibola di H. habilis, ritrovata nel sito etiopico di Ledi-Geraru, è stata datata a 2,8 milioni di anni fa e conferma la notevole variabilità morfologica della specie (Callaway, E., 2015, “Ethiopian jawbone may mark dawn of humankind”, Nature, 4 March 2015). La retrodatazione porta a ritenere che fra tre e due milioni di anni fa l’Africa fosse popolata da ben tre generi diversi di ominini: le australopitecine, i parantropi, e le prime forme del genere Homo, più vecchie del previsto. Una coabitazione davvero affollata e prolungata, se pensiamo che quasi un milione di anni dopo, in Sudafrica, ancora sopravviveva una forma del genere Australopithecus (cioè A. sediba).
Nel numero di Nature del 21 maggio 2015 scopriamo qualcosa di ancor più dirompente rispetto ai modelli standard. Sulla sponda occidentale del lago Turkana, in Kenya, nel sito Lomekwi 3, è stata scoperta una complessa e diversificata industria litica la cui datazione oscilla intorno ai 3,3 milioni di anni fa, cioè 700.000 anni prima dei più antichi strumenti in pietra finora rinvenuti e attribuiti al Modo1 o tecnologia olduvaiana. Non sappiamo chi li abbia costruiti e usati, ma da quelle parti in quel periodo, fra radure aperte e zone di foresta, circolavano ominini pliocenici come Kenyanthropus platyops, oltre alle australopitecine come A. afarensis, la specie a cui appartiene la celebre Lucy scoperta dal paleoantropologo Donald Johanson nel novembre del 1974. Quindi, o il genere Homo è ancora più antico, o i primi ominini abili nel fabbricare utensili sono stati gli antenati del genere Homo. In ogni caso, ora dobbiamo aggiungere una nuova fase tecnologica, precedente ai tre milioni di anni fa, battezzata “Lomekwiano” (Harmand, S. et al., 2015, “3.3-million-year-old stone tools from Lomekwi 3, West Turkana, Kenya”, Nature, 521: 310-316).
Ai primi di dicembre del 2014 un altro caposaldo era stato scalfito. Nel sito giavanese di Trinil, abitato lungamente da Homo erectus, lo scopritore Eugène Dubois aveva raccolto dal 1891 una grande quantità di reperti, ora conservati al Museo di Storia Naturale di Leida, fra i quali diverse conchiglie aperte e poi appositamente affilate. Decidendo provvidenzialmente di riaprire i cassetti di Dubois e di ristudiare i suoi reperti, gli studiosi si sono accorti che alcune di quelle conchiglie non erano state soltanto affilate, ma anche adornate con incisioni geometriche, già mezzo milione di anni fa. Se confermata, la scoperta rivela che forse le prime rappresentazioni di schemi astratti non compaiono esclusivamente in Homo sapiens come abbiamo sempre pensato (il più antico oggetto con incisioni astratte risaliva finora a 75.000 anni fa, dal sito di Blombos in Sudafrica), ma già in popolazioni di altre specie e molto tempo prima. È anche interessante constatare che si può andare su Nature con una scoperta formidabile studiando le collezioni storiche custodite in un Museo: Joordens J.C.A. et al., 2014, “Homo erectus at Trinil on Java used shells for tool production and engraving”, Nature, 518: 228-231.
Infine, è notizia di pochi giorni fa (numero di Nature del 28 maggio) che il computo delle specie di australopitecine si arricchisce di un nuovo attore: dall’area di Woranso–Mille, nel centro della depressione dell’Afar in Etiopia, sono emersi i resti fossili di una nuova specie ominina, battezzata Australopithecus deyiremeda, risalente a un periodo compreso fra 3,3 e 3,5 milioni di anni fa, proprio la stessa fase di Lucy (Haile-Selassie, Y., et al., 2015, “New species from Ethiopia further expands Middle Pliocene hominin diversity”, Nature, 521: 483-488). Anche la zona è quella di Lucy (solo 35 chilometri di distanza). Insomma, una grande diversità di specie ominine convissero in Africa orientale in questa fase cruciale dell’evoluzione umana, in stretta prossimità geografica. Da tale esuberante sperimentazione morfologica emersero, con modalità ancora tutte da chiarire, i primi antenati del nostro genere.
Telmo Pievani
Che la diversità di specie conviventi, ciascuna portatrice di un peculiare mix di adattamenti, fosse la cifra essenziale dell’evoluzione umana lo aveva spiegato proprio Donald Johanson in una memorabile conferenza tenuta a Padova, al dipartimento di Biologia, nell’aprile del 2013. Johanson nei giorni scorsi è tornato a trovarci e per l’occasione ha visitato il Giardino della biodiversità.