Official White House Photo by Joyce N. Boghosian
Donald Trump non se la sta passando molto bene in questi giorni: diverse sfide stanno mettendo a dura prova sia il presente che il futuro del suo mandato. Sono tre i problemi che si sono posti di fronte al tycoon: l’impeachment sul caso Ucrainagate, la candidatura di Micheal Bloomberg e in generale le presidenziali del 2020 e il pagamento di 2 milioni di dollari in beneficenza per aver utilizzato fondi destinati alla Trump Foundation per finanziare la campagna elettorale del 2016.
Il 13 novembre inizieranno le audizioni pubbliche per la procedura di impeachment, che proseguiranno poi anche nella giornata di venerdì 15. I media americani hanno già ipotizzato come verranno gestite le varie interrogazioni: i Repubblicani cercheranno di confondere le acque, creando una narrazione plausibili degli eventi, per proteggere il presidente da qualsiasi attacco politico. I Democratici, dalla loro parte, avranno bisogno di dimostrare l’abuso di potere e la corruzione che stanno dietro alle mosse di Trump, attraverso la voce di esponenti del mondo politico e militare americano.
I primi tre nomi in lista per i Dem sono William B. Taylor Jr, l’ambasciatore americano in Ucraina nominato lo scorso giugno, e George Kent, alto funzionario del dipartimento di Stato, e Marie Yovanovitch, ex ambasciatrice a Kiev. I Repubblicani hanno chiesto di poter interrogare la “talpa” del Kievgate, un ufficiale della Cia che, dopo la telefonata tra Trump e il presidente ucraino, ha esposto il richiamo ufficiale. Per il presidente della Commissione Intelligence della Camera, Adam Schiff, la richiesta non può essere accettata, sia per la quantità sufficiente di prove contro il presidente Usa, sia per questioni di sicurezza della stessa “talpa”. Ad aggiungersi, quindi, alla lista dei testimoni per i Rep c’è Hunter Biden, figlio dell’ex vicepresidente Joe e uno dei protagonisti del Kievgate; Alexandra Chalupa, membro ucraino-americano dello staff del Comitato nazionale democratico, Nellie Ohr, ricercatrice che ha firmato un dossier anti Trump, e Devon Archer, ex socio di Biden.
LEGGI ANCHE
L’amministrazione Trump, oltre all’impeachment, deve prepararsi per le prossime elezioni presidenziali. L’ultimo a scendere in campo per i democratici è Micheal Bloomberg, ex sindaco di New York per tre mandati, che sta preparando la propria candidatura alle primarie democratiche in Alabama. Bloomberg è percepito dagli americani come un indipendente, né democratico, né repubblicano: per quanto riguarda le armi, l’ambiente, l’immigrazione e i diritti umani, la sua visione è nettamente di sinistra, mentre nell’ambito economico, si inserisce bene nella politica repubblicana.
“Partiamo dal meccanismo - spiega il prof. Fabrizio Tonello, docente di Scienza politica all'università di Padova -: alle primarie si può presentare chiunque. Dopo di che si inizia a votare stato per stato a partire dal 3 febbraio 2020, con il caucus dell’Iowa, seguita subito dalle primarie del New Hempshire. Di fatto però il meccanismo di selezione è iniziato già da tempo e a un certo punto il numero di candidati era molto elevato. Alcuni hanno rinunciato, come Beto O’Rourke, ex deputato del Texas, giovanile e ambizioso, ha partecipato ai primi dibattiti fra i candidati democratici ma nei sondaggi non è mai decollato quindi ha rinunciato. Il sindaco attuale di New York, Bill de Blasio, vedendo i sondaggi, ha ritirato la candidatura. Non è ancora certo che Bloomberg si candiderà, l’unica cosa che ha fatto è stato presentare i documenti necessari per registrare la sua candidatura in Alabama, che ha una scadenza temporale molto anticipata rispetto a quella di altri stati. Bloomberg è un milionario, di New York ed ex repubblicano: non si capisce ancora bene come possa conquistare l’animo dei democratici, un partito che in questi anni di Trump si è vistosamente spostato a sinistra. Già altri candidati centristi, come O’Rourke o Kamala Harris e lo stesso Joe Biden, hanno le loro difficoltà: in un plotone così ampio di candidati, Bloomberg mi pare non abbia molte chance”.
A questo si aggiunge la recente decisione di un tribunale di New York, città a cui Trump ha detto addio per le troppe tasse lo scorso inizio novembre. Una lunga battaglia legale si è finalmente conclusa: dopo che il presidente americano ha ammesso l’uso di fondi destinati alla Donald J. Trump Foundation per finanziare la propria campagna elettorale, la giudice Saliann Scarpulla ha ordinato al tycoon di pagare 2 milioni di dollari a diverse organizzazioni no profit. La fondazione è stata utilizzata anche per adempiere a obblighi legali derivati da altre società di Trump, alimentando così “un modello scioccante di illegalità”, stando alle parole dell’accusa. Purtroppo la giudice non ha imposto uno dei punti fortemente voluto del procuratore generale di New York, cioè il divieto per Trump e la sua famiglia di coordinare enti di beneficenza nello stato. Pur dimostrando i fatti, gli avvocati del presidente hanno fatto sapere che questa è stata una battaglia legale “motivata politicamente”.
“Questo caso non intaccherà per nulla le elezioni dell’anno prossimo. Alle elezioni presidenziale manca più di un anno, - continua il prof. Tonello- gli elettori non si ricorderanno che Trump ha pasticciato con i conti di una campagna successa quattro anni prima. Bisogna ricordare anche che il sostegno a Trump, minoritario ma molto forte, arriva dal gruppo di elettori che condivide i suoi stessi principi: razzismo, xenofobia, sentimenti di rivalsa nei confronti dell’élite di Washington. Le sue vicende personali, che siano dalle dichiarazioni al fisco ai problemi della Trump Foundation o i tweet sessisti, non hanno nessun impatto sulla sua base elettorale. Bisognerà vedere se questa base sarà sufficientemente solida per farlo rieleggere”.
STATEMENT FROM PRESIDENT DONALD J. TRUMP pic.twitter.com/EktztHfLk6
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) November 8, 2019