SOCIETÀ

EPA, 50 anni dopo: e ora da dove si riparte?

«Con il presidente Trump, l’America è sulla strada giusta per creare un futuro più forte, più sicuro e più pulito». Per quanto possa sembrare altrimenti, questo non è uno slogan della campagna elettorale presidenziale americana. Lo troviamo, invece, in apertura del Rapporto 2019 dell’EPA, la Environmental Protection Agency americana, nell’introduzione curata dall’attuale direttore dell’Agenzia, Andrew R. Wheeler.

 

Under President Trump, America is on a path to a stronger, safer, and cleaner future.

A Wheeler torneremo dopo. Sia Wheeler che Pruitt, il suo predecessore nominato da Donald Trump appena insediato, infatti, ben rappresentano la precisa volontà del presidente di minare il ruolo fondamentale dell’agenzia. Come vediamo dal video qui sotto, Pruitt e Wheeler sono gli ultimi due dei 15 capi ed entrambi mettono molto chiaramente le ragioni dell’economia ben davanti a quelle dell’ambiente.

La nascita e la spinta dei movimenti ambientalisti

Passato quasi inosservato al pubblico, vista l’urgenza e la predominanza di ben altri temi, il compleanno dell’EPA, 50 anni tondi tondi, è stato il 2 dicembre scorso. Nata grazie alla firma del presidente Nixon, l’Agenzia di protezione ambientale ha rappresentato a suo tempo il raggiungimento di un obiettivo e l’inizio di un percorso.

L’obiettivo raggiunto è stato quello voluto da milioni di americani che nel decennio precedente avevano iniziato ad attivarsi in difesa dell’ambiente. Una consapevolezza, quella ecologista, che nasce e si va strutturando nel corso degli anni ‘60 fino a consolidarsi in movimenti e gruppi di azione che in modo più o meno determinato chiedono politiche di difesa dell’ambiente e della salute.

The official birthday of EPA is December 2, 1970. Like any other birth, EPA's needed progenitors, and a family tree stretching back for years.

“Il compleanno ufficiale di EPA è il 2 dicembre 1970”, leggiamo sull’archivio storico del sito "Come ogni altra nascita, anche EPA ha avuto bisogno di progenitori e di un albero genealogico che va indietro negli anni.”

Non c’è dubbio che la spinta alla creazione dell’agenzia sia venuta dalla necessità di agire per ridurre l’inquinamento delle città americane, fenomeno molto evidente a fine anni ‘60 sia per la fortissima spinta industriale post bellica che per la tumultuosa crescita demografica. Tuttavia, ammette il sito EPA, “l’inquinamento da solo non crea un’agenzia. Ci vogliono idee - ancora meglio una visione del mondo - e molte di queste idee iniziarono a cristallizzarsi nel 1962.”

Una milestone ampiamente riconosciuta è la pubblicazione, nel 1962, del libro di Rachel Carson, “Primavera silenziosa”, inchiesta ultra documentata da dati scientifici sugli effetti nocivi dei pesticidi, DDT in testa, sulla biosfera, su insetti, animali e anche sugli esseri umani. La Carson, diventata icona mediatica grazie alle sue rubriche sul The Atlantic e sul New Yorker e ai documentari in cui parlava in modo meticoloso del problema dell’inquinamento ambientale, muore solo due anni dopo la pubblicazione del libro. Ma il suo lavoro è stato tanto fondamentale che il New York Times l’ha definita, a 50 anni dalla pubblicazione del libro, una citizen-scientist (una scienziata civica) che ha “popolarizzato la moderna ecologia”. 

Negli anni ‘60 e ‘70 l’ambientalismo si è rafforzato come movimento destinato a mettere fine - e se possibile - a rimediare al declino dell’ambiente umano.

Il libro di Carson ha trovato in realtà molti contestatori alla sua uscita, preoccupati dalla possibilità di una limitazione nel commercio del DDT. Alle ragioni ambientali e di salute, le aziende produttrici e non pochi scienziati opponevano la necessità di tutelare la produzione di cibo e di sconfiggere la malaria. Tuttavia, l’enorme interesse pubblico e la nascita dei movimenti ambientalisti e persino l’adozione da parte di diversi politici, nel Congresso americano e alle Nazioni Unite, di un nuovo linguaggio nel quale entravano per la prima volta parole come ecologia e ambiente, portarono all’approvazione da parte del Congresso americano del primo National Environmental Policy Act (NEPA), firmato da Nixon il primo gennaio del 1970 e che, nel corso di quell’anno, portò appunto alla nascita dell’EPA.

Il clean air act e la messa al bando del DDT

Il rapporto tra interesse pubblico e politico, del mondo scientifico e delle aziende, si delinea fin dalla nascita di EPA come un terreno molto complicato su cui giocare. La stessa Carson, prima di morire, aveva posto questo interrogativo nel corso di un dibattito pubblico: "When a scientific organisation speaks, whose voice do we hear, that of science or of the sustaining industry?" (Quando parla una organizzazione scientifica, qual’è la voce che sentiamo? Quella della scienza o quella delle industrie che la sostengono?)

Innegabilmente, ogni direttore riflette anche la politica ambientale del presidente che lo nomina, e quindi la maggiore o minore propensione a mettere l’ambiente prima o dopo gli interessi economici e del mondo delle grandi aziende. Il primo dei quindici direttori EPA è il repubblicano William Doyle Ruckelshaus, avvocato e funzionario pubblico. Già tre anni dopo, Ruckelshaus viene spostato da Nixon alla direzione dell’FBI e subito dopo nominato US Deputy Attorney General durante lo scandalo Watergate. Rifiutatosi di compiacere il presidente nella gestione del caso, Ruckelshaus si dimette. 

Sotto Ruckelshaus, l’EPA approva subito il primo Clean Air Act, poi rivisto nel 1990, e nel 1972 mette al bando il DDT, utilizzato ampiamente da fine anni ‘30 e considerato utilissimo per la sua efficace azione contro diversi insetti nocivi, la zanzara della malaria e i pidocchi portatori della febbre tifoide in primis. In Italia, per dire, il DDT è il grande protagonista dei piani di eradicazione della malaria nel secondo dopoguerra. Con l’emergere di diversi studi che ne dimostrano i danni per la salute umana, però, il suo destino è segnato.

Un percorso a ostacoli

Negli anni successivi EPA approva una serie di atti storici: nel 1976 è la volta del Toxic Substances Control Act, prima legge strutturata di controllo delle sostanze nocive. L’Act, poi aggiornato nel 2016 dal Frank R. Lautenberg Chemical Safety for the 21st Century Act firmato dal presidente Barack Obama, si occupa della produzione, importazione, uso e rimozione di una serie di prodotti chimici dai PCBs, i policlorobifenili, all’amianto, dal radon a diverse sostanze contenenti piombo, e detta le norme per l’approvazione e la messa in commercio di nuove sostanze e formulazioni chimiche. 

Nel 1983 l’EPA vive un primo vero e proprio momento di crisi e di credibilità per la pessima gestione del programma Superfund, il nome con cui è conosciuto il Comprehensive Environmental Response, Compensation, and Liability Act del 1980. 

Il Superfund è un meccanismo voluto dal congresso americano per risolvere situazioni di grave inquinamento ambientale dove sia difficile individuare i responsabili e farli pagare per il risanamento e i danni. Il Superfund non si occupa solo di ripulire, ma stabilisce anche misure di controllo come i limiti di rilascio in ambiente di una serie di sostanze e le restrizioni da applicare a protezione delle falde acquifere. 

I fondi per operare dovevano essere ottenuti attraverso un sistema di tassazione delle imprese inquinanti. In realtà, negli anni e a seconda delle amministrazioni, il meccanismo è stato più volte modificato, finendo con il raccogliere questi fondi direttamente dai cittadini attraverso il normale prelievo fiscale federale. In altre parole, non pagano gli inquinatori ma tutti i cittadini, anche quelli che dell’inquinamento subiscono le conseguenze. Un dato su tutti, però, è la costante insufficienza di fondi utili a raggiungere gli obiettivi. Utilizzando un sistema di ranking, infatti, EPA stabilisce una lista delle priorità di intervento ma a seconda degli anni sono sempre troppi i siti su cui poi, per mancanza di risorse, non si riesce a intervenire. 

Un anno dopo la creazione del Superfund, il presidente Ronald Reagan nominò Anne Gorsuch Burford a capo di EPA, prima donna ad arrivare alla direzione. Convinta che l’agenzia dovesse essere più snella e meno vincolante delle politiche dei singoli stati, Burford tagliò il budget dell’EPA di oltre un quinto, ridusse molte delle cause contro aziende inquinanti e assunse personale dalle aziende stesse. Una prassi che ritroveremo applicata nel corso di questi ultimi anni. Ma sul programma Superfund Burford finì sotto inchiesta davanti al congresso, accusata di mala gestione dei fondi.

Non sono in pochi i commentatori nei media e nelle organizzazioni americane che ravvisano nell’epoca Burford tutti gli elementi che si ritroveranno poi anche con la gestione recente di Pruitt e Wheeler. A partire dal fatto che l’Agenzia ha perso entusiasmo, coerenza, spirito. Si parla così di una situazione di scoraggiamento anche per i lavoratori di EPA, una forma di avvilimento interno che si riflette naturalmente anche nel calo di reputazione e di fiducia da parte del pubblico. Per rimediare al danno, Reagan si trovò a nominare nuovamente Ruckelshaus, che pur essendo un repubblicano conservatore aveva una visione molto chiara del suo mandato, ben riassunta in una bella intervista rilasciata anni dopo e disponibile sul sito EPA: "All'EPA, lavori per una causa che va al di là dell'interesse personale e ha obiettivi più ambiziosi di quelli che le persone normalmente si pongono. Non sei lì per i soldi, sei lì per qualcosa che va ben al di là di te stesso."

 

At EPA, you work for a cause that is beyond self-interest and larger than the goals people normally pursue. You're not there for the money, you're there for something beyond yourself.

Nel corso degli anni EPA ha dovuto fronteggiare non pochi assalti. Negli anni ‘90 ci sono stati i tentativi da parte delle industrie del tabacco di impedire l’uso dei dati scientifici per approvare legislazioni contro il fumo e l’esposizione a fumo passivo. Un tentativo che è in larga parte andato a vuoto.

A 50 anni dalla nascita, il bilancio di EPA è comunque importante: nel 1972 è approvato il Clean Water Act seguito poi anni dopo dal Safe drinking water act e da una lunga lista di leggi che normano diversi aspetti della salute ambientale, che regolamentano i limiti di rilascio ambientale di tutta una serie di sostanze e che stabiliscono i criteri e requisiti per ottenere contratti pubblici e per realizzare progetti da parte delle aziende del settore chimico, trasporti, energia e tutte quelle la cui attività può avere un impatto ambientale. Del 1978 è la messa al bando dei CFC, i clorofluorocarburi che hanno contribuito alla formazione del buco dell’ozono. Dei primi anni ‘80 sono le leggi che regolamentano la gestione delle scorie nucleari e l’inizio del monitoraggio dell’amianto negli edifici pubblici, la gestione dei rifiuti solidi urbani e le prime limitazioni all’uso di piombo nella benzina. Del 1987 è la firma del protocollo di Montreal, uno sforzo internazionale che mira a ridurre il buco dell’ozono, e del 1988 l’inizio del programma di controllo del radon. Negli anni ‘90 ci sono le leggi sulla gestione e riduzione delle piogge acide e quelle sulla prevenzione dell’inquinamento. Ci sono anche molteplici programmi di ricerca e altri di educazione e comunicazione pubblica, per spingere sulla prevenzione e non solo sulla riduzione del danno o la gestione dell’inquinamento. 

La storia è molto lunga e a fasi alterne di sprint e di rallentamento, che riflettono appunto anche le vicende politiche sia domestiche che internazionali. Nel corso dell’amministrazione Obama si comincia a lavorare in modo piuttosto determinato anche sui temi del cambiamento climatico. Ma poi nel 2016 vince Donald Trump, che preme sul freno come mai nessuno prima di lui. 

Quando le industrie riprendono le redini del gioco

Appena insediato nel 2017, Trump tenta subito di disporre un taglio dei finanziamenti del 30% all’Agenzia, per un totale di circa 3 miliardi di dollari, dal budget previsto per l’anno successivo. Il congresso non approva ma Trump non desiste e la proposta di tagli consistenti si ripete, anno dopo anno rimanendo sullo stesso ordine di grandezza.

Parallelamente con l’ordinanza esecutiva di fine marzo 2017 dal titolo “Promoting Energy Independence and Economic Growth”, Trump elimina gli ostacoli all’impiego delle fonti di energia domestica e smantella il Piano per le energie pulite, il Clean Power Plan, promosso da Obama, revocando ben sei memorandum e ordini esecutivi presidenziali che andavano nella direzione di attuare politiche di contrasto alla crisi climatica.  

La sua politica ambientale è esplicitata via Twitter, come d’abitudine.

I am committed to keeping our air and water clean but always remember that economic growth enhances environmental protection. Jobs matter! Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 22 aprile 2017

Ma è la nomina di Scott Pruitt alla direzione di EPA che rende immediatamente applicabile, anche sul piano pratico, questa politica. Noto negazionista sul clima, Pruitt è un lobbista da sempre vicino alle grandi corporation americane. Appena nominato, Pruit si attiva per presentare un’agenda di lavoro successivamente convertita in memorandum intitolata “Back-to-basic” imperniata sui principi cardine di protezione dell’ambiente ma con leggi sufficientemente flessibili per non limitare la crescita economica.

Nei diciotto mesi in cui ha diretto l’EPA, Scott Pruitt non si è fatto mancare nulla secondo quanto hanno riportato sia i media che diverse organizzazioni scientifiche (qui e qui, per esempio): gestione allegra dei fondi; superamento dei limiti di spesa per motivi futili e personali; favoreggiamento con ricompense in denaro del personale compiacente e taglieggiamento e riduzione degli stipendi ai ricercatori e tecnici critici delle sue posizioni; incontri segreti con esponenti di aziende e lobby industriali e via dicendo. Apertamente criticato perfino da rappresentanti dell’industria e dell’esercito per le sue dichiarazioni negazioniste sul ruolo della CO2 sul cambiamento climatico, Pruitt ha dovuto lasciare l’agenzia nel 2018. Mai apertamente condannato da Trump, Pruitt è sostituito dal suo vice, Andrew Wheeler. 

Nessun miglioramento per le politiche ambientali, anzi. Wheeler, meno roboante nelle sue manifestazioni pubbliche, si rivela una vera e propria macchina da guerra. Lo racconta la rivista Slate in un profilo piuttosto dettagliato e lo testimoniano diversi esponenti politici, del mondo industriale e militare americano in un documento raccolto dal gruppo di minoranza del Comitato del Senato americano sull’ambiente e i lavori pubblici. Proveniendo anch’egli dall’ambiente dei lobbisti pro energia fossile, Wheeler ha proseguito a smantellare, revisionare e ridurre sistematicamente le politiche ambientali in piena continuità con il suo predecessore. 

A fine 2019, alla presentazione del rapporto annuale sui dati EPA, come abbiamo detto in apertura, Wheeler commenta con enorme soddisfazione il lavoro compiuto.

Le ultime mosse di Trump

“Circa un quarto di secolo fa” apriva il New York Times in un articolo a firma della corrispondente specializzata in clima e ambiente Lisa Friedman il 4 gennaio scorso, “un gruppo di aziende del tabacco ha messo a punto un piano per creare degli ostacoli procedurali all’EPA prima di poter utilizzare la scienza per valutare l’impatto del fumo.” 

Friedman si riferisce a una storia molto nota, emersa solo a inizio degli anni 2000, che dimostra la volontà e la forte azione di lobby politica, solo in parte riuscita, da parte delle industrie del tabacco per minare la valutazione del rischio sul fumo passivo avviata nel 1993 da EPA. 

Il 29 dicembre 2020 il direttore Wheeler ha siglato l’approvazione di un nuovo regolamento, dal titolo ammiccante che si traduce più o meno così: “Rafforzare la trasparenza nella scienza da utilizzare per fare le leggi e per informare”. Il punto chiave, sostengono molti scienziati, ricercatori, esperti di diritto ambientale e diverse organizzazioni attive sui temi di ambiente e salute, è che Trump e il direttore Wheeler sono riusciti lì dove le aziende del tabacco hanno fatto più fatica. Nel decidere quali siano i criteri ‘scientifici’ da adottare quando si legifera in materia ambientale, escludendo la possibilità di utilizzare tutti i dati disponibili che ad esempio dimostrano l’impatto di una certa dose di inquinante sulla salute. Il regolamento dice infatti che sono ammissibili solo i dati interamente disponibili e pubblici. Il fatto è che tutti gli studi di popolazione, fatti su database raccolti su migliaia di pazienti, sono ovviamente, per ragioni di privacy, coperti da sistemi di anonimizzazione e quindi non possono essere appunto interamente di pubblico dominio. Per questa ragione, questi studi fondamentali per provare le cause di certe patologie ambientali, verrebbero esclusi impedendo dunque di avere indicazioni precise sulle dosi e le quantità di inquinanti dannosi.

Il regolamento fa parte di una serie di mosse dell’amministrazione Trump per indebolire la capacità di EPA di mettere vincoli e limiti alle attività industriali. Secondo quanto pubblicato dal New York Times a ottobre scorso in base a studi pubblicati dalle Università di Harvard e dalla Columbia University, la gestione EPA di Pruitt prima e di Wheeler poi, ha invalidato, ridotto e minimizzato quasi un centinaio di leggi e riforme ambientali. Il regolamento appena approvato era una delle ultime ancora in gestazione.

Nell’insieme, EPA ha ridotto le restrizioni sulle emissioni di gas climalteranti e di mercurio dagli impianti; ha rimosso la protezione di più della metà delle zone umide del paese, prima definite siti ad alto tasso di fragilità; ha eliminato la restrizione delle emissioni del traffico; ha consentito un ampliamento dello sfruttamento delle fonti di petrolio e gas; ha ridotto la protezione della biodiversità naturale e ridotto i requisiti di rispetto all’ambiente per i progetti pubblici e privati sul territorio. 

E ora, appunto, che si fa?

L’amministrazione Trump sembra, nonostante gli avvenimenti disturbanti dei giorni scorsi, giungere alla fine. Joe Biden che entrerà in carica il 20 gennaio prossimo ha già indicato il suo candidato alla guida dell’EPA, Michael S. Regan, esperto di diritto ambientale, laureato in geologia e scienze ambientali e con un master in amministrazione pubblica, attualmente capo del Dipartimento per la qualità dell’ambiente del North Carolina. Regan, primo direttore non bianco, è piuttosto giovane (ha 44 anni) e ha senz’altro meno esperienza di gestione politica rispetto a molti direttori del passato. 

Regan, secondo diversi media americani, rappresenta però un deciso cambiamento di direzione rispetto ai suoi due predecessori voluto da Biden. Ha sempre lavorato con determinazione per portare avanti politiche di contrasto alla crisi climatica e di risoluzione delle situazioni critiche di inquinamento determinate dagli impianti industriali. È già stato in passato impiegato a EPA, quindi conosce l’agenzia e la sua organizzazione e non è legato direttamente al mondo delle grandi corporations. Ha dimostrato una forte capacità negoziale in situazioni di crisi ambientale recenti e ha una grande attenzione alle fasce di popolazione che vivono in condizioni di marginalità spesso coincidenti con situazioni critiche anche sotto il profilo della qualità ambientale. 

Dopo aver incontrato Regan nei giorni scorsi, Tom Carper, senatore democratico che sarà a capo del Comitato su Ambiente e Lavori pubblici nel prossimo congresso, si è detto molto fiducioso. Carper ha però anche riconosciuto che il ruolo di Regan sarà tutt’altro che facile (a monumental task) perché è difficile immaginare un momento peggiore di adesso per prendere le redini di EPA. «Ci vorrà una quantità immensa di lavoro duro e dedizione» ha concluso, «di visione e di cuore per ricostruire questa agenzia.»

Riuscirà Regan a vincere questa scommessa e a riportare EPA sul percorso che dovrebbe esserle proprio? Questa è una domanda a cui potremo rispondere solo nei prossimi mesi e anni. 

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