SCIENZA E RICERCA

Castori alla conquista dell’Artico e permafrost sotto attacco

In Alaska sono arrivati dei nuovi colonizzatori, e non parliamo di cercatori d’oro o compagnie petrolifere: sono animali con incisivi poderosi e un talento inaspettato per l’ingegneria idraulica, i castori. Negli ultimi decenni questa specie ha iniziato a diffondersi nella tundra artica, un ambiente che un tempo le era ostile, ma che oggi il riscaldamento globale ha reso più accessibile per loro.

Il castoro è un animale piuttosto carismatico, e saperlo così attivo può far piacere, ma bisogna anche considerare che il suo arrivo in queste zone produce trasformazioni ambientali che possono incidere sulla vita di intere popolazioni, anche ben distanti da questi territori, perché con le loro dighe modificano i corsi d’acqua, creano stagni e, senza volerlo, accelerano lo scioglimento del permafrost, il che, come vedremo, può portare problemi a livello globale.

Un recente studio pubblicato su Environmental Research Letters ha ricostruito nel dettaglio la conquista delle zone artiche da parte dei castori, e vogliamo riflettere su come una sola specie possa cambiare il destino di un intero ecosistema.

Come si studia l’espansione dei castori

Raccontare la diffusione dei castori nella tundra non è un’impresa semplice, perché non sono animali che si lasciano contare con facilità: vivono in zone remote, si muovono soprattutto al crepuscolo e lasciano tracce che, a uno sguardo superficiale, possono sembrare indistinguibili dai segni lasciati da un normale processo naturale. Per questo i ricercatori hanno dovuto adottare una strategia metodologica capace di integrare diverse fonti, dalle immagini satellitari alle fotografie aeree storiche, fino alle osservazioni sul campo.

Per studiare i cambiamenti dal 1949 al 2019 il primo passo è stato quello di analizzare le fotografie aeree scattate a metà del Novecento. Negli anni Quaranta e Cinquanta queste immagini venivano prodotte soprattutto per scopi cartografici e militari, senza sapere che un giorno sarebbero servite a studiare l’avanzata dei castori, eppure proprio queste fonti hanno permesso di avere un “prima” con cui confrontare la situazione attuale. A distanza di decenni, i ricercatori hanno potuto misurare la comparsa di nuovi stagni e valutare quanto di quel cambiamento fosse attribuibile all’attività dei castori.

Il secondo passo ha riguardato l’uso delle moderne immagini satellitari. Grazie a risoluzioni sempre più dettagliate, è stato possibile distinguere gli stagni naturali da quelli creati artificialmente da denti pazienti, e non è un compito banale: un piccolo specchio d’acqua apparso in una valle può essere il risultato di un processo idrologico spontaneo o il frutto della tenacia di un castoro. Per evitare errori di interpretazione, i ricercatori hanno integrato i dati satellitari con sopralluoghi sul campo per poter confermare la presenza di dighe, tane e altri segni caratteristici della presenza dei roditori.

Naturalmente non tutto può essere osservato con precisione: le aree artiche sono immense e difficili da raggiungere, molte zone restano coperte di neve per buona parte dell’anno, e i cambiamenti idrologici possono avere cause multiple. È qui che emergono i limiti dello studio: non tutti gli stagni osservati possono essere attribuiti con certezza al lavoro dei castori, perlomeno non come fattore esclusivo, e i dati satellitari, per quanto dettagliati, non riescono a catturare l’intera complessità ecologica. Gli stessi autori riconoscono che una parte dell’interpretazione resta basata su modelli e probabilità.

Castori e cambiamento climatico

I dati ricavati da questo lavoro mostrano che dal 1949 a oggi i laghetti artificiali creati dai castori hanno conosciuto un aumento esponenziale in alcune aree dell’Alaska: se negli anni Cinquanta erano poco più di un’anomalia, oggi se ne contano centinaia. I ricercatori hanno potuto ricostruire questa colonizzazione e confrontarla con i dati climatici, e i risultati vanno in una direzione precisa: si è scoperto che a un clima più caldo corrisponde una più rapida espansione dei castori, e questo era prevedibile, visto che con l’aumento delle temperature la tundra diventa per loro un ambiente più ospitale, ma c’è di più, perché parallelamente il loro arrivo può portare a una più rapida degradazione del permafrost (lo strato di terreno che rimane congelato), perché i loro stagni trattengono acqua durante tutto l’anno. L’acqua ha una capacità termica elevata e mantiene il terreno più caldo rispetto al suolo asciutto o coperto da neve, e quando i bacini creati dalle dighe sommergono aree di tundra, il calore accumulato in estate continua a penetrare nel terreno anche in inverno, favorendo il disgelo degli strati ghiacciati profondi.

Quali possono essere le conseguenze? Volendo limitarsi solo a quelle climatiche, la posta in gioco è elevata: nei rapporti IPCC e negli studi di riferimento (ad esempio questo articolo su Nature e i dati più recenti dell’Arctic Report Card di NOAA) si stima che il permafrost artico contenga circa 1.400–1.600 miliardi di tonnellate di carbonio organico. Per fare un confronto, l’atmosfera attuale contiene circa 850 miliardi di tonnellate di carbonio sotto forma di CO₂, quindi nel permafrost artico è intrappolata da millenni una quantità di carbonio stimata come doppia rispetto a quella attualmente presente in atmosfera. Se questo serbatoio dovesse liberarsi più velocemente, il riscaldamento globale subirebbe un’accelerazione, che potrebbe anche attirare più castori nelle stesse aree avviando un circolo vizioso in cui causa ed effetto si rincorrono: più caldo significa più castori, più castori significano più stagni e quindi uno scioglimento più rapido, e così via.

Per spezzare una lancia a favore dei carismatici roditori, ricordiamo che non sono certo loro i principali responsabili della situazione, perché i cambiamenti climatici dipendono soprattutto dalle emissioni di origine antropica, ma il loro contributo locale dovrebbe essere indagato con attenzione.
Da sempre gli esseri viventi hanno modificato il loro habitat: i castori con le dighe, gli esseri umani con città e infrastrutture. Nell’Artico, però, dove un lieve squilibrio può innescare processi irreversibili, persino le opere idrauliche di un roditore assumono rilevanza.
Studiare l’espansione dei castori significa quindi osservare in diretta un laboratorio naturale di cambiamento ambientale che dimostra quanto gli ecosistemi siano interconnessi e vulnerabili.


Castori in tribunale

Non è semplice stabilire quanto la creazione di un nuovo stagno sia “colpa” di un castoro e quanto sia invece l’effetto del disgelo naturale dovuto all’aumento delle temperature.
Per affrontare queste criticità, gli autori hanno sviluppato un protocollo rigoroso: ogni nuovo stagno individuato è stato classificato sulla base di caratteristiche morfologiche e della vicinanza a zone già popolate dai castori e in molti casi le osservazioni satellitari sono state corroborate da visite dirette. È un po’ come fare un’indagine di polizia ecologica: l’arma del delitto è la diga, i sospettati sono i castori, e gli indizi vengono raccolti da immagini scattate a chilometri di distanza nello spazio, per poi verificare andando sul posto, quando possibile.

Questo approccio ha consentito di costruire una mappa dettagliata della diffusione dei castori nella tundra dell’Alaska occidentale. I dati mostrano che, rispetto alle prime fotografie aeree del 1949, il numero di stagni creati dai castori è aumentato moltissimo: in alcune aree della tundra costiera non se ne osservava nemmeno uno negli anni Quaranta, mentre nel 2019 se ne contavano oltre 100. Nelle zone per cui sono disponibili confronti diretti tra i primi anni Duemila (2003-2006) e il periodo più recente (2018-2019), il numero di stagni è raddoppiato, passando da circa 1.200 a oltre 2.300.

L’uso combinato di fonti storiche, tecnologia satellitare e osservazioni dirette ha permesso di disegnare un quadro convincente, ma non definitivo. Lo studio stesso sottolinea la necessità di ulteriori ricerche, soprattutto per valutare la velocità con cui i castori possono espandersi in altre aree artiche e per comprendere meglio l’interazione tra fattori climatici e biologici. In altre parole, la “detective story” è appena iniziata.

Risultati e proiezioni: quale sarà il paesaggio artico

Dallo studio emerge insomma che i castori stanno ridisegnando la tundra, e lo possiamo vedere direttamente dallo spazio: le dighe costruite a colpi di denti e pazienza hanno dato origine a una costellazione di stagni artificiali che, sommati a quelli naturali, hanno trasformato la mappa idrologica dell’Alaska occidentale: tra gli anni Cinquanta e oggi, in alcune regioni il numero di specchi d’acqua è aumentato di oltre il 100%. 

I modelli mostrano che il processo è destinato a intensificarsi. Con inverni sempre più brevi e temperature medie in crescita, l’areale potenziale dei castori si allarga verso nord, e alcune simulazioni ipotizzano che nei prossimi decenni la colonizzazione possa raggiungere zone oggi ancora marginali, aprendo scenari in cui la tundra si trasformi progressivamente in un mosaico di stagni e laghi artificiali, con buona pace delle renne, che dipendono da vaste distese di licheni e vegetazione erbacea, spesso sommerse dai nuovi specchi d’acqua.

Solo da questo esempio si comprende come gli effetti a cascata sugli ecosistemi locali potrebbero essere pesanti: la creazione di stagni modifica la composizione delle comunità erbivore e favorisce l’insediamento di alcune specie acquatiche e anfibie. Gli uccelli acquatici trovano nuovi habitat, mentre animali come i caribù si troveranno costretti a deviare le proprie rotte migratorie. Insomma, per qualcuno il castoro è un benefattore, per altri un inquilino così invadente da trovarsi nella necessità di andarsene da tutt’altra parte.

I limiti dei modelli

Naturalmente esistono limiti nelle proiezioni: i modelli non riescono a prevedere con precisione il comportamento dei castori, che non seguono algoritmi ma istinti e opportunità, e anche il destino del permafrost è influenzato da molte variabili, come la composizione del suolo, la profondità dello strato ghiacciato, le precipitazioni. Questi margini di incertezza non sminuiscono i risultati, ma ricordano che la scienza procede per gradi, affinando le stime man mano che nuove evidenze diventano disponibili.

Alcuni ricercatori sottolineano che in zone più temperate l’attività dei castori è spesso considerata positiva, anche se non priva di criticità, ma nell’Artico questo arricchimento locale si accompagna a un fenomeno assente in altre zone, cioè lo scongelamento del permafrost e la scomparsa di vaste aree erbose fondamentali per altri animali.

Una situazione già compromessa

Questo e altri studi ci ricordano che il cambiamento climatico è un fenomeno che coinvolge l’intero pianeta, di cui anche animali diversi dall’uomo possono diventare protagonisti inattesi. L’espansione dei castori è un laboratorio naturale che mostra quanto sia complesso l’intreccio tra biologia e clima, quanto siano fragili gli equilibri dell’Artico (e non solo) e quanto le azioni di una singola specie possano avere effetti sproporzionati anche su molte altre.

I castori non hanno colpe né meriti consapevoli: continuano a fare ciò che hanno sempre fatto, cioè costruire dighe per sopravvivere. La differenza è che oggi lo fanno in un mondo in rapido mutamento, in cui gli equilibri ecologici si stanno ricalibrando e dove ogni intervento sugli ecosistemi si inserisce in un contesto globale di crescente vulnerabilità.

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