Zohran Mamdani, l’anti-Trump ha conquistato New York
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Un indiano a New York, come sindaco, non s’era mai visto. Ma l’elezione di Zohran Mamdani, 34 anni, nato in Uganda da genitori indiani appunto, arrivato negli Stati Uniti quando aveva 7 anni, musulmano, pro-Pal, esplicitamente critico verso le azioni recenti del governo israeliano, rappresenta senza dubbio un momento cruciale nell’evoluzione della politica americana, che sta vivendo una delle stagioni più polarizzate della sua storia. «Nessun newyorkese dovrebbe mai essere escluso da tutto ciò di cui ha bisogno per sopravvivere», ha ripetuto Mamdani, come un mantra durante la sua campagna elettorale, tracciando così un solco rispetto alle politiche imposte dalla Casa Bianca. Difatti i repubblicani, a partire da Donald Trump, lo considerano un pericoloso radicale, «un pazzo comunista», come l’ha definito in più occasioni il presidente in persona, che non vede l’ora di sigillare l’immagine del Partito Democratico con un “pericoloso estremista”. Ma la sua candidatura ha spaccato in due anche gli stessi Democratici: c’è chi lo considera uno spiraglio di speranza (come il “padre nobile” della sinistra americana Bernie Sanders e la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, mentre l’ex presidente Obama l’ha chiamato per esprimergli “ammirazione” ), mentre per molti altri è “troppo socialista”, il che potrebbe comportare il rischio di alienarsi in futuro i voti dei progressisti più moderati. Eppure proprio il “metodo Mamdani”, con quei messaggi efficaci e i contenuti virali online, potrebbe tracciare un binario per i Democratici, e rivelarsi la chiave vincente per conquistare gli elettori giovani e scontenti in vista delle elezioni di medio termine del 2026. Anche perché, di questi tempi, una vittoria per i Dem non è cosa da poco.
Affitti bloccati, bus gratuiti
La sua elezione come 111° sindaco di New York non è stata una sorpresa dell’ultim’ora: s’era già capito a giugno quando aveva battuto, alle primarie democratiche, l’ex governatore Andrew Cuomo (che dopo le dimissioni del 2021, perché accusato di molestie sessuali, si è ostinato a correre come indipendente tentando di screditare in ogni modo il rivale) e il sindaco uscente Eric Adams; mentre il candidato repubblicano, Curtis Sliwa, non era certo un peso massimo. Mamdani è stato invece capace di riaccendere l’entusiasmo degli elettori più giovani, e di sinistra, proponendo un’agenda politica inaudita: congelare gli affitti per gli appartamenti a canone stabilizzato, rendere gratuiti gli autobus urbani e fornire assistenza gratuita all’infanzia gratuita per tutti i bambini di New York City di età compresa tra le 6 settimane e i 5 anni. Programmi che verrebbero finanziati aumentando le tasse sulle società e sui ricchi: e proprio per questo, secondo un recente sondaggio, quasi un milione di ricchi newyorkesi starebbe valutando l’ipotesi di trasferirsi in Connecticut o in Florida. Mamdani è già un record: primo sindaco musulmano di New York, primo indiano-americano, primo millennial (non il più giovane: nel 1889 Hugh J. Grant aveva 31 anni). Ed è già uno dei bersagli preferiti di Trump, che alla vigilia del voto aveva non soltanto invitato i repubblicani a votare Cuomo, individuato come il male minore («Che vi piaccia o meno non avete scelta: dovete votare per lui»), ma aveva anche minacciato di tagliare i fondi federali per lo stato di New York: «Se il candidato comunista Zohran Mamdani vince le elezioni per il sindaco di New York City, è altamente improbabile che contribuirò con fondi federali, oltre al minimo richiesto, alla mia amata prima casa, a causa del fatto che, come comunista, questa città una volta grande ha ZERO possibilità di successo, o addirittura di sopravvivere», aveva scritto in un post su Truth. «È mia ferma convinzione che New York City sarà un disastro economico e sociale completo se Mamdani dovesse vincere». Il nuovo sindaco ha festeggiato davanti ai suoi elettori: «Se qualcuno può mostrare a una nazione tradita da Trump come sconfiggerlo, questa è la città dove è nato». E poi, rivolgendosi direttamente al presidente, in plateale segno di sfida: «Donald Trump, so che stai ascoltando. Ho quattro parole per te: turn the volume up (alza il volume)».
Vittorie dem in New Jersey e Virginia
Non una gran giornata per i Repubblicani, in quella che i media americani presentavano come il primo vero test elettorale dalla rielezione di Donald Trump: oltre al primo cittadino di New York gli elettori erano chiamati a scegliere i governatori in New Jersey e Virginia, con le due candidate democratiche (Mikie Sherrill, avvocata ed ex pilota di elicotteri della Marina, e Abigail Spanberger, ex deputata e funzionaria antiterrorismo della Cia) che hanno confermato al voto il vantaggio che avevano nei sondaggi. Sherril, nel suo discorso di vittoria, ha pronunciato parole chiare che tracciano ancor più profondamente il solco che separa gli Stati Uniti dal trumpismo: «Noi qui nel New Jersey siamo impegnati a combattere per un futuro diverso per i nostri figli. Vediamo quanto è importante la libertà. E sappiamo che nessuno nel nostro grande Stato è al sicuro quando i nostri vicini sono presi di mira, ignorando la legge e la Costituzione». Insomma, una pessima giornata per Trump, con le elezioni che sono arrivate in coincidenza con il 35° giorno di “shutdown” (il Congresso è bloccato perché non riesce ad approvare un bilancio per finanziare le attività governative), che da oggi è dunque il più lungo della storia americana. In un editoriale pubblicato sul Guardian Bernie Sanders ha spiegato perché i Democratici non dovrebbero cedere a Donald Trump: «Abbiamo un presidente megalomane che, consumato dalla sua smania di potere, sta minando la nostra costituzione e lo Stato di diritto. Inoltre, abbiamo un'amministrazione che sta conducendo una guerra contro la classe operaia del nostro paese e la nostra gente più vulnerabile. Questo potrebbe essere il momento più importante nella storia americana dopo la guerra civile».
Tornando a Mamdani e alla sua clamorosa vittoria: come ha fatto un ragazzo quasi completamente sconosciuto e privo di background politico a passare dall’1% delle preferenze, registrato a febbraio 2025, al 56% di luglio, fino al 50% dei voti conquistati ieri (il dato è ancora parziale)? A sbaragliare apparati e confraternite, a conquistare la fiducia di chi non ne aveva più da regalare alla politica e perfino di alcune parti delle lobby più influenti? Anzitutto la “sostanza” delle sue proposte, che dovrebbe tornare a essere un “credo” per le sinistre tutte: sostenere politiche governative che forniscano concreti benefici sociali. Poi l’impeccabile utilizzo dei social network: Mamdani è riuscito a raggiungere e a parlare ai giovani di diverse etnie (si stima che a New York si parlino 800 lingue) proprio attraverso video online, che per molti ragazzi è l’unico veicolo attraverso cui passa l’informazione. E Mamdani parla correntemente sia hindi che urdu, una padronanza che gli ha permesso di estendere la sua voce agli elettori attraverso i video sui social media (probabile che sua mamma, Mira Nair, regista nota per film come “Salaam Bombay!”, “Monsoon Wedding”, Leone d’oro a Venezia nel 2001, e “Mississippi Masala”, gli abbia dato qualche prezioso suggerimento). In alcuni video ha anche parlato in bengalese, per “avvicinare” i giovani originari dell’Asia meridionale, che vivono in affitto e che non credevano che qualche politico potesse avere a cuore le loro difficoltà economiche. Ha fatto sentire inclusi gli esclusi. Ha parlato agli emarginati, un gesto quasi eversivo nella politica di questi ultimi anni, e non soltanto negli Stati Uniti. «I suoi video sono passati da Instagram alle chat di famiglia, innescando conversazioni più approfondite sulle aspirazioni per la nostra città», ha commentato Soniya Munshi, professoressa associata al Queens College, specializzata in studi urbani e sulla comunità asiatica americana. «L’importanza dei video di Mamdani in hindi/urdu e bengalese sono stati di grande impatto in queste comunità che hanno spesso livelli di conoscenza limitata dell’inglese, con tassi di povertà che sono tra i più alti tra tutti i gruppi di immigrati a New York». Ed è così che ha ottenuto il forte sostegno da parte delle comunità asiatiche americane, nere e latine. Accendendo gli entusiasmi, scaldando i cuori di chi si ostina a credere che la politica può e deve migliorare le condizioni di vita, anche dei meno agiati.
Trump sprofonda nell’indice di approvazione
L’elezione di Zohran Mamdani, sia che lo si consideri un pericoloso radicale, sia un primo tassello per un futuro, possibile cambiamento, non diminuirà nel breve termine la profonda polarizzazione della politica americana, che come sempre è chiamata a rispondere a una domanda di fondo: che tipo di società vogliamo costruire, in termini di identità, di cultura, di economia, di politica estera? Donald Trump non sembra avere alcun dubbio, anche se l’indice di approvazione nei suoi confronti continua a diminuire, con l’Economist che la settimana scorsa ha registrato un meno 18% di gradimento, il più basso mai registrato: «Trump ha messo in moto una drammatica trasformazione del governo americano», scrive il settimanale britannico. «In gran parte ricorrendo ai decreti esecutivi, ha rimodellato gli accordi commerciali, il sistema di immigrazione, la forza lavoro e la politica estera. Ha anche usato il suo pulpito prepotente, anche utilizzando il Dipartimento di Giustizia, per attaccare le università, la professione legale, la stampa e varie imprese. Il nostro tracker mostra che gli americani, in generale, disapprovano. Gli americani non sono soltanto delusi dalla gestione di Trump di questioni quotidiane come l’inflazione e l’economia: a loro non piace nemmeno il modo in cui affronta questioni che erano centrali per il suo fascino, come l’immigrazione e la criminalità». Uno degli ultimi casi che ha scatenato polemiche riguarda gli attacchi contro le imbarcazioni di spacciatori (presunti: nessuna prova oggettiva è stata mai fornita dall’esercito americano) al largo delle coste del Venezuela, con almeno 61 persone uccise in 14 distinte azioni militari. E Trump, di fronte a una domanda sul perché non avesse chiesto al Congresso l’autorizzazione per condurre un’operazione militare contro il Venezuela, ha risposto così, dimostrando un’assoluta incuranza della grammatica costituzionale: «Non credo che dovremmo chiedere una dichiarazione di guerra: penso che stiamo solo uccidendo le persone che stanno portando droga nel nostro paese». Perfino un ex deputato repubblicano del Michigan, Justin Amash, è stato esplicito nelle sue critiche: «La Costituzione non consente a un presidente di agire come legislatore e magistratura oltre ad essere il capo dell’esecutivo», ha scritto Amash su X. «Se è guerra, deve andare al Congresso. Se si tratta di un crimine, deve andare in tribunale. Quando non c’è un pericolo imminente, non c’è giustificazione per gli attacchi unilaterali».