CULTURA

Migrazioni: in viaggio per sopravvivere

La chiamano Zugunruhe, dal tedesco Zug (movimento) e Unruhe (ansia): “inquietudine migratoria”, la stessa che ha appena spinto le rondini a lasciarci per tornare a svernare in Africa. A un certo punto dell’anno, di solito primavera o autunno, alcune specie di animali lasciano i loro habitat e intraprendono un viaggio irto pericoli: che sia lungo poche centinaia di metri, come per i rospi comuni, oppure decine di migliaia di chilometri, come per alcuni uccelli migratori.

Molti vanno verso i luoghi in cui sono nati, altri verso posti che non hanno mai visto. A spingerli tutti, uccelli, mammiferi e invertebrati, è un istinto scritto nei loro geni. Oggi, grazie ai moderni sistemi di tracciamento come trasmettitori Gps e radar, ne sappiamo molto di più rispetto ad Aristotele, secondo il quale le rondini durante l’inverno si trasformavano in rane. Molto però ancora ci sfugge sui meccanismi che spingono ogni anno miliardi di esseri a mettersi in volo o in marcia, come spiega la giornalista scientifica e naturalista Francesca Buoninconti nel libro Senza confini. Le straordinarie storie degli animali migratori (Codice 2019), quest’anno candidato nella cinquina dei finalisti al Premio Galileo per la divulgazione scientifica, il cui vincitore sarà proclamato il prossimo 18 ottobre.

Per stabilire se una specie è migratoria non conta la distanza percorsa o il tempo impiegato: è necessario un movimento pendolare, stagionale e ciclico, da un’area che normalmente è dedicata alla riproduzione a una dove sostanzialmente si trascorre il resto del tempo. Si tratta di una strategia evolutiva adottata da alcune specie per inseguire le risorse (acqua, erba, insetti) che si spostano durante l'anno al variare dei fattori climatici, oppure per trovare posti più tranquilli in cui riprodursi: come ad esempio fanno alcuni cetacei, che per partorire scelgono fondali bassi e caldi per mettersi al riparo degli attacchi delle orche.

Ci si posta per inseguire risorse (acqua, erba, insetti) e per trovare posti tranquilli in cui riprodursi

Sono tante le storie e i percorsi raccolti dall’autrice, in un libro che promette a di aprirci gli occhi su una natura in perenne movimento. Come quella della piccola sterna artica (Sterna paradisaea), un uccellino di poco più di 100 grammi che nel corso della sua vita arriva a percorrere due milioni e mezzo di chilometri: sei volte la distanza tra la Terra e la Luna. Ogni anno si sposta fra il polo nord e il polo sud, andata e ritorno: 96.000 chilometri, quasi due volte e mezza la lunghezza dell’equatore. Spetta invece al falco dell’Amur, che si riproduce in Cina e va a trascorrere l’inverno in Africa meridionale, il record per la più lunga trasvolata sul mare, di solito accuratamente evitato dalle specie migratorie: 3.500 chilometri sull’Oceano Indiano senza posarsi mai, in parte percorse seguendo la migrazione di un insetto di cui si nutre: la libellula frecciaerrante (Pantala flavescens). Grande appena 4 o 5 centimetri, questa specie è capace di compiere un viaggio impensabile per un esapode: 14-18.000 chilometri dall’Est asiatico al Sudafrica.

Migrano anche le farfalle: in India almeno 250 specie di lepidotteri appartenenti alle famiglie Pieridae e Nymphalidae si spostano in massa con l’alternarsi dei monsoni, e alcune sono addirittura capaci di superare catene come l’Himalaya. La farfalla viaggiatrice più conosciuta è però la monarca (Danaus plexippus), che ogni intraprende un viaggio di 6.000 chilometri dal Nord America al Messico e viceversa, in una migrazione che coinvolge tre o quattro generazioni. Migrano molte specie di pesci, dagli squali alle sardine; alcune, come i salmoni, dopo aver passato parte della loro vita in mare aperto risalgono i fiumi per riprodursi (e sono classificati come anadromi) mentre altri, come le anguille, compiono il percorso opposto (catadromi). Le modalità di riproduzione di queste ultime sono rimaste sconosciute per secoli; il solito Aristotele credeva che nascessero direttamente dal fango: solo nel secolo scorso è stato scoperto che si riproducono in mezzo all’Atlantico, nel Mar dei Sargassi.

Per rimanere al mare si spostano diverse specie di balene, oltre alle sette varietà conosciute di tartarughe marine: dalla mastodontica tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), che supera i 2,5 metri di lunghezza e i 500 chili di peso, alla più piccola tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii). A migrare in questo caso sono soprattutto le femmine, che di solito vanno a nidificare nelle stesse spiagge in cui sono nate e di cui nei primi istanti di vita hanno memorizzato le coordinate, grazie a una sorta in imprinting che sfrutta il campo elettromagnetico terrestre. Ci sono infine le immigrazioni terrestri, che fin da piccoli abbiamo imparato a conoscere con i documentari, come quella degli Gnu nella regione dei grandi laghi in Africa e quelle – altrettanto imponenti – delle renne in Europa e dei caribù in Nord America.

Strategie e strumenti variano a seconda elle specie: essenziale è il ritmo circadiano, scandito all’interno di ciascun organismo, ma anche la percezione della temperatura e della durata dei giorni; per orientarsi alcuni animali utilizzano la posizione della Luna e degli astri, oltre ai segni identificativi del paesaggio, compresi i manufatti umani. Altri ancora, come detto, sfruttano il campo magnetico terrestre o addirittura – come i pipistrelli, unici mammiferi in grado di farlo – la direzione della luce polarizzata. Mezzi meravigliosi e stupefacenti che però oggi sono messi in serio pericolo da inquinamento, sfruttamento, antropizzazione e cambiamenti climatici. In particolare il riscaldamento terrestre sta provocando di anno in anno l’anticipo dei periodi di fioritura e di siccità, mettendo a rischio meccanismi consolidati nel corso dei millenni. Alcune specie riescono ad adattarsi, altre più fragili rischiano di rimanere indietro, impoverendo la biodiversità. Una nuova, ennesima minaccia agli equilibri degli ecosistemi.

PREMIO GALILEO 2020

La cinquina finalista

A Giulio Cossu con “La trama della vita” il Premio Galileo 2020

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