CULTURA

Il senso negletto

Gli odori sono uno dei principali sistemi di comunicazione nel mondo animale: delimitano il territorio, segnalano i pericoli, comunicano la disponibilità all’accoppiamento. I nostri antenati primati hanno però puntato la loro scommessa evolutiva, già milioni di anni fa, sul senso della vista e oggi la nostra cultura è sviluppata fortemente nella direzione della rappresentazione iconografica. L’olfatto è un senso negletto, non gode del riconoscimento che gli sarebbe dovuto. Anna D’Errico, neuroscienziata e ricercatrice presso la Goethe-Universität di Francoforte, ne Il senso perfetto – mai sottovalutare il naso, edito da Codice Edizioni e finalista della XIV edizione del Premio Galileo per la divulgazione scientifica, ci ricorda quanto ci perdiamo, su di noi e sul mondo, dimenticandoci del naso.

Già il filosofo Immanuel Kant nel ‘700 riferendosi agli altri sensi e all’esperienza del mondo che procurano parlava di “percezione” (Wahrnehmung), mentre riferendosi al gusto e all’olfatto usava il verbo einnehmen, che si può tradurre con “prendere”, “ingerire”, “introdurre”, o in modo figurato “fare breccia nel cuore o nell’animo di qualcuno”. Insomma, sembra dire Kant, l’olfatto non è degno di sedere tra le funzioni cognitive superiori, ma nemmeno tra quelle percettive degli altri sensi, perché è troppo corporeo: ci entra dentro, si rimane troppo coinvolti, e dell’olfatto non ci si può fidare.

Così la comunicazione olfattiva è stata messa da parte, anche nei percorsi educativi. Eppure, con gli odori si comunica di continuo in modo implicito: il profumo che abbiamo addosso dice molto di noi, così come la fragranza emanata da una pietanza, o l'odore di un luogo, sia all'aperto sia al chiuso.

Gli odori sono tra gli stimoli più evocativi che possiamo percepire e la ragione risiede in parte nell’anatomia delle vie olfattive, diversa rispetto a quella degli altri sensi. Le fibre nervose dell’olfatto puntano dritte al profondo, spiega Anna D’Errico, e diversamente dagli altri stimoli sensoriali, le informazioni olfattive non passano per il talamo, una struttura cerebrale importante per lo stato cosciente, l’attenzione e la veglia.

La percezione è l’esperienza cosciente di uno stimolo sensoriale che parte dalla periferia del corpo e arriva al cervello. È facile cadere nel tranello di considerarla una rappresentazione precisa e oggettiva della realtà, ma l’informazione sensoriale viene sempre integrata con altri tipi di informazione, come il grado di attenzione in quel momento, le aspettative, il contesto, lo stato di salute, il fatto di essere nervosi o rilassati, divertiti o spaventati, che si tratti di uno stimolo nuovo o familiare.

Ciò può rendere talvolta difficile immaginare e pensare, o in alcuni casi perfino accettare, il fatto che per qualcun altro quella stessa realtà possa apparire in modo leggermente diverso "Il senso perfetto" - Anna D'Errico

Nel caso della percezione olfattiva poi ci si mette di mezzo una straordinaria variabilità individuale, perché ogni persona ha un repertorio unico di recettori olfattivi. Solo il sistema immunitario gareggia con quello olfattivo per numero di varianti che riesce a produrre: è come se invece di poter avere solo pochi colori di capelli (castani, biondi, o rossi) esistessero centinaia o migliaia di colori di capelli diversi. L’olfatto è un inno alla diversità biologica individuale e questa enorme variabilità produce in ciascuno diverse mappe olfattive del mondo. “Ciò può rendere talvolta difficile immaginare e pensare, o in alcuni casi perfino accettare, il fatto che per qualcun altro quella stessa realtà possa apparire in modo leggermente diverso”.

Anna D’Errico mostra anche che l’olfatto è un senso trascurato, ma non in tutto il mondo. Gli Jahai ad esempio, una popolazione nomade che vive nella foresta pluviale sulle montagne tra Malesia e Thailandia, hanno sviluppato un complesso sistema ideologico e culturale in cui l’olfatto gioca un ruolo di primo piano. La lingua degli Jahai addirittura, appartenente al ceppo austroasiatico, ha un vocabolario olfattivo molto ricco e preciso, come quello dei colori per gli occidentali.

I colori in fondo sono un’astrazione, proprietà a cui sappiamo dare nomi precisi: rosso, verde, blu. Un oggetto può avere tonalità di colore diverse e noi sappiamo riconoscerle e isolarle, dando loro un nome. Inoltre per i colori abbiamo un sistema fisico di misurazione molto preciso, basato sulla lunghezza d’onda, così come lo abbiamo per i suoni, di cui possiamo misurare la frequenza. Per gli odori invece non abbiamo né un sistema di misurazione preciso, perché ciascun odore è composto da una combinazione unica di moltissime molecole, né abbiamo un vocabolario particolarmente sofisticato per descriverli.

“Generalmente, se si deve pensare al colore rosso non c’è bisogno di ricondurlo necessariamente a un oggetto specifico come una mela o un semaforo, il rosso è rosso. Al contrario, se si pensa a un odore difficilmente si riesce a fare un’operazione simile, l’odore di banana diviene un oggetto unico, cioè la percezione dell’odore di banana coincide col frutto stesso: per il cervello quell’odore è la banana”.

La neurolinguista Asifa Majid ha messo a confronto un gruppo di statunitensi con gli Jahai. Nel caso dei colori gli americani avevano bisogno di pochi termini per descriverli, nel caso degli odori invece usavano lunghe descrizioni e faticavano a trovare vocaboli adeguati. “Non saprei come dire, dolce, ecco; una volta ho assaggiato una gomma Big Red con un sapore come questo, cosa dovrei dire? Non mi viene la parola, è come quella gomma da masticare, ha l’odore di Big Red, si può dire? Ok, Big Red. Gomma Big Red”. Era l’odore di cannella.

Gli Jahai invece individuavano gli odori, anche quelli a loro meno familiari, con la stessa precisione con cui distinguevano i colori. “Nella lingua Jahai esistono termini specifici per indicare determinate qualità olfattive, come per esempio la parola haʔɛ̃t che indica una qualità comune a feci, pasta di gamberetti, linfa dell’albero della gomma, tigre, carne avariata (e altro ancora), in modo analogo a quando si astrae la qualità colore rosso da diversi oggetti dello stesso colore”.

La ricerca suggerisce che il repertorio linguistico dei termini olfattivi è influenzato dal contesto socioculturale. O, per dirlo con il titolo di questa ricerca del 2014: “Gli odori si possono esprimere a parole, a patto di parlare la lingua giusta”.

L’olfatto è forse il senso meno razionale dei cinque, è collegato alle aree più ancestrali del nostro cervello e ci offre una mediazione istintiva con il mondo esterno. La mappa emozionale e informativa che ci offre è però preziosa e meriterebbe più attenzione. Così come merita attenzione il libro di Anna D’Errico, che oltre a essere una tanto precisa quanto curiosa guida alla scienza dell’olfatto, è un viaggio introspettivo in quella parte delle nostre sensazioni che spesso ci dimentichiamo di assaporare.

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