SCIENZA E RICERCA

Che mondo sarebbe senza il garrito delle rondini?

Il garrito delle rondini ci accompagna dagli ultimi giorni di marzo. I rondoni hanno già ricominciato a sfrecciare tra i campanili dei centri storici delle città, e per chi sa ascoltare i coloratissimi gruccioni sono tornati a far sentire il loro canto melodioso, a caccia di insetti nei campi. Oggi si celebra la giornata mondiale degli uccelli migratori, ambasciatori globali della natura in viaggio perenne tra i poli del mondo, purtroppo minacciati dal cambiamento climatico, dal bracconaggio e dalle nuove pratiche agricole.

Dai rapaci alle oche, passando per i piccoli passeriformi: sono 50 miliardi gli uccelli migratori nel mondo. Appartengono a migliaia di specie diverse e la loro è una vita senza confini. Solcano mari e oceani, sorvolano deserti, superano a cuor leggero le catene montuose più alte del mondo. Viaggiano orientandosi con il moto apparente del sole o delle stelle e con il campo magnetico terrestre. Molti di loro durante la migrazione cambiano dieta per immagazzinare più velocemente energia sotto forma di grasso, oppure modificano il loro ritmo circadiano: i piccoli passeriformi, per esempio, sono uccelli tipicamente diurni, ma migrano di notte. E tutti percorrono decine di migliaia di chilometri in volo, da soli o in stormo, affrontando mille pericoli per un solo scopo: mantenere la “promessa del ritorno”, cioè tornare a riprodursi nel luogo in cui sono nati. È questo l’unico posto nel mondo in cui sono sicuri di trovare un clima adatto e cibo a sufficienza per sfamare la prole. E quando la stagione riproduttiva sarà conclusa, arriveranno i primi freddi e il cibo scarseggerà, si rimetteranno in viaggio per trascorrere l’inverno nei quartieri di svernamento.

Istituita nel 2006 per celebrare e proteggere questi animali straordinari e i loro habitat, la giornata mondiale degli uccelli migratori quest’anno ha per slogan “Sing, Fly, Soar – Like a bird!”, cioè “canta, vola, librati – come un uccello!”, proprio per sensibilizzare all’ascolto e all’osservazione di questo popolo viaggiatore. Molte specie infatti migrano in grossi stormi, cantando per tenersi in contatto, come le gru e le oche, fino ai gruccioni su citati. Ma tutti al loro arrivo si fanno sentire: dalle rondini agli usignoli. E l’Italia, distesa come un ponte naturale tra Europa e Africa, è un posto privilegiato per l’osservazione di questo fenomeno. Sono infatti due miliardi gli uccelli migratori che ogni anno attraversano il nostro paese, dalle isole del Tirreno alle valli alpine, passando per lo stretto di Messina: un vero e proprio bottleneck, “collo di bottiglia”, in cui si concentra il passaggio di centinaia di migliaia di individui e dove lo spettacolo è assicurato.

Tra i migratori che dall’Africa subsahariana arrivano in Italia e hanno un canto distintivo c’è anche il cannareccione (Acrocephalus arundinaceus): un piccolo passeriforme dal piumaggio marroncino, pesante poco più di 20 grammi, che come dice il nome costruisce il suo nido tra i canneti. E proprio il cannareccione è il protagonista di uno studio appena pubblicato su Science.

I cannareccioni – come gli altri piccoli passeriformi – sono tra quegli uccelli che nel periodo migratorio modificano il loro ritmo circadiano: da diurni, diventano “notturni”. Migrano di notte per centinaia di chilometri, mentre di giorno riposano e si rifocillano. Eppure quando si tratta di attraversare grandi barriere ecologiche, come il Mediterraneo e il Sahara, si fa un’eccezione: si migra anche di giorno, soprattutto se non si ha modo di scendere a terra. E a volte la barriera ecologica viene attraversata in un unico lungo volo senza sosta.

Su come vengano gestite queste lunghissime transvolate, però, non sapevamo molto fino a oggi, quando sulle pagine di Science il team guidato da Sissel Sjöberg, biologo dell’università svedese di Lund, ha rivelato che i cannareccioni superano il Mediterraneo e il Sahara con voli senza sosta, durante i quali compiono enormi variazioni di quota tra il giorno e la notte.

Sjöberg e colleghi hanno monitorato il viaggio di 63 cannareccioni tra i siti di riproduzione in Svezia e le aree di svernamento nell’Africa tropicale grazie a dei data logger, minuscoli dispositivi in grado di registrare dati sulla posizione, la quantità di luce, la temperatura e la quota. E hanno scoperto che al momento di superare grosse barriere ecologiche, i cannareccioni non interrompono il loro volo: continuano a migrare anche di giorno, arrivando a 32 ore consecutive di volo, ma all’alba si alzano bruscamente di quota, triplicando l’altitudine media di crociera notturna. Dai 2.000 metri d’altezza salgono fino a 6.200 metri d’altezza, per poi tornare rapidamente alla loro quota di crociera non appena si affaccia il crepuscolo. Praticamente di raggiungono la stessa quota di volo delle oche indiane, che superano l’Himalaya attraversandone le valli.

A queste altitudini l’ossigeno è scarso e la temperatura è sotto lo zero. «Ma in qualche modo gli uccelli sono in grado di farcela. E i muscoli del volo, che lavorano duramente, probabilmente li mantengono al caldo, nonostante il calo di temperatura di 22 °C» spiega Sjöberg.

In effetti, perché i cannareccioni mettano in pratica manovre degne delle frecce tricolori non è ancora chiaro. Ma potrebbe essere una questione di temperatura. Gli indizi sono numerosi e di sicuro, chiarito questo punto, saremo più vicini a spiegare con certezza perché la stragrande maggioranza dei piccoli passeriformi migra di notte. I piccoli passeriformi, infatti, percorrono migliaia di chilometri in volo battuto, cioè sbattendo le ali, cosa che aumenta la loro temperatura corporea. E sottopelle sono ricoperti di grasso, che è il loro unico carburante. Migrare sotto il sole caldo di primavera o quello cocente del Sahara potrebbe dunque farli morire letteralmente di caldo. Perciò questo spostamento verso quote più alte durante il giorno potrebbe essere proprio un adattamento per favorire la termoregolazione durante un viaggio di oltre 15.000 chilometri tra Africa ed Europa.

Tuttavia superare barriere ecologiche, affrontare tempeste e venti contrari, sfuggire ai predatori e ai bracconieri (fino a 37 milioni di uccelli vengono abbattuti illegalmente nel Mediterraneo ogni anno) non sono gli unici problemi che devono affrontare gli uccelli migratori.

Arrivare nel posto giusto e al momento giusto per i migratori è di vitale importanza perché in migliaia di anni si è evoluta una sincronia perfetta tra l’arrivo dei migratori nei loro quartieri riproduttivi, la schiusa delle loro covate, e il picco di disponibilità alimentare (per lo più insetti o le loro larve) per crescere la prole. Tanto che alcuni migratori, per la loro precisione nelle date di arrivo in Europa, sono chiamati “uccelli calendario”. Ma oggi i cambiamenti climatici stanno spezzando questa sincronia.

Si stima che in Europa il picco di disponibilità alimentare in primavera stia anticipando tra i 9 e i 20 giorni. Di conseguenza, molti migratori stanno cercando di arrivare prima riducendo la durata delle soste effettuate durante il viaggio di circa il 20%. Soste che però servono per riposarsi e rifocillarsi, per ricostituire le riserve energetiche prima di continuare il viaggio. Quindi rischiano di più per guadagnare tempo, ma riescono ad anticiparsi di circa una settimana: troppo poco. Dovrebbero ridurre la durata delle soste del 50% per anticiparsi di 9 giorni, e del 100% per guadagnarne 20. Insomma qualcosa di impossibile per piccoli passeriformi che pesano tra i 10 e i 20 grammi e viaggiano per 15.000-20.000 km in primavera e altrettanti in autunno. Per non parlare delle sterne artiche, che sulle loro ali viaggiano per 90.000 chilometri all’anno tra il circolo polare artico e l’Antartide (sono gli animali che compiono la migrazione più lunga al mondo).

Anche le trasformazioni ambientali provocate dai cambiamenti climatici – la maggiore aridità, gli incendi, la neve e il ghiaccio che fondono prima o si formano in ritardo – e le moderne tecniche di agricoltura stanno trasformando le aree di nidificazione e di passo di molti migratori. Insomma, gli uccelli migratori stanno provando a tener testa ai cambiamenti provocati dall’uomo, ma noi dovremmo aiutarli. Del resto ci forniscono servizi ecosistemici dal valore inestimabile: sono i migliori insetticidi che abbiamo, visto che in primavera fanno incetta di insetti nocivi per noi, come le zanzare, o per le nostre coltivazioni, come afidi e bruchi di diverse farfalle e falene. Disperdono i semi di moltissime piante contribuendo alla rinnovazione dei boschi e delle campagne, fertilizzano il suolo, e allietano l’aria in primavera ed estate. Che mondo sarebbe senza il garrito delle rondini?

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